«Quel teologo è un eretico»
«Quel teologo è un eretico» Un libro accusa la Curia di Udine «Quel teologo è un eretico» UDINE. Il rogo è diventato un pamphlet e a morte sono mandate le idee, ma si tratta di un vero e proprio processo per eresia Anni 90. A subirlo, nel giorno in cui il cardinale Martini riflette sull'avanguardia dei teorici della Chiesa, è don Rinaldo Fabris, 54 anni, docente di teologia al Seminario Arcivescovile di Udine. A «inquisirlo» è stato un gruppo di laici e di religiosi dell'università di Lettere e Filosofia, che ha scelto la via del libello pubblicato dalle Edizioni Scientifiche Italiane. Il sacerdote è accusato di aver predicato una teologia «della disperazione» come via friulana alla progressista strada «della liberazione», indicata dai vescovi latino-americani. E gli accusatori mirano a far tacere il dissidente, sull'esempio del cardinale Ratzinger. In realtà, la controversia contrappone un gruppo di intellettuali tradizionalisti alla Curia udinese, giudicata un po' troppo aperturista (qualche mese fa l'arcivescovo Alfredo Battisti pronunciò un discorso contro ~alco- stume politico che qualcuno interpretò come una minaccia di scomunica; e suo è stato un appello pasquale a dare ospitalità agli extracomunitari). Tutto è cominciato con la divulgazione di «Eutanasia del cattolicesimo», il volumetto, appunto, nel quale l'insegnamento di don Rinaldo Fabris, teologo della Chiesa friulana e ammiratore di padre Davide Maria Turoldo, è bollato come «anticattolicesimo». A scrivere le «antitesi» sono stati i docenti di filosofia morale Danilo Castellano e di storia della filosofia Giancarlo Giurovich con il domenicano padre Tito Cenci: esponenti di un movimento religioso di stampo conservatore che si raccoglie intorno al periodico «Instaurare omnia in Christi». Secondo loro, quello di don Fabris «è un cristianesimo che su molti punti nodali devia dall'insegnamento della fede cattolica». Il teologo è accusato di «appellarsi solo all'uomo, per la conquista della salvezza», che don Fabris tradurrebbe in una libertà estrema, «nell'eliminazione di ogni limite». E' il richiamo alla Teologia della liberazione, «che confonde - sostengono i tradizionalisti friulani - la rivelazione con la rivoluzione». Ma le accuse sono anche più circostanziate: don Fabris demolirebbe i princìpi della fede cristiana: «Gesù diventa concretamente figlio di Giuseppe, la Madonna una ragazza-madre e la Resurrezione una leggenda», denunciano i tradizionalisti. L'interessato, però, il processo non lo accetta. «Mi rimproverano un certo progressismo nella lettura dei testi biblici, un qualche immanentismo che mi porta a identificare Dio con la Storia, ma mi sento pienamente in linea con il richiamo della Congregazione della Fede, che ha sollecitato noi teologi a non costruire un magistero parallelo». E poi «Roma conosce i miei scritti e se fossi un eretico si sarebbe già pronunciata». Gli oppositori allora ricordano che don Fabris aderì alla lettera dei 63 teologi italiani in cui si contestava la gerarchia ecclesiastica. Questo fatto gli valse un richiamo di monsignor Battisti, «ma poi l'arcivescovo è venuto in seminario e ha seguito le mie lezioni - si difende don Fabris e non mi pare che abbia avuto più ragioni di lamentarsi». Michele Meloni
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