Il killer uccide tre volte, poi muore

Il killer uccide tre volte, poi muore Strage di camorra a Castellammare: il sicario colpito dal boss che avrebbe dovuto eliminare Il killer uccide tre volte, poi muore L'agguato durante la finale Mundial Quest'anno già centodiciannove delitti CASTELLAMMARE DAL NOSTRO INVIATO Per lui uccidere era semplice routine. Non a caso la gente del paese lo chiamava «Settepistole»: il sicario più efficiente della provincia. Sicuramente migliore del fratello, suo socio in affari, caduto un anno fa in un'imboscata. Perciò, l'altra sera, Ferdinando Panariello, 36 anni e una dozzina di morti sulla coscienza, era come sempre sicuro di sé. Dai boschi del Monte Faito, l'Aspromonte napoletano in cui da anni si rifugiano gli uomini di Umberto Mario Imparato, il «boss in cravatta», elegante e colto quanto spietato con i nemici, aveva ricevuto un incarico: uccidere Alfonso Sicignano, 28 anni, «piazzista» di eroina per conto di Michele D'Alessandro, leader storico della mala di Castellammare di Stabia, che continua a dirigere la sua industria del crimine nonostante sia in prigione da un anno. L'altra notte «Settepistole» ha onorato il «contratto». Ma è stato l'ultimo. Da solo, armato con due pistole, ha sfondato a calci la porta di casa Sicignano e ha aperto il fuoco. Ha ucciso tre persone, ma la quarta, proprio quell'Alfonso che era stato condannato a morte, è riuscito a disarmarlo e a sparargli un colpo alla nuca. In poco più di un anno è la seconda strage che insanguina Castellammare di Stabia. Ieri mattina, poche ore dopo il massacro, Castellammare sembrava in stato d'assedio. Da Roma è arrivato il prefetto Luigi Rossi, direttore del dipartimento centrale di polizia criminale. L'inviato del ministro Gava ha tenuto una serie di riunioni con il prefetto Angelo Finocchiaro, il capo della Criminalpol-Sud Matteo Cinque, il responsabile della squadra mobile Sandro Federico e il comandante del gruppo Napoli 2 dei carabinieri. Il tentativo è di interrompere la lunga scia di sangue che percorre tutta la provincia di Napoli: 119 morti dall'inizio dell'anno, una trentina dei quali a Castellammare. Il racconto di quanto è accaduto l'altro ieri sera comincia con il fischio di un arbitro, quello che decreta la fine della partita di calcio tra Germania e Argentina e consacra i tedeschi campioni del mondo. Per «Settepistole» è il momento ideale per entrare in azione. L'obiettivo è un appartamento al piano ammezzato di un'anonima pa¬ lazzina popolare in via Venezia, una lunga striscia d'asfalto piena di buche che da Castellammare porta a Torre Annunziata. Un paesaggio deprimente, i cui confini sono segnati da un lato dai capannoni abbandonati dalle industrie in crisi, dall'altro da un mare irrimediabilmente inquinato dal fiume Sarno, uno dei più sporchi d'Italia. Nel salotto dell'appartameli- tino al numero 14, quattro uomini hanno lo sguardo incollato alla tv. Sono Alfonso Sicignano, camorrista di rango, agli arresti domiciliari da quando, un anno fa, la polizia lo sorprese con 120 dosi di eroina e cinquanta grammi di cocaina, il padre Pasquale, 62 anni, anche lui legato al clan dei D'Alessandro, e due suoi amici: Carmine Flauto, 38 anni ed Eugenio Della Mura, di 35. Probabilmente «Settepistole» non sa che di lì a qualche secondo si troverà alle prese con tante persone. E' convinto che in quella casa troverà solo i due Sicignano, quando ar¬ riva in via Venezia su una Fiat «Regata» guidata da un complice. Il resto della storia si consuma sul filo dei secondi. Ferdinando Panariello sembra un pistolero da film western, quando con un calcio sfonda la porta e affronta le sue vittime con due pistole in pugno. Ha un passamontagna calato sul volto, e le mani sono protette da guanti da chirurgo. Spara subito, all'impazzata, falciando gli avversari. Uno dopo l'altro cadono Pasquale Sicignano e Carmine Flauto. Eugenio Della Mura, ferito, arranca verso il balcone, nel tentativo di sca¬ valcare la ringhiera e raggiungere la strada. Ed è a questo punto che «Settepistole» compie un errore che gli sarà fatale. Nella fretta di finire la sua preda corre anche lui verso la finestra, e non si accorge che Alfonso Sicignano è vivo. Così la vittima designata finisce col diventare assassino: approfitta di quell'attimo di distrazione e attacca l'avversario alle spalle, cogliendolo di sorpresa. Riesce ad impossessarsi di una pistola e spara un solo colpo a bruciapelo, centrando il bersaglio alla testa. Per «Settepistole» non c'è più nulla da fare. Se ne accorge subito il suo complice in attesa nell'auto: quando vede il corpo afflosciarsi sul balcone ingrana la prima e fugge a tutta velocità. Ai condomini che hanno sentito gli spari e sono accorsi nell'appartamento non rimane altro da fare che avvertire la polizia e accompagnare in ospedale Eugenio Della Mura. L'uomo, colpito al petto, morirà dopo sei lunghe ore di agonia. Alfonso Sicignano è riuscito a fuggire. Ormai è l'unico superstite della famiglia. Prima del padre, i sicari del clan di Imparato gli avevano ammazzato l'unico fratello, Giuseppe, caduto con altri quattro «guaglioni» di Michele D'Alessandro nell'altra strage, il 21 aprile dell'89. Fulvio Milone ti tino al numero 14, quattro uomini hanno lo sguardo incollato alla tv. Sono Alfonso Sicignano, camorrista di rango, agli arresti dmicilii d d riva in via Venezia su una Fiat «Regata» guidata da un complice. Il resto della storia si consuma sul filo dei secondi. Ferdid Prill b i li luogo della sparatoria e nei riquadri il killer Ferdinando Panariello e una vittima, Eugenio Della Mura