Non penso, non so, non parlo di Massimo Gramellini

Non penso, non so, non parlo Il GianDuca nella polvere ha la coscienza a posto: ha obbedito a Vicini Non penso, non so, non parlo Viallipara le accuse e prende le distanze MARINO DAL NOSTRO INVIATO Nell'Italia che affo«a c'è il primo disperso: Vialli, GianDuca azzurro, eroe negativo, parafulmine obbligato del malcontento generale. Se padre Azeglio è un parroco, Vialli è il suo sagrestano. Una bella coppia, protagonista dei più recenti trionfi della Nazionale: la finale di Spagna con l'Under 21, la semifinale degli Europei '88 contro l'Urss e quella dell'altra sera contro l'Argentina. Per non parlare del fiero rigetto sottoscritto da entrambi - degli schemi moderni del Milan di Sacchi. Passaggio cruciale per chi voglia comprendere le ragioni di un fallimento che è parziale nei risultati ma assoluto nell'immagine: è l'Italia di Vialli, non quella di Schillaci e Baggio, che esce da questa avventura con le ossa rotte. Dopo averlo escluso, dietro sua precisa richiesta, dalla formazione titolare, Vicini ha riesumato il GianDuca a Napoli, con un atto di devozione dai risvolti suicidi. Ma più ancora che sul campo, Vialli ha perso il suo Mondiale nelle pubbliche relazioni, vittima di quel personaggio freddo e a tratti indisponente che si è costruito negli anni della gloria, con un'assidua e insipida frequentazione del mezzo televisivo. Il rendiconto finale di ieri gli offriva l'occasione di un cambio di rotta. E invece il GianDuca non si è smentito neanche stavolta: garbato, ironico, reticente, al¬ tezzoso. Le sue parole scivolano giù come un bicchiere d'acqua. Ghiacciata. Capitolo Primo: l'Indisponente. «Non tocca a me parlare della mia prestazione. Non l'ho mai fatto, non vedo perché dovrei cominciare a farlo proprio ora. Giudicate voi, pensateci voi. Io non penso. Io gioco e obbedisco a Vicini. Che avrebbe fatto l'Italia senza Schillaci? Non lo so. Criticheranno più Vicini per aver fatto giocare Vialli o Vialli per come ha giocato? Non lo so. Non ho opinioni personali. Se le avessi, non ve le direi, o non sarebbero tali». Capitolo Secondo: l'Indifferente. «A gennaio dicevano che mi risparmiavo nella Samp per pensare al Mondiale. Adesso dicono che mi son risparmiato durante il Mondiale per pensare alla Samp, dalla quale sicuramente non mi muoverò. Amareggiato? No. Lo sarei se pensassi che arrivare terzi e non segnare neppure un gol in tutto il torneo sia la fine del mondo. E poi nel calcio si dimentica in fretta. Avessimo vinto i Mondiali e poi perso a settembre la prima partita di qualificazione agli Europei, il trionfo sarebbe stato subito dimenticato per lasciare il posto alle critiche». Capitolo Terzo: la Vittima. «Sapevo che il mio Mondiale sarebbe stato ingigantito, nel bene e nel male. A me basta avere la coscienza a posto: ho fatto quel che ho potuto, tenendo conto dei problemi che ho avuto. Ecco, tornassi indietro, non rifarei quel colpo di tacco contro gli Usa che mi ha procurato il dolore alla gamba. Adesso credo che non parlerò più di pallone per un anno. Ho la nausea delle interviste, questo rapporto di amore-odio con la stampa mi ha reso saturo. Giocherò e basta. Anche se magari fra due mesi mi rimangio tutto perché è ritornata la voglia di dire un sacco di scemenze. Ma fronteggiare i giornalisti non è la cosa più difficile. La cosa più difficile è fare gol». Capitolo Quarto: il Capo. «Questa squadra aveva tutto per vincere il Mondiale. Azzeccate tutte le scelte. Con l'Argentina un solo nuovo, io, ma non ho sbilanciato l'assetto, ho giocato più arretrato di Baggio. Forse nel primo turno avremmo dovuto spendere meno energie, far correre di più la palla e meno le gambe, per risparmiarle in vista delle partite decisive. Qui non vincono i più forti, decide la fortuna. E noi di fortuna ne abbiamo avuto poca, anche se - in compenso - abbiamo avuto anche poca sfortuna. Gli arbitri non ci hanno avvantaggiato, e ne sono contento, altrimenti avrei smesso di credere nello sport che pratico. Peccato. A parte il discorso economico, vincere il Mondiale significava entrare nella storia e restarci anche dopo morti. Adesso pensiamo al terzo posto e poi alle vacanze: non so ancora dove andare, magari faccio un salto in Argentina...». Massimo Gramellini Idoli infranti. Non basteranno gli occhiali neri a difendere Vialli dalle critiche