A Faenza gli idoli aztechi

A Faenza gli idoli aztechi Terrecotte precolombiane al Museo delle Ceramiche A Faenza gli idoli aztechi Li portò Cristoforo Colombo "Tri FAENZA ] N questi giorni, i visitali tori dell'ormai celebre I Museo Internazionale SÌ delle Ceramiche a Faenza si trovano di fronte a una sorpresa. Al piano terra dell'attuale quadrilatero espositivo, un'ala completamente ristrutturata presenta l'ampia documentazione di un insieme di civiltà a cui pochi avrebbero pensato: quello delle genti americane che Cristoforo Colombo e i suoi seguaci scoprirono nel Nuovo Continente e che, ritenute inizialmente selvagge, svelarono invece presto una lunga tradizione di cultura e d'arte. A prima vista, le ceramiche precolombiane impressionano soprattutto per la diversa utilizzazione, rispetto alle nostre abitudini, della materia impiegata. Non c'è nulla di più semplice, in sé, dell'argilla impastata d'acqua; e il suo uso più naturale è quello per foggiare recipienti, oggetti tanto semplici quanto necessari. Ma, ciò posto, l'elaborazione da parte nostra consiste al massimo nella colorazione e nelle figurazioni che eventualmente l'accompagnano, nonché nella verniciatura e nell'integrazione con materiali più pregiati. Il fischietto «rituale» Nel mondo precolombiano, la concezione è assai diversa. L'argilla impastata serve sì a foggiare recipienti, ma non solo né primariamente a questo. Anzitutto, i recipienti vengono elaborati in forme umane, divine, animali, ovvero di esseri mitici e fantastici: anche se restano dei contenitori, sembra evidente che il loro uso dovè essere nobilitato, servire a cerimonie per riti e credenze ancora avvolti nel mistero. Recipienti di uso non mancano certo; ma la produzione che abbiamo dinanzi è evidentemente così ricercata ed elaborata che si distacca del tutto da quella corrente. In altri casi, il recipiente scompare: o si diversifica nella funzione (ad esempio, uri fischietto sempre per uso rituale), o si diversifica nella natura, dando luogo ad opere totalmente autonome dell'arte plastica. E qui avviene una divaricazione del tutto tipica dell'arte precolombiana: talune immagini sono realistiche, anzi consentono di individuare personaggi della vita comune come operai, artigiani, sacerdoti; altre immagini, invece, sono irreali, per la deformazione di alcune componenti o per la giustapposizione di componenti diverse, sicché rappresentono esseri che non esistono in natura. Ed ecco l'intervento del colo re. Vario, denso, vivido, esso è tuttavia per lo più scisso dalla realtà, serve a rendere attraenti le immagini ma non a evocarne l'aspetto. In qualche caso, ad esempio sul corpo delle figure, esso può trarre ispirazione dalla veste; può trovare in essa uno spunto naturale; ma per lo più, specialmente nei visi, una spiegazione del genere non è possibile e dobbiamo convincerci che quello che a noi più interessa, il richiamo alla realtà, è quello che meno interessa l'artista precolombiano. A questo punto, si può ricordare che anche nel nostro mondo la terracotta è servita e serve spesso per foggiare delle figurine; anzi, di ciò si hann sempi fin dagl'inizi della storia. Ma, ancora ima volta, la situazione è diversa: da noi le figurine in terracotta restano, attraverso i secoli e i millenni, un prodotto tipico dell'arte popolare. Nel mondo precolombiano, invece, la terracotta è strumento di un'arte colta e raffinata, di officine che lavorano per i centri direttivi del potere e della fede. Non manca, certo, la statuaria in pietra; ma quella in terracotta non è da meno per qualità, ed è quantitativamente più diffusa. Abbiamo considerato finora le ceramiche precolombiane come una relativa unità, qualcosa che ci si pone dinanzi diversificandosi da ciò che siamo e da come concepiamo l'espressione artistica, anzi la stessa esistenza. Questo è vero in parte, nel senso che il continente americano ebbe sviluppi di cultura globalmente diversi, nelle concezioni e nelle espressioni, dai nostri. Ma d'altra parte, come la nuova sezione del Museo di Faenza insegna, quante varietà interne emergono in quel mondo! Anzitutto, nel tempo. Per un atteggiamento tanto irriflesso quanto diffuso, si tende a considerare le culture precolombiane come databili all'epoca della scoperta dell'America, o poco prima. Se così le trovò Cristoforo Colombo, si pensa con un passaggio mentale gratuito, così erano e così dobbiamo fissarle nel tempo, al 1492. In realtà, non appena si è cominciato ad analizzare i reperti e si sono avviati scavi nel territorio di quelle civiltà, si è visto che esse risalgono indietro nei secoli e nei millenni, che vi sono testimonianze anteriori e di molto all'età cristiana. In altri termini, i «selvaggi» che incontrarono i conquistatori erano in realtà gli eredi di un passato millenario, che i mezzi tecnici della moderna archeologia (in particolare la datazione con il radiocarbonio) consentono di riscoprire. D'altronde, alla diversa dimensione nel tempo si affianca la varietà nello spazio. Anche qui siamo stati finora prigionieri delle tradizioni, che hanno concentrato negli Aztechi, nei Maya e negl'Inca la realtà etnica dell'America precolombiana. Invece, la realtà è ben diversa. Nell'esposizione di Faenza, emerge una serie di autonome varietà culturali nel Messico (Aztechi e Maya, ma anche 01mechi, Toltechi, Zapotechi, ecc.); nell'America centrale (culture degli odierni Salvador, Nicaragua, Venezuela, Colombia, Ecuador, ecc.); nel Perù (Inca, ma anche Chimù, Paracas, Nazca, ecc.). E se in queste aree si concentrano le manifestazioni, ciò dipende unicamente dal fatto che esse sono finora le più conosciute, in quanto più esplorate. Da ultimo, perché questa rivelazione avviene a Faenza? Il motivo, o meglio la condizione preliminare, sta nella natura stessa del Museo, che a differenza della maggior parte delle istituzioni del genere non pone a fuoco un'epoca o un popolo o una cultura, bensì un tipo di produzione quale è la ceramica. Posto tale denominatore, è naturale che si cerchino le testimonianze della produzione in ogni tempo e luogo, come componenti essenziali di un discorso che la qualifichi e la definisca in tutta la sua estensione. I futuri specialisti Il Museo di Faenza, sorto nel 1908 e sviluppatosi sotto la direzione successiva di Gaetano Ballardini, Giuseppe Liverani e Gian Carlo Bqjani, realizza appieno questo suo compito. Si aggiunga che le testimonianze precolombiane vi si trovano fin dall'inizio, anche se non era ancora il tempo di uno studio critico. All'inizio della seconda guerra mondiale, l'ammontare della raccolta era di 150 esemplari, che però la parziale distruzione del museo ridusse a un centinaio. Poi cominciarono la ricostruzione e l'ampliamento, che si sono intensificati negli ultimi anni. Tra donazioni e acquisti, il patrimonio ammontava, nel 1985, a quasi cinquecento esemplari; e ne dava una catalogazione scientifica (anche questa è una caratteristica del Museo) Antonio Guarnotta. Da ultimo, ai nostri giorni, si è saliti tra acquisti e donazioni (ricordiamo in specie quella di 260 esemplari peruviani da parte di Sergio Purin) a un complesso di circa ottocento esemplari, un quarto dei quali è stato scelto per l'esposizione, mentre gli altri sono a disposizione degli studiosi. Se si aggiungono gli efficaci pannelli didattici, si vede che la parte relativa alla ricerca è particolarmente curata nel Museo. Si formeranno qui i nostri futuri specialisti delle civiltà del Nuovo Mondo? E' presumibile di sì, perché questo è un centro quanto mai attivo e funzionale. Diciamolo con franchezza: quegli specialisti occorrono, e urgentemente, perché la nostra ricerca del passato, tanto evoluta nei riguardi del mondo greco-romano, non finisca col relegarsi in posizione periferica sul piano internazionale. Di provincialità, davvero, non abbiamo bisogno. Sabatino Moscati Tazza n terracotta. Coste meridional del Perù, periodo Nazca. -II secolo dopo Cristo. Nel mondo precolombiano questi oggetti appartengono a un'arte colta e raffinata Sotto: piccola bottiglia a due becchi. Anch'essa è in terracotta. Perù, coste meridionali, l-il secolo dopo Cristo. Al Museo sono esposti oltre duecento pezzi provenienti dall'America Tazza in terracotta. Coste meridional del Perù, periodo Nazca. I-II secolo dopo Cristo. Nel mondo precolombiano questi oggetti appartengono a un'arte colta e raffinata Sotto: piccola bottiglia a due becchi. Anch'essa è in terracotta. Perù, coste meridionali, l-il secolo dopo Cristo. Al Museo sono esposti oltre duecento pezzi provenienti dall'America tti annil o, e iae ea e a i), a, no è a ti ne d e, la il nenstsiantria e sccanste cirua tolimzipptiSspvptocspmdgnpind

Persone citate: America Tazza, Antonio Guarnotta, Cristoforo Colombo, Gaetano Ballardini, Gian Carlo Bqjani, Giuseppe Liverani, Sabatino Moscati, Sergio Purin