Noi cambogiani dimenticati sulla frontiera del terrore

Noi cambogiani dimenticati sulla frontiera del terrore In Thailandia, a «Site 2», dove 150 mila Khmer cercano di sopravvivere sognando la pace e il ritorno in patria Noi cambogiani dimenticati sulla frontiera del terrore Tra ospedali e capanne di bambù, scuole di musica e strade di polvere SARANYAPRATHET (Thailandia) ILENZIOSAMENTE, con scarse notizie su giornali le tv internazionali, con poche speranze di cambiare la loro precaria situazione, più di 300 mila rifugiati cambogiani vivono da anni in campi'di raccolta al confine fra Thailandia e Cambogia. La complessa realtà geopolitica indocinese arriva solo saltuariamente in Occidente, con improvvise quanto momentanee fiammate d'interesse per l'opinione pubblica. I «campi dimenticati» sono una decina, controllati dal governo thailandese in collaborazione con l'Unbro (United Nations Border Relief Operation), il Dppu (Displacr d People Protection Unit - organo paramilitare Thai) e le comunità guerrigliere di resistenza antivietnamita che occupano le diverse zone di confine di Cambogia. Abbiamo visitato il più grande di questi campi, che si trova 60 chilometri a Nord-Est di Aranyaprathet, ultimo paese della Thailandia a soli 5 chilometri dalla frontiera cambogiana, trecento chilometri a Est di Bangkok. «Site 2» raccoglie 150.356 khmer (ultima stima nel febbraio '90: non si tratta di profughi, ma di «displaced people», di apolidi con uno status di diritti internazionali differente e molto meno favorevole; in pratica sono prigionieri e basta), che vivono in capanne di bambù coperte con foglie di banano, costruite su'area di quattro chilometri quadrati. Una piccola città ben organizzata, con mercatini, scuole di musica, asili, scuole superiori, ospedali, centri religiosi, sportivi e culturali, associazioni e altre attività che hanno lo scopo di educare il popolo khmer, disastrato da lunghi anni di guerre, a un nuovo modo di vivere, nella democrazia e in pace; un miraggio, per ora, qui. «Site 2» comprende cinque vecchi campi riuniti sotto un'unica amministrazione: Dong Ruk, San Ro, Ban Sangae, Hong Chan e Samet sono i nomi dei distretti e hanno tutti in comune centinaia di biciclette (usate anche come taxi: dieci bath a servizio, circa 500 lire), strade di polvere rossa, fili spinati, migliaia di bambini, miseria e sforzi immani di sopravvivenza. Lay Kek, un capo khmer, è responsabile di San Ro, 12 mila persone, nella parte Sud di «Site 2» e fa parte del comitato amministrativo del grande campo: ò scappato dalla Cambogia nell'82 con i due fratelli che ora vivono negli Stati Uniti e in Francia. Lui è rimasto per seguire il suo popolo. Spesso portare medicinali e viveri ai villaggi appena oltre la frontiera nella provincia di Bantheay Meanchey a Nord di Battambang, tra le «zone liberate» controllate dal Kplnf, una delle tre fazioni ribelli cambogiane che vogliono cacciare il governo di occupazione vietnamita. «La prima volta che sono tornato al mio paese (a 20 chuilometri da "Site 2") - dice - mi sono messo a piangere per il mio popolo così in miseria: bambini senza medicine, senza cibo, adulti esausti e rassegnati, ovunque ignoranza e battaglie perse. Noi tutti vogliamo tornare in Cambogia, ma vogliamo tornarci a testa alta e soprattutto in pace; siamo stufi di vivere tra fucili e bombe». Intanto però ogni settimana arrivano centi - naia di nuovi ospiti nei campi lungo la frontiera del terrore. Centinai di nuovi arrivi che mettono in difficoltà le organizzazioni di soccorso di tutto il mondo (più di 200 volontari lavorano solo a «Site 2») che devono sfamare, curare ed educare migliaia di persone con pochi mezzi e in condizioni estremamente difficili. Giriamo per il campo a piedi, con la preziosa guida di un khmer di 27 anni che parla inglese e vive a «Site 2» dal '79, subito dopo l'occupazione viet e le guerre di liberazione contro Poi Pot. Entriamo nelle case, mangiamo con famiglie gentilissime; grazie al suo aiuto si superano le barriere di lingua e di cultura. Lee Peng Kun responsabile dell'associazione delle donne khmer nel villaggio Nord di «Site 2» è scappata nel '79 perché non credeva nei vietnamiti, ma si è fermata al confine e nei campi per aiutare la sua gente. Più di 600 donne si sono riunite attorno a lei e poco per volta imparano a cucire, disegnare, cucinare, a lavorare i prodotti dell'artigianato khmer, a parlare inglese e francese. Dice con rabbia: «Il problema maggiore del popolo cambogiano sta nella grande ignoranza della sua gente. L'idolatria per il regime diventa un rifugio, fa chiudere gli occhi. Noi qui insegnarne alle donne a emanciparsi per ottenere un ruolo diverso nella società che speriamo rinasca dalle ceneri della Cambogia di oggi». Anche nella scuola tecnica intitolata a don Bosco incontriamo lo stesso entusiasmo nel direttore khmer Noung Meng: «Cerchiamo di costruire un futuro lavorativo per questi ragazzi costretti ad aspettare la libertà nell'incertezza; insegniamo meccanica, disegno, elettrotecnica, matematica e lingue ai 119 studenti che passano le giornate da noi lontano dal fronte». A «Site 2» vivono 51 mila uomini, 51 mila donne, 23 mila ragazzi e 22 mila ragazze, che ogni giorno, sotto il sole rovente, iniziano qualche attività o semplicemente cercano di mettere insieme il pranzo con la cena. Parliamo con Caroline, una dottoressa francese che dirige, insieme col responsabile khmer, la scuola per la salute nella sezione Nord di «Site 2». Spiega che insegnano la prevenzione, l'igiene e le basi mediche ai ragazzi del campo (300/400 ogni anno) con ottimi risultati, tanto che molti diventano insegnanti a loro volta. A «Site 2» l'atmosfera in questo periodo è tranquilla, ma l'ultima bomba è caduta appena nell'aprile scorso, provocando parecchi feriti. «E' un'intimidazione vietnamita per rallentare i programmi e alimentare il terrore, per costringere i rifugiati a tornare in patria» spiegano. Il fronte non è lontano da «Site 2»: tre chilometri dalle recinzioni del campo cominciano i campi minati e appena oltre la sbarra di confine che chiude la strada di polvere che porta in Cambogia («Welcome in Cambogia», si legge alla frontiera), c'è già la prima guarnigione militare del Kplnf (il fronte di liberazione del popolo khmer non comunista guidato dal presidente Son Sann). Tre carri T54 rubati ai vietnamiti in battaglia, gun machine, obici da 82 e 107 mm, AK47, lanciarazzi e munizioni varie accatastate nella polvere vicina alle mine antiuomo costituiscono il villaggio militare di Dung Ruk, silenzioso ma allertato. Basta questo per ricordare la guerra violentissima che infuria nelle province interne a poche decine di chilometri: l'Ans (l'esercito fedele al principe Sihanouk tornato in patria dopo anni di esilio), il Kplnf e i khmer rossi di Poi Pot combattono lo stessso nemico: il governo d'occupazione vietnamita che stando ai bollettini di guerra arretra sempre più verso Phnom Penh. E dopo il fallimento della conferenza di Parigi e gli incontri di pace di Giakarta, ultimamente la questione cambogiana sembra destinata a rimanere irrisolta. Intanto i 300 mila che vivono alla frontiera corrono anche il rischio di essere sfrattati dal governo thailandese che per bocca del suo primo ministro Chatichai ha espresso l'intenzione di chiudere i dieci campi. «Site 8» si trova 60 chilometri a Sud di Aranyaprathet e ospita 35 mila rifugiati ai piedi delle grandi montagne che s'innalzano a Est e che coincidono con il confine cambogiano. Lassù è pieno di khmer rossi che preparano agguati e raid di pattuglie; molti stanno nel campo (sono riconoscibili dal cappello verde e dal foulard a scacchi bianchi e rossi che si tolgono subito appena vedono una macchina fotografica). Qui non ci sono scuole superiori («perché i giovani devono combattere e non perdere tempo a studiare»), si può fotografare poco o niente e sempre seguiti da due ufficiali del Dppu severi, non si può avvicinare la gente e non ci sono spiegazioni. Molto diversa l'atmosfera rispetto a «Site 2»: per chi conosce il genocidio e il terrore perpetrato da Poi Pot, a «Site 8» sembra che aleggi lo spettro dell'idolatria folle del comunismo irragionevole e responsabile dei massacri del '75. Pochi uomini validi in giro per le strade (devono essere sulle montagne a combattere), troppi bambini e donne malnutrite e sporche, troppi problemi per le organizzazioni di volontari internazionali. Al mercato distribuiscono cipolle e riso, tapioca e banane, con i li bretti. Ma le razioni sono ancora più misere che a «Site 2» e soprattutto i visi sono ancora più tristi. Uscendo dal campo scoppia un temporale, poche gocce, vento che strappa i bambù e sballotta i motorini sulla strada piena di buche: dalla pianura bruciata nasce verso il cielo scuro un gigantesco arcobaleno che scavalca le montagne e forma un legame straordinario e multicolore fra la Thailandia e la Cambogia; i bambini tra la polvere del campo e le foglie verdissime dei banani alzano gli occhi a mandorla e seguono la scia luminosa con lo sguardo fino al di là delle montagne dove loro sanno, anche se non l'han■ no mai vista, che esiste la loro terra, patria dilaniata dalle bombe, sospirata casa. Davide Scagliola Dice il capo Lay Kek: «Ho pianto per il mio popolo così in miseria. Bambini senza medicine e senza cibo, adulti esausti e rassegnati. Noi tutti vogliamo tornare in Cambogia, ma a testa alta. Siamo stufi di vivere tra fucili e bombe» A poche decine di chilometri da qui infuria ancora una guerra violentissima. Per Lee Peng Kun, che ha fondato l'associazione delle donne khmer, «il problema sta nell'ignoranza della gente. L'idolatria per il regime chiude gli occhi». La speranza «in una società che rinasca dalle ceneri della Cambogia». Una scuola intitolata a don Bosco Site 2 (Thailandia). Una bimba ricoverata nell'ospedale del maggiore dei «campi dimenticati» (foto D. Scagliola) Guerriglieri del Kplnf su un carro rubato ai vietnamiti. Siamo a Dung Ruk in Cambogia. Poco oltre il confine c'è Site 2 Site 2. Il mercato del campo, che si trova 60 chilometri a Nord-Est di Aranyaprathet, ultimo paese della Thailandia a soli 5 chilometri dalla frontiera cambogiana Site 2. Una delle seicento donne che imparano a cucire

Persone citate: Ban Sangae, Davide Scagliola, Dong Ruk, Hong Chan, Lay, Lay Kek, Meng, San Ro, Sihanouk, Thai