Il fantasma di Carlos dagli archivi del terrore

Il fantasma di Carlos dagli archivi del terrore Dai documenti delle vecchie polizie comuniste inquietanti verità sul decennio di sangue Il fantasma di Carlos dagli archivi del terrore Vita e (forse) morte d'un killer inafferrabile iiilORNA Carlos dal fondo 'Il degli archivi di una polizia politica che lavorava nel vecchio mondo coJJmunista, e subito tornano con lui i fantasmi di un passato ancora non conosciuto. Per un intero decennio di sangue inutile, di paure e di angosce collettive, è stata inseguita l'ombra di un Grande Vecchio, la centrale che si vedeva pilotare il disegno della destabilizzazione internazionale manovrando dall'oscurità le marionette cieche del terrorismo. Ci sono stati dubbi e sospetti atroci, ma non sempre disinteressati: Gheddafi, Assad, Sofia, i Lupi Grigi, Arafat, la P2, le schegge impazzite dell'estremismo europeo, tutti costoro sono stati a lungo le rete intrecciata di interessi e di misteri sulla quale sembrava che dovesse esaurirsi ogni ricerca di verità; e Kgb, Cia, e Mossad israeliano erano i motori immobili di un Grande Gioco di protagonisti e comparse spesso ignare delle manovre in corso tra poteri politici, servizi segreti, e adepti del fanatismo ideologico. Ogni progetto d'inchiesta ha finito per chiudersi sotto l'affanno soffocante delle troppe verità doppie, dei silenzi ufficiali, anche dei conformismi obbligati. L'apertura degli archivi dell'Est, pur con tutte le cautele di situazioni ancora ampiamente inaffidabili, comincia a disegnare uno scenario fino a oggi impraticabile. Il primo squarcio l'ha prodotto una decina di giorni fa l'arresto degli otto sospetti terroristi della Raf, la Rote Armee Fraktion di Baader e Meinhof, ospitati dalla Germania dell'Est come cittadini irreprensibili con nuovi passaporti e nuove identità sociali fornite dalla vecchia polizia segreta dello Stato comunista; l'onnipotente Stasi. La rivelazioni da Budapest Ora si va più avanti, con le rivelazioni fatte a Budapest dal ministro Balasz Horvath, che ha reso pubblica una lettera del terrorista Carlos al vecchio segretario del pc magiaro, Janos Radar. Carlos di proprio pugno, in data 2 aprile 1980, ringrazia per l'ospitalità che il leader comunista ha concesso a lui e ai suoi uomini, e riconosce «i vantaggi della sicurezza che ci è stata garantita dall'Ugheria socialista»; poi anche allarga l'orizzonte all'intero mondo dell'Est: «I Paesi socialisti permettono ai nostri combattenti di passare liberamente attraverso i territori dei loro Stati, e ci sono segni molto evidenti del rapporto che si sta ormai costruendo con la nostra organizzazione». La firma è di Carlos, «a nome dell'Organizzazione dei Rivoluzionari Internazionali». La polemica si è riaperta subito. Dopo l'editoriale di Le Monde titolato «Terrorismo e comunismo», la Rossanda nel Manifesto ha ironizzato amaramente sulle conclusioni affrettate delle «menti più acute», rovesciando il titolo del giornale parigino «Comunismo, cioè terrorismo», mentre Ferrara rivolge dal Corriere della Sera un richiamo alla cautela per «un terreno malaticcio e infido», facendo anche lui ironia su «la spia che viene sempre dal freddo». La lezione del passato pare essere la ragione di fondo dello scontro, mentre tornano a riflettersi sulla superficie del dibattito politico le ombre inquiete di quelle esperienze di vita che, come in Carlos, costituirono gli itinerari individuali del terrorismo. Carlos risolveva nella propria storia le contraddizioni di un percorso che appare esemplare: figlio di un ricco avvocato venezuelano, ricco e però ortodossamente marxista, è prima liceale all'Avana, poi studente e contestatore nell'università sovietica Patrice Lumumba, e terrorista infine per conto dei feddain. Il profilo del suo viaggio verso la lotta armata unisce le capitali mondiali della rivoluzione negli Anni Sessanta e Settanta, Cuba, Mosca, e la Palestina, mettendo assieme i contenuti ideali di un processo di formazione politica che trae dalle lotte di liberazione nazionale del Terzo Mondo e dai principi dell'internazionalismo marxista i connotati di una larga identità generazionale. Nato nell'ottobre del '49 col nome di Illich Ramirez Sànchez, Carlos è un fratellino minore del Che Guevara. Nel Venezuela addormentato dal fiume dovizioso del petrolio, lo spirito di ribellione contro le ingiustizie di una società pesantemente squilibrata si fa per un adolescente catechizzato dal padre (i fratelli di Carlos si chiamano Lenin e Vladimir) tentazione dei miti, recupero diretto dell'eredità rivoluzionaria castrista. Il pedagogismo di Cuba e poi l'adozione nella cerchia ristretta dell'università Lumumba sono state le tappe tipiche di formazione delle leaderships terzomondiste, destinate a tonnare poi nei loro Paesi d'America Latina, d'Africa, e d'Asia, con una radicata convinzione del ruolo che l'esperienza leninista, e il modello sovietico, possono avere per il riscatto delle società sottosviluppate. Per Carlos, però, il processo di formazione s'interrompe al terzo anno di università, quando la sua rivolta contro una scelta politica di Mosca a danno di alcuni studenti africani (e lui manifesta pubblicamente a fianco di questi suoi compagni) gli costa l'espulsione dalle aule del Lumumba. Nel giovanotto venezuelano che ha vissuto quotidianamente l'allegro vitalismo dell'esperienza cubana, e l'esaltazione felice degli anni del lavoro volontario nel taglio della zafra, le sovrastrutture rigide del comunismo sovietico appaiono una burocratizzazione eccessiva, insopportabile, il cloroformio sui desideri adolescenti di rivolta; e lui se ne libera con uno strappo violento. Naturalmente, come per tutte le biografie degli agenti più celebrati, questo strappo plateale ha una lettura rovesciata: può essere considerata la rottura pubblica che nasconde invece l'arruolamento clandestino nelle file degli uomini della Lubjianka. Si costruisce cioè un'identità esterna, di estremismo rivoluzionario, per coprire il ruolo reale di infiltrato, e di collegamento, nelle file del terrorismo internazionale. Nella pratica dello spionaggio il gioco della ricerca del vero è perverso, come in una galleria di specchi che rimandano una realtà inafferrabile; e non merita perdercisi dentro. Quello che conta è comunque la riapparizione a Londra, nella School of Economics, dello studente espulso da Mosca perché troppo ribelle, la sua frequentazione ora delle ambasciate latinoamericane e mediorientali, un suo stile di vita spendaccione ed esaltato. Tutto secondo copione, fin dai fasti di Mata Hari. Le incertezze sui suoi obiettivi reali durano comunque poco. I servizi segreti americano e israeliano lo segnalano nel '71 al campo di formazione guerrigliera di Wadi Haddad, nel Libano meridionale, al fianco di giovani rivoluzionari che segneranno poi, per tutti gli Anni Settanta, la tragica parabola del terrorismo: arabi, tedeschi, giapponesi, italiani, francesi, in una mappa di sangue e di disperazione che ignora le frontiere e squassa la politica. Dopo il fallimento guevariano e la scoperta della potenza dell'arma petrolifera, il Medio Oriente diventa il nuovo terreno di scontro; e Carlos passa presto in Francia a prendere il comando della cellula Boudia. E' il '73, in meno di un anno l'Europa intera viene traversata da una violenta frustata di terrore: è attaccato un treno di ebrei sovietici a Vienna, è occupata l'ambasciata dell'Arabia Saudita a Parigi, è ucciso a Londra il vicepresidente della federazione sionista, è assaltato a Fiumicino un Boeing della Pan Am. E dovunque s'incontra il nome di Carlos. Servizi segreti Ci saranno poi l'attacco all'ambasciata francese dell'Aia, il rapimento di Peter Lorenz a Berlino, l'attentato all'aeroporto di Orly, le bombe a Saint-Germain, Londra, e Berlino, fino al gran colpo del sequestro dei magnati del petrolio, a Vienna, nel dicembre del '75, con la lunga odissea delle trattative, il viaggio ad Algeri, la scomparsa dei terroristi nel nulla della clandestinità protetta. Carlos diventa il ricercato numero uno, e dalle tracce che l'Interpol e gli uffici dell'antiterrorismo seguono affannosamente in tutta Europa vengono lentamente alla luce le ambiguità e i sospetti che accompagnano non solo la sua carriera, ma anche l'intero tracciato del terrorismo negli anni di piombo. Dietro Carlos Martinez, infatti, o Simon Clark, o Glen Gebhard, o Adolph Bernard, o una delle infinite altre identità che Illich Ramirez Sànchez assume in giro per il mondo, restano segni inequivocabili di presenze dei servizi segreti, compresi quelli italiani del Sid fin dal tempo dell'arresto dei cinque arabi a Fiumicino nel settembre del '73. E la carriera di un terrorista celebre diventa un incastro complicato di sfaccettature la cui ricostruzione rischia di perdersi nelle sabbie mobili del Grande Gioco. Ufficialmente la vita di Carlos, che aveva firmato gli ultimi attentati ancora nell'84, si chiude nel 1986, quando dal Medio Oriente arrivano voci che lo vogliono morto, ucciso dai libici perché sapeva troppo. La notizia è verosimile, che sia vera è altro discorso. Un archivio che si apre a Est può aiu • tare a ricostruire la vicenda di un uomo e la lunga cronaca dei fatti; la ricerca delle loro spiegazioni, delle loro origini, delle scelte e delle decisioni che le hanno dettate, sarà una storia ancora lunga. Mimmo Candito Carlos fra la madre ed un'amica, in una foto del 78, durante un party a Londra