Non tutelati i diritti dei donatori d'organi di Bruno Ghibaudi

Non tutelati i diritti dei donatori d'organi Il dr. Maurice Pappworth: è falso che chi deve essere espiantato è trattato come un normale moribondo Non tutelati i diritti dei donatori d'organi II monito del Papa: nessuno può dire quando cessa la vita ROMA. «Quando un paziente è considerato un potenziale donatore, tutto l'atteggiamento del personale medico cambia e tutto viene affrettato. Si smette di pensare a lui come ad un paziente che ha bisogno delle nostre cure e della nostra considerazione: per noi diventa un cadavere con cuore che batte». E' un'ammissione di Philip Keep, primario del reparto di terapia intensiva al Norfolk and Norwick Hospital, riportata dall'inglese «The Guardian». A spiegarcene meglio il significato interviene sul «World Medicine» Maurice Pappworth, uno dei più autorevoli medici inglesi: «Il fatto che un potenziale donatore, in coma, morente, sia sottoposto - mentre si trova innegabilmente in vita e senza il suo consenso - al prelievo di campioni di sangue per la tipizzazione dei tessuti e all'irrorazione ipotermica e che gli vengano somministrati eparina, farmaci citotossici, diuretici, farmaci per endovena e ionotropici, nessuno dei quali è di alcun beneficio per il moribon¬ do, dimostra la falsità dell'affermazione secondo cui il donatore potenziale viene trattato esattamente allo stesso modo di qualsiasi altro paziente moribondo». Quindi aggiunge: «I medici non dovrebbero mai rendersi colpevoli del baratto di una vita per un'altra. La verità è che quando il moribondo è etichettato come donatore potenziale, gli è quasi impossibile sfuggire a questa situazione e la sua sorte è segnata». Il richiamo a queste dichiarazioni di addetti ai lavori non è certo casuale. Da qualche settimana, su queste pagine, abbiamo sollevato il problema dell'espianto degli organi, invitando i lettori a valutarlo nell'ottica del donatore (volontario o inconsapevole) prima che in quella del beneficiario di un trapianto. E abbiamo cercato di capire, chiedendo precisazioni a chiunque possa darcene, se al momento dell'espianto il paziente è ancora in grado di sentire dolore oppure no. Ci siamo inoltre domandati se sia moralmente lecito violare i diritti di chi sta morendo, seppure per prolungare la vita di un altro malato. I trapianti, per ora, li abbiamo deliberatamente lasciati da parte. Rivedendo i pareri dei medici da noi ospitati, le loro reazioni spesso stizzite e a volte arroganti - sono state tutte orientate a difendere, e a qualunque costo, la conquista dei trapianti. Si sono dilungati a distinguere il coma in vari modi, senza rendersi conto che proprio questa disparità fra le loro diagnosi è l'indice più evidente di una confusione pericolosissima e dimostra che quella «certezza» conclamata con tanta enfasi non può esistere. Di umiltà verso ciò che ancora non si conosce o di impegno a saperne di più manco a parlarne. I medici hanno poi difeso come verità acquisita i criteri per accertare la morte cerebrale. Ma non si sono preoccupati di smentire quanto sostenuto da altri medici, e cioè che l'espletamento di questi test richiede un tempo assai superiore (dai due ai tre giorni) a quello ( 12 o 6 ore) che invece si è disposti ad attendere per l'espianto. Per certi medici abbiamo una colpa grave: aver portato questi problemi all'attenzione della gente vuol dire «destare allarme, tanto forte quanto ingiustificato, nell'opinione pubblica». Come se la realtà sanitaria italiana, invece, fosse tanto soddisfacente da tranquillizzare gli utenti. Non una parola in questi risentiti interventi è riservata al donatore, cercando di capire che cosa gli accade, dove cessano i suoi diritti e quale rispetto gli sia dovuto. Eppure non c'è alcuna certezza che il donatore non sia più in grado di provare dolore. Per questi medici, evidentemente, il donatore è già diventato un oggetto, buono solo per un prelievo di organi. Sono perplessità ampiamente condivise. Giovanni Paolo II se n'è occupato nel dicembre scorso, parlando alla Pontificia Accademia delle Scienze, nel cui ambito opera una commissione nettamente orientata all'espianto-trapianto. Gli inter¬ rogativi posti dal Papa dimostrano che non condivide affatto le certezze che alcuni medici ritengono acquisite: «Chi può determinare con la dovuta precisione il momento "vero" della morte? Chi stabilisce "con certezza" che un determinato individuo non è più in vita e che può essere sottoposto a prelievo di organi?». Quindi ha invitato tutti alla prudenza e - di fronte al minimo dubbio - alla rinuncia. «La vita - ha ricordato - impone sempre il nostro rispetto: né gli individui né la società possono attentarvi, qualunque vantaggio ne possa risultare». Di conseguenza, «per quanto interessanti e anche utili possano apparire certe forme di esperienza, chiunque abbia veramente il senso dei valori e della dignità umana ammette che bisogna abbandonare questa pista apparentemente promettente, se passa attraverso il degrado dell'uomo o attraverso l'interruzione volontaria della sua esistenza terrestre». Bruno Ghibaudi

Persone citate: Giovanni Paolo Ii, Maurice Pappworth, Norfolk, Philip Keep

Luoghi citati: Roma