La Somalia vuol farla finita con Barre di Igor Man

La Somalia vuol farla finita con Barre La strage di Mogadiscio rivela l'angoscia di un popolo represso e affamato dal tiranno detto «la iena» La Somalia vuol farla finita con Barre E l'Italia blocchigli aiuti La Somalia è allo sfascio. La guerriglia tormenta il fragile regime di Siad Barre, detto «bocca larga» ma anche «la iena»; la Banca commerciale è na»; la Banca commerciale è stata chiusa; da tre mesi gli impiegati del1a Stato non ricevono lo stipendio; la carestia è alle porte; di notte, a Mogadiscio, vige un coprifuoco spontaneo poiché la città cade in mano a bande di rapinatori omicidi. E tuttavia per quella forza d'inerzia ch'èpropria degli umani, la vita continua nella capitale che già fu bianca e fors'anche felice mentre ora la salsedine ammuffisce le facciate sfrante dei palazzi ufficiali e nelle bidonvilles i tetti di lamiera arroventano l'inferno quotidiano dei miserabili. La vita continua e, come in tutte le dittature, il football viene usato dal Palazzo per anestetizzare la tragedia quotidiana dei più. Panem et circenses, si diceva una volta: in Somalia Siad Barre offre al popolo questi ultimi soltanto. Che diventano giochi di sangue come è stato venerdì scorso durante la partita tra le squadre dello Giuba e dello Scebeli. Una partita importante. Allo stadio c'erano 45 mila persone per assistere all'inizio del campionato regionale. E c'era, manco a dirlo, lui, il «socialista» Siad Barre. Il quale ha voluto giovarsi del vero e unico oppio dei popoli - il football, appunto -, per pronunciare la solita mediocre conclone infarcita di retorica e di promesse bugiarde. Sennonché, non appena il presidente ha incominciato a leggere il discorso preparato dai suoi assistenti (è incapace, «il vecchio», di scrivere una semplice cartolina di auguri), dalla folla son partiti fischi cui han fatto presto seguito maledizioni. Fuori dello stadio, centinaia di persone che s'accalcavano ai due ingressi dei popolari hanno preso anche loro a scandire slongans contro Barre. I «berretti rossi», i moschettieri del duce somalo, hanno tirato qualche colpo in aria, c'è stato un attimo di silenzio. Barre ha ripreso a leggere ma, questa volta, insieme con i fischi sono volate le pietre e grida di «Intifada-Intifada». E qui i pretoriani del dittatore hanno sparato ad altezza d'uomo mentre «bocca larga», muto e stravolto, fuggiva via dallo stadio. Solamente più tardi la gente ha preso coscienza del massacro: i morti sono stati ottanta, secondo testimonianze raccolte dalla Reuter e centinaia i feriti. Preoccupato dalle inorridite reazioni internazionali, il regime di Baire ha diffuso un comunicato per «chiarire» come i «berretti rossi» avessero sparato qualche colpo in aria per sedare i tumulti provocati dal tentativo dei tifosi rimasti fuori dello stadio di forzare i cancelli... Non più di tre morti... Ora, che i morti siano ottanta o tre conta relativamente (anche un solo morto è una tragedia): vale il fatto che ancora una volta i «berretti rossi» abbiano sparato nel mucchio. Giusto un anno fa, il 14 luglio del 1989, furono 350 i morti di quel primo «venerdì nero». Il 9 luglio era stato assassinato, davanti alla sua chiesa, l'arcivescovo italiano Salvatore Colombo che aveva intrapreso il suo ministero, giovine parroco, nel dopoguerra quando le Nazioni Unite affidarono all'Italia l'amministrazione fiduciaria della sua ex colonia. Si vuole a Mogadiscio che l'assassinio dell'arcivescovo sia stato pianificato dal Palazzo per cogliere il pretesto di dare addosso all'opposizione fattasi «troppo petulante». In forza di quell'atroce bizantinismo decine e decine di oppositori vennero arrestati (sono ancora in galera). La gente scesa in piazza il 14 luglio protestava per quella studiata repressione, chiedendo a gran voce le dimissioni di Barre. Verosimilmente a suggerire gli slogan contro il presidente furono gli Ulema che non hanno mai perdonato al «vecchio» di aver messo il bavaglio alla moschea, di aver ucciso dei religiosi: nella metà degli Anni 70 i primi oppositori fatti fucilare da Barre erano degli Ulema. Rimane il fatto che un fiammifero nell'acqua si spegne ma nel petrolio esplode. Anche i fischi, le pietre di venerdì scorso sono partiti da uomini dell'opposizione, ma la • folla li ha subito fatti suoi. In . somma, quando la protesta popolare s'accende è segno che la gente non ne può più; ogni accidente è buono per scatenare l'ira popolare, quale che sia la l'ira popolare, quale che sia la scintilla. L'abbiamo visto undici anni fa in Iran epiù di recente nella Germania di Honecker: a Lipsia, a Dresda. (Cominciamo a vederlo in Albania). Dopo l'assassinio, in carcere, il 17 giugno, del biologo italiano Giuseppe Salvo, al quale è seguito, una settimana dopo, quello di un tecnico tedesco; dinanzi al comportamento volgarmente quanto scioccamente provocatorio del governo di Mogadiscio, la nostra Commissione parlamentare degli Affari Esteri ha, per dirla in soldoni, invitato il governo italiano a facilitare il passaggio di poteri in Somalia. Saggiamente il governo s'è limitato a manifestare «preoccupazione». Scriviamo saggiamente perché, nel bene e nel male, la Somalia è uno Stato sovrano, membro delle Nazioni Unite e (ahimè) dell'Intemazionale socialista e pertanto nessun Paese e men che meno l'Italia può arrogarsi il diritto di assumere iniziative di pura marca colonialista. E tuttavia, poiché le pressioni su Barre esercitate in passato dal nostro ministero degli Esteri han soltanto prodotto promesse sempre tradite, poiché tutto lascia prevedere che prima o poi «la iena» sarà rovesciata nel sangue d'una guerra civile fatalmente rovinosa, occorrerà muoversi. Innanzitutto c'è da tener conto del fatto che a scontare l'attuale spaventosa congiuntura sono i mille italiani di Somalia. Essi vengono identificati con il Paese, giustappunto l'Italia, che con i suoi aiuti (1500 miliardi fino ad oggi, una delegazione di 23 tra ufficiali e sottufficiali per l'assistenza tecnico-militare, la gestione dell'Università) permette a Barre di continuare a reqte a Barre di continuare a reggersi in sella. Poi occorre arrendersi alle denunce di Amnesty International e tenere in buon conto il rapporto che un gruppo di docenti italiani scrisse or è un anno per interrogarsi «sulle motivazioni e i princìpi che regolano i rapporti fra il governo italiano e il regime somalo». Richiamare, dunque, il nostro ambasciatore? Si può sempre fare, per quel che vale... Ma forse sarebbe meglio, per uscire dall'imbarazzante guado politico in cui ci troviamo e per salvare una popolazione che merita miglior destino, incoraggiare concretamente quella conferenza di riconciliazione nazionale proposta, nel maggio scorso, dal manifesto di un centinaio di intellettuali e politici somali. (All'iniziativa hanno aderito tutti i movimenti che combattono il regime di Barre). Bisognerà inoltre decidersi, e in tempi brevi, a ripensare la cooperazione poiché è davvero indecente che aiuti solidi, pagati dal contribuente, vengano, una volta giunti in Somalia, dirottati nelle ingorde fauci della tribù di «bocca larga». Ovvero, ed è ancora peggio, servano a finanziare una repressione brutale, cieca che ha avuto il solo effetto di rinvigorire la guerriglia. Sotto la Croce del Sud una popolazione stremata da ventanni di dittatura, da dieci anni di guerriglia chiede, disperata, di seppellire la morte per infine celebrare la vita. Non è più tempo di uccidere. Igor Man Un guerrigliero somalo: da anni la resistenza contro Siad Barre divampa nel Nord del Paese