Molti azzurri smontano un ridicolo alibi

Molti azzurri smontano un ridicolo alibi Molti azzurri smontano un ridicolo alibi «Tifo poco caldo? Iproblemi erano in campo, non sugli spalti» MARINO. Maradona continua a vincere, anche dopo la partita. Il suo appello tribunizio ai «fratelli napoletani» ha diviso il pubblico e ora frantuma la Nazionale, in questo caso specchio e simbolo degli umori di un Paese che continua a macerarsi in un razzismo latente e inestinguibile. Sotto accusa, il comportamento degli spettatori del San Paolo e di quella parte di città che ha tirato notte fonda nei festeggiamenti per il successo del Pibe, sull'esempio dei due giornalisti partenopei che il rigore sbagliato di Serena ha sorpreso stretti in un abbraccio di felicità non molto apprezzato dai colleghi italiani della tribuna-stampa. Il presunto razzismo all'incontrario dei napoletani scompagina la malconcia brigata azzurra su più fronti. Iniziamo da quello degli intransigenti-scandalizzati, capitanato dal povero et, che non sapendo più a che santo votarsi per giustificare la sconfitta, ha appunto scelto il San Paolo di Fuorigrotta, sperando che funzioni come alibi. Già nel dopo partita, Vicini aveva gettato il sasso, utilizzando una delle sue tipiche frasi circonlocutorie per affermare che «il pubblico di Roma ci aveva abituati in ben altra maniera». Veniva in suo sostegno capitan Bergomi, con una considerazione inconfutabile: «A Roma la gente era tutta per noi. Qui no». In effetti, accanto alla sparuta frangia di tifosi autorizzati a tifare Argentina, in quanto dotati di regolare passaporto, in curva A stazionavano martedì sera circa duemila ultra napoletan-maradoniani, già protagonisti durante la stagione di memorabili campagne, dirette a sensibilizzare gli altri settantottomila occupanti dello stadio sulle nefandezze perpetrate ai danni di Dieguito dal bieco Ferlaino e dagli ancor più biechi «giornalai». Pretendere che la coorte personale di Maradona volgesse le spalle al suo condottiero proprio nel Mondiale è un sogno da patrioti idealisti. Ma sostenere che quei 2 mila abbiano infetto gravi ferite al morale degli azzurri è tesi davvero suggestiva. Vicini l'ha corretta ieri mattina, azionando una retromarcia che aggiunge un risvolto umoristico a una vicenda altrimenti mediocre: «I 90 mila dell'Olimpico ci garantivano un apporto maggiore per la struttura dello stadio. Quello di Napoli è diverso e poi aveva tanti posti vuoti, creando così un ambiente meno caldo». Le colpe andrebbero così spostate dai tifosi agli architetti, anche se è difficile capire in cosa davvero consista questa conclamata diversità: non certo nella distanza del pubblico dal campo di gioco, dato che anche a Roma c'è la pista esattamente come allo stadio di Napoli. In attesa che padre Azeglio si (ci) chiarisca le idee, un parere più circostanziato, quello di Boniperti: «Il pubblico di Napoli ha fatto il tifo per l'Italia, ma non lo stesso tifo che assicura al Napoli». Quindi un semplice problema di intensità, al quale non è estraneo il diktat maradoniano nell'imminenza della sfida. Diego ha fatto un ragionamento scaltro e capzioso, ma non privo di un fondamento di verità: «Andate al nord e vi urlano "benvenuti in Italia, colera, lavatevi" - ha detto Dieguito ai napoletani -. E adesso in nome di cosa dovreste delirare per il tricolore?». «Evidentemente quelle parole hanno lasciato un segno - riconosce De Agostini -. Non c'è niente da fare. Quando la butti sul razzismo, qualcosa resta». Parole sante, ma intanto la squadra non è affatto in sinto¬ nia con la sortita di Vicini. E se Ancelotti e Giannini si limitano a non rincorrerlo sullo stesso terreno («I problemi erano in campo, non sugli spalti»), Ciro Ferrara, napoletano purosangue e napoletano ignorato dalle scelte tecniche, non ha nessun timore a contraddirlo, vestendo i panni del difensore civico con una dura requisitoria: «Tutte scuse. Hanno fischiato persino Maradona, cosa pretendete. A proposito di fischi: a Roma, contro Usa e Uruguay, ne abbiamo beccati anche noi, mentre a Napoli mi risulta che non ne sia volato neppure all'Italia». Poi, l'amara conclusione: «Mi ferisce l'ipocrisia: se avessimo vinto, tutti adesso direbbero grazie al "magnifico pubblico napoletano". E' la solita discriminazione nei confronti della mia città: non si perde occasione per screditarla. Aveva proprio ragione chi diceva certe cose». E dietro al «chi» si cela quel drittone di Diego Armando Maradona. [mas. gra.]