Spiagge inquinate? Come difenderle

Spiagge inquinate? Come difenderle Allarmi e false paure. Il nostro mare è sotto accusa: il geografo marino Vallega spiega perché Spiagge inquinate? Come difenderle Ci serve una cultura industriale non i verdetti di mappa selvaggia EA pubblicazione sull'Herald Tribune della mappa di 848 spiagge europee fregiate di bandiera blu per la qualità del loro mare e del loro ambiente provoca allarmi non proporzionati alla serietà della graduatoria. Soltanto 27 bandiere blu assegnate all'Italia, su 8000 chilometri di coste, contro le 102 della Francia e le 97 della Spagna. Meritiamo qualcosa di più, pur riconoscendo che troppi inquinamenti costieri sono tollerati o nascosti. Ma anche le 27 bandiere al merito ecologico distribuite all'Italia lasciano perplessi. E' inspiegabile che vengano promosse a pieni voti città portuali come Oneglia, Gallipoli, Otranto, relegando automaticamente tra i mari indegni quello di Alicudi e di Panarea, della Costa Smeralda e di Stintine Non si capisce con quali criteri sia stata emessa la sentenza per le coste della Sardegna, dove si salverebbero soltanto S. Teresa di Gallura, Bosa e Barisardo. La Campania avrebbe mare pulito soltanto a Pollica, lasciando immaginare che sia sconsigliabile immergersi a Punta degli Infreschi, a Capo Palinuro, lungo tutta la Costiera Amalfitana. In Toscana due sole bandiere blu, Forte dei Marmi e Castagneto Carducci. E i lidi del Parco dell'Uccellina, Montecristo, tante splendide calette della Capraia? «Per dare risposte serie al grado di inquinamento dei mari costieri, non soltanto italiani, sarebbe necessario un sistema di monitoraggio molto complesso. Nel mare profondo le variazioni sono limitate, a meno di incidenti come la perdita di olio minerale da una nave. Lungo le coste tutto cambia o può cambiare in breve tempo, anche da un giorno all'altro, in rapporto alle condizioni meteorologiche, all'affollamento sulle spiagge, ai comportamenti umani», mi dice il professor Adalberto Vallega, presidente della «Commission of Marine Geography» e coordinatore delle due unità scientifiche che hanno preparato per la Fondazione Agnelli il Manuale per la difesa del mare. La prima opera di fonte indipendente che offra un quadro completo della situazione del Mediterraneo, con proposte per i suoi usi in armonia con le esigenze di tutela. Nel Manuale si evitano classificazioni di località, perché prive di valore scientifico, e si citano con distacco le tabelle italiane sulla qualità delle acque costiere, molto contrastanti a seconda delle fonti. Per il ministero della Sanità il giudizio è favorevole nel 98 per cento dei casi, secondo la Goletta Verde è negativo nel 64 per cento.. «Da una parte si tende a edulcorare i dati, dall'altra a drammatizzarli - commenta il professor Vallega -. Il disorienta¬ Su 1soloriesrego mento dell'opinione pubblica, acuito da episodi stagionali come la comparsa delle alghe e delle masse gelatinose lungo la riviera adriatica, contribuisce a incoraggiare enormi investimenti di denaro pubblico in opere di difesa e di depurazione che spesso danno risultati deludenti». Il rapporto contiene giudizi severi: «Un settore che va costruendo le sue fortune sull'inquinamento marino è quello delle piscine e dei depuratori, più in generale dell'ingegneria ambientale». Sono stati spesi finora 30 mila miliardi. Su 1600 depuratori soltanto 851 funzionano, con rendimenti che scendono al 23 per cento in Campania. Per l'emergenza-mucillagine in Adriatico sono stanziati 591 miliardi. «L'inquinamento del mare costiero ha stimolato tipi di offerta alternativi; lungo la riviera romagnola il numero di impianti balneari artificiali costruiti dopo il 1984 ha superato il totale di tutti gli anni precedenti e si prevede il raddoppio entro tre anni. Da Trieste al Gargano oltre la metà dei complessi residenziali e alberghieri costruiti negli Anni Ottanta sono dotati di una o più piscine». Oltre alle piscine si invocano i depuratori, sottovalutando le difficoltà di rendimento dovute al tipo di acque trat- tate, al carico inquinante che proviene da corsi d'acqua e dalle forti concentrazioni umane sulle spiagge, alle condizioni di salute del mare stesso e alla sua profondità. Gli scarichi fognari di una città balneare o di un villaggio turistico sono stimati in media sui 150-200 litri per persona ogni giorno. Contengono forti concentrazioni di microrganismi patogeni (coliformi, enterovirus, salmonelle, ecc.). Se il mare è immune da inquinamenti chimici, se è trasparente e ben ossigenato, i batteri di origine umana scompaiono al 90 per cento nel giro di poche ore. Ma queste condizioni ideali sono rarissime. Gli scarichi domestici sono frammisti a pesticidi e detersivi, a residui di pescherie e di macellerie, di officine. «Spesso i depuratori vanno fuori uso perché nelle acque da trattare arrivano sostanze che bloccano il processo biologico in corso». Nel rapporto viene citato un caso esemplare: «L'impianto di Fusina, a Marghera, si ferma quando le acque industriali superano una certa soglia di tossicità». Secondo il «Manuale» della Fondazione Agnelli sono preferibili, quando le spiagge si affacciano su acque profonde, lunghe condotte spinte al largo su fondali di almeno 50 metri, purché gli scarichi non contengano sostanze chimiche e oleose, purché non siano trattati col cloro. Questo abbatte i germi ma diffonde in mare clorofenoli. «Non dimentichiamo che l'inquinamento del mare costiero è il prodotto di comportamenti umani e di attività umane: il turismo balneare ha le maggiori responsabilità», dice il professor Vallega. Basti pensare a piccole città dove la popolazione residente di 10-20 mila abitanti balza a 50-70 mila nei mesi estivi. Situazione che si ripete lungo le coste italiane come lungo quelle francesi e spagnole. La «Commission of Marine Geography», presieduta da Vallega, ha un segretario inglese (Hance D. Smith, University of Wales), membri francesi, tedeschi, americani, australiani, cinesi. Studia in particolare i mari semichiusi, dal Mediterraneo al Mar Giallo. «Il Mediterraneo è uno dei più problematici. Il ricambio delle acque è lentissimo, perché la soglia dello Stretto di Gibilterra è poco profonda. Sulle sue coste c'è stata una corsa all'insediamento di popolazioni e di industrie. Complessivamente 133 milioni di abitanti, destinati a salire a 200 milioni alla fine del secolo. Gli italiani che vivono sul mare sono oggi più di 42 milioni, pari al 73 per cento del totale. Aggiungiamo 23 milioni di turisti, quasi un quarto di tutti quelli che si riversano sul Mediterraneo». Il rapporto della Fondazione ano ardi nti Agnelli contiene dati impressionanti. I materiali solidi provenienti dalle coste e dai fiumi ammontano ogni anno a 430 miliardi di tonnellate, pari a una catena montuosa lunga qualche decina di chilometri. I residui chimici: 800 mila tonnellate di azoto, 320 mila di fosforo, 4800 di mercurio, 635 mila di petrolio. Le nostre coste sono senz'altro più colpite, perché più densamente antropizzate. Ma non è mai stata fatta una campagna di prelievi e analisi, con rigore scientifico, lungo le coste da Gibilterra ai Dardanelli, sicché le graduatorie sono approssimate o gratuite. Si parla molto delle fioriture di alghe tossiche e delle mucillagini lungo le coste romagnole, ma fenomeni analoghi sono apparsi in Istria e in Dalmazia, senza dimenticare che affliggono le coste atlantiche della Spagna e della Francia. Nel mare della Provenza, spesso spazzato dal mistral e apparentemente invidiabile, si trovano residui di sostanze radioattive come il trizio, provenienti dalle centrali nucleari francesi. A Nord del Golfo della Sirte c'è una vastissima area in cui le petroliere versano residui oleosi e acque di lavaggio delle cisterne. Un'altra si trova fra Creta e Cipro. I grumi di bitume possono arrivare agli ultimi paradisi costieri della Turchia. «Il protocollo di Atene, firmato nel 1980, indicava le sostanze che non devono assolutamente essere versate in mare, cominciando idrocarburi. Mancano però i meccanismi di attuazione, manca persino un catasto completo degli scarichi urbani e industriali». Il discorso vale per tutti i Paesi affacciati sul Mediterraneo. Il rapporto coordinato dal professor Vallega ha un tema di fondo: «Le denunce di inqui- dagli namenti delle acque di balneazione potrebbero ripetersi all'infinito se non si decide di prevenire anziché depurare punto per punto, di pianificare l'uso del mare come sistema unico, non limitato alle coste di singoli Paesi». Pianificazione degli usi industriali e conversione di industrie inquinanti (i famosi fanghi rossi di Scarlino non vengono più versati nel mare tra la Capraia e la Corsica, ma riciclati a terra), pianificazione del turismo, disciplina dei trasporti marittimi e così via. Quali difficoltà incontra una simile svolta? «Mette in gioco enormi interessi politici ed economici. L'apparato industriale può essere disposto a cambiamenti profondi perché aprirebbero nuove prospettive, fondate su nuove tecnologie. Più resistente l'apparato politico-amministrativo, in difesa di compiti e competenze». Il ministero dell'Ambiente e il ministero della Marina, tramite le Capitanerie di porto, si contendono la difesa del mare. I Comuni dovrebbero controllare gli scarichi da terra. Le Province hanno un imprecisato controllo degli usi idrici. Le Usi hanno il compito di eseguire prelievi e analisi di acque marine, ma lo fanno in modo tale da lasciare molti dubbi. I controlli in mare sono spesso limitati ad accertamenti burocratici nei confronti dei naviganti per diporto. Intanto si autorizzano opere rovinose per l'ambiente marino, dalle scogliere artificiali lungo le spiagge ai porti turistici progettati senza preventiva indagine di impatto ambientale. «Dobbiamo cercare una mediazione tra esigenze di sviluppo economico ed esigenze di salvaguardia del mare. Non bastano alcuni depuratori e alcune oasi di protezione», conclude il professor Vallega. Molti anni fa il comandante Cousteau mi aveva detto: «Nel giro di alcuni decenni le popolazioni costiere saranno costrette a ritirarsi dal mare, dopo averlo usato come pattumiera e sfruttato all'estremo». Mario Fazio Su 1600 depuratori solo la metà riesce a funzionare regolarmente Ogni anno si scaricano rifiuti per 430 miliardi di tonnellate: pari a 10 km di monti Il Mediterraneo è malato d'uomo: sulle sue coste vivono oltre 133 milioni di persone