Adam SMITH torna e batte Karl MARX di Mario Ciriello

Adam Smith torna e batte Karl Marx A due secoli dalla morte, il primo teorico del «mercato» è la nuova superstar Adam Smith torna e batte Karl Marx Tutti lo vogliono, anche da sinistra DLONDRA UE tombe, una lezione di storia. Una lezione tanto maestosa che an 1 cora non se ne intravede la fine. Due sepolcri che il caso, con regìa sagace e mordace, ha voluto entrambi in quest'isola, quello di Karl Marx e quello di Adam Smith. Non si può sfuggire oggi al simbolismo della loro simmetrica presenza. Karl Marx muore una seconda morte, Adam Smith rinasce, rivive. Era una calamita irresistibile, la tomba di Karl Marx, nel soave cimitero di Highgate, a Londra. Il turista curioso si avvicendava al comunista commosso. Per chi giungeva dall'Est, politico o artista, ginnasta o giornalista, la visita era de rigueur, un obbligo più che ideologico, quasi morale. Tutti fotografavano l'ipertrofica testa, imperiosa e leonina, sul tozzo cippo, con l'epitaffio Workers of ali Lands Unite; tutti sostavano, riflettevano, su uno sfondo di rispettosi bisbigli. Ora è sceso il silenzio. Povero Marx! La rivoluzione a Est ha lacerato il suo carisma, più nessuno gli rende omaggio. E' già un monumento negletto che attende, triste, le ragnatele. Al proscenio, c'è adesso un altro luminare, Adam Smith, che dorme nel camposanto della Canongate Kirk, una chiesa di Edimburgo. E' un sepolcro di scozzese austerità, il filosofo-economista giace nell'umido terreno, presso un muro, decorato da semplici motivi palladiani e dei titoli delle sue opere: The Theory Of Mordi Sentiments del 1759, An Inquiry Info The Nature And Causes Of The Wealth Of Nations del 1776. Morì duecento anni fa, Adam Smith, il 17 luglio del 1790, e l'anniversario richiamerà a Edimburgo, nei prossimi giorni e nei prossimi mesi, una costellazione di celebrità. Banchieri, statisti, scrittori, imprenditori, studiosi, nomi illustri dell'Ovest e dell'Est. Il 17 luglio, ben 11 premi Nobel per l'Economia, Samuelson e Modigliani in testa, si daranno appuntamento a Kirkcaldy, luogo natio di Smith, vicino a Edimburgo. Giochi di Borsa alla tv sovietica Adam Smith superstar, proclama un foglio scozzese. Superstar due volte, perché nel 1776 il suo volume sulla Wealth of Nations (La ricchezza delle Nazioni) fu subito accolto come una pietra miliare: e superstar, ora, alla soglia del Duemila, perché l'intero mondo ex comunista, e non soltanto in Europa, prega al tempio del «mercato», un mercato di cui Smith fu se non l'inventore l'architetto, l'evangelista. La fede in Das Kapital è divenuta la fede in The Wealth of Nations, fin troppa, con un ardore che non di rado travisa le osservazioni e le intenzioni del tranquillo studioso di Kirkcaldy. Un volo vertiginoso dal nobile utopismo del filosofo tedesco al pragmatismo dello scozzese. C'è già chi segnala un'esplosione di smithmania. Un esempio, fra i mille. Un accordo fra la televisione sovietica e una società di New York porterà sugli schermi di Mosca, per un minimo di 52 settimane, un teleprogramma americano sui «soldi», su come si fanno e si accumulano, dalla Borsa alle merchant banks, dalle azioni alle obbligazioni, dai tassi d'interesse ai futures. Titolo della serie: «Il mondo della finanza di Adam Smith». Non si può fare a meno di sorridere: i moscoviti non potranno comprare zucchero e carne, scarpe e mutande, ma potranno imparare le astuzie tattiche dei giochi in Borsa. Non è lontano forse il giorno in cui si smerceranno a Est ma- ghette con l'immagine dell'imparruccato Smith. Nulla di sorprendente. Per anni, il barbuto volto di Marx è apparso sugli indumenti dei giovani occidentali e su quegli emblemi ideologici che erano badges e posters. Ancora dieci anni fa, le idee di Adam Smith erano considerate brillanti ma vecchie, un magnifico esempio di pensiero «neo-classico», non più adatte però alle società contemporanee. Esistevano allora due pianeti economici, politici e sociali. Il pianeta marxista e il pianeta keynesiano. Ora, il primo è abbandonato, come il sepolcro del suo profeta nel cimitero di Highgate; il secondo non è più accettato ciecamente, come un approdo magico e felice. S'è così riscoperta la robusta validità della lezione di Smith, lo scozzese che Paul Samuelson ha giustamente descritto «il padre dell'economia moderna o dell'economia politica». Mai Adam Smith ha avuto tanti discepoli, tanti seguaci, tanti ammiratori, ovunque, come in questo anno, a due secoli esatti dalla morte. E che cosa avviene? Tutti si contendono il nuovo idolo. Non soltanto i pensatori e gli attivisti della destra economica, i thatcheriani, i free mafketeers, che si proclamano figli ed eredi di Adam Smith, ma anche dense schiere della sinistra. Sarà il tema del grande dibattito della «Adam Smith Bicentenary Conference», a Edimburgo, a metà luglio. Gli undici Nobel e altre erudite voci tenteranno di misurare la precisa posizione di Adam Smith nell'odierno firmamento economico e politico. Ricerca necessaria, perché, non c'è dubbio, i falchi conservatori si sono appropriati delle sue dottrine con arroganza eccessiva, vorace. Non menzionano che Adam Smith esaltava il libero mercato ma ne additava i limiti, specie nella sfera sociale. Forse il pensatore scozzese non avrebbe votato per Margaret Thatcher. Non ammirava i businessmen e scrisse: «Le conversazioni di coloro che commerciano finiscono in macchinazioni contro il pubblico o in qualche artificio per alzare i prezzi». Non ammirava i ricchi e scrisse: «Si godono la loro ricchezza facendone sfoggio e il piacere è tanto più completo quando possono ostentare i segni di un'opulenza che nessun altro possiede». Diffidava pure dei governi maestri nell'arte «di estrarre quattrini dalle tasche della gente») ma, a differenza di Maggie, va allo Stato il compito di difendere i ceti più deboli e di realizzare certi progetti di interesse nazionale. Un commentatore scrive a Edimburgo: «Smith avrebbe trovato assurda l'idea di affidare l'intero finanziamento del tunnel sotto la Manica al capitale privato». Un'etichetta dunque è sbagliata, quella che descrive Adam Smith un «conservatore». L'uomo di Kirkcaldy era un pugnace riformatore, nella geografia politica del Settecento pre-industriale. E' logico. Voleva abbattere i mille ceppi, i mille protezionismi, statali, corporativi, privati, che soffocavano l'economia, che impedivano l'avvento di un vero mercato e di tutti i suoi benefici. Era quasi un rivoluzionario, come lo erano tutti coloro che un libero mercato chiedevano, qualche anno fa, in Russia e nel suo impero. L'influenza di Smith fu immediata, immensa e perdurò per tutto il XIX secolo. In Inghilterra, fu lo statista liberal Gladstone ad attuare molti dei suoi insegnamenti avversati invece dallo statista tory Disraeli. Strano? No. Erano insegnamenti innovatori, radicali, che colpivano gli interessi di un certo establishment. Qual è la «ricchezza delle nazioni»? domanda Smith. Non è quella che giace nei forzieri del sovrano, dello Stato, bensì quella creata, quotidianamente, da ogni individuo. Ma quale stimolo ispira l'individuo? Soltanto il suo self-interest, il suo interesse personale, e non vi è nulla di male in questa condotta, perché, facendo il proprio interesse, fa anche l'interesse del pubblico. Smith ricorda: «Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci attendiamo il nostro pranzo, bensì dal loro riguardo per il proprio interes- se». E' il principio alla base del sistema economico noto come «libera iniziativa». Scorre agile senza che nessuno, individuo od organizzazione, intervenga consapevolmente nel processo collettivo di produzione e distribuzione. Ancora Adam Smith: «Ogni individuo cerca di impiegare il suo capitale affinché renda il più possibile. In linea di massima, questo cittadino non intende favorire l'interesse pubblico né sa se lo favorisce. Egli vuole soltanto la propria sicurezza, un proprio guadagno. E in ciò è guidato da una mano invisibile, che lo porta a favorire un fine che non era parte delle sue intenzioni». Poi, la frase storica, rivoluzionaria: «Attendendo al proprio interesse, l'individuo favorisce frequentemente quello della società con maggior efficacia di quando è veramente animato dal proposito di favorirla». Una «mano invisibile»? E' la mano del mercato, una mano che, pur con tutte le sue ingiustizie, sembra meno letale, economicamente e politicamente, del ferreo pugno di piloti onnipotenti e inflessibili. Era un gran brav'uomo, questo pioniere, nato nel 1723, figlio di Margaret Douglas e Adam Smith, un direttore della dogana di Kirkcaldy. Rapito a tre anni dagli zingari, è salvato dopo una lunga caccia. Educato a Edimburgo e a Oxford, scala con successo la camera accademica e nel 1751 è professor of Logic all'Università di Glasgow, una cattedra che lascerà poi per quella di Filosofia morale. La sua prima opera. The Theory of Mordi Sentiments, lo porta al proscenio del mondo intellettuale; la seconda, La ricchezza delle Nazioni, lo rende celebre. Nel 1778 è nominato direttore, a Edimburgo, delle dogane scozzesi. Muore nel 1790. Non s'era mai sposato. A Kirkcaldy, una targa indica il luogo dove sorgeva la casa della madre, in cui Smith visse dal 1767 al 1776, completando La ricchezza delle Nazioni. Brav'uomo molto distratto Era tranquillo, flemmatico, parlava poco e male, sfoggiava sempre un sorriso di inexpressible benignity, la brillante definizione di un suo biografo. Era sempre «in gran pensier», come avrebbe scritto l'Ariosto, fino a divenire la caricatura vivente del professore distratto. Infiniti sono gli aneddoti. Una volta, a Kirkcaldy, scese in giardino per una breve passeggiata, ma si mise a riflettere e, assorto nelle sue meditazioni, camminò per quindici miglia prima di essere destato dalle campane. Un'altra volta, tutto preso dalla costruzione nella sua mente della teoria sulla «divisione del lavoro», piombò nella vasca di una conceria. Era mite e gentile, ma non privo di coraggio, come quando difese con slancio l'amico David Hume, il filosofo, accusato di ateismo. Si scriveranno fiumi su Adam Smith nei prossimi mesi e agli articoli seguiranno volumi, negli anni a venire. Avremo Smith visto da destra e da sinistra, visto dall'Ovest e dall'Est. Leggeremo Smith nelle lingue dell'Europa orientale e dell'Asia. Persino la sua tomba nella Canongate Kirk sentirà gli effetti di questa riscoperta, la lunga pace sarà disturbata da nuovi ornamenti marmorei e forse da una statua. Gli architetti sono già all'opera. Marx invece dormirà sempre più solingo, nel silenzio, nell'oblìo. Non lontano da lui, in un'altra fascia del cimitero, dormono la poetessa Christina Rossetti, lo scienziato Michael Faraday e Tom Sayers, l'ultimo dei pugili che si battevano a mani nude. Mario Ciriello Folla alla tomba di Edimburgo. Più nessuno vaaHighgate Presto leggeremo «La ricchezza delle Nazioni» in cento lingue ranee. Esistevano allora due pianeti economici, politici e sociali. Il pianeta marxista e il pianeta keynesiano. Ora, il primo è abbandonato, come il sepolcro del suo profeta nel cimitero di Highgate; il secondo non è più accettato ciecamente, come un approdo magico e felice. S'è così riscoperta la robusta validità della lezione di Smith, lo scozzese che Paul Samuelson ha giustamente descritto «il padre dell'economia moderna o dell'economia politica». Mai Adam Smith ha avuto tanti discepoli, tanti seguaci, tanti ammiratori, ovunque, come in questo anno, a due secoli esatti dalla morte. E che cosa avviene? Tutti si contendono il nuovo idolo. Non soltanto i pensatori e gli attivisti della destra economica, i thatcheriani, i free mafketeers, che si proclamano figli ed eredi di Adam Smith, ma anche dense schiere della sinistra. Sarà il tema del grande dibattito della «Adam Smith Bicentenary Conference», a Edimburgo, a metà luglio. Gli undici Nobel e altre erudite voci tenteranno di misurare la precisa posizione di Adam Smith nell'odierno firmamento economico e politico. Ricerca necessaria, perché, non c'è dubbio, i falchi conservatori si sono appropriati delle sue dottrine con arroganza eccessiva, vorace. Non menzionano che Adam Smith esaltava il libero mercato ma ne additava i limiti, specie nella sfera sociale. Forse il pensatore scozzese non avrebbe votato per Margaret Thatcher. Non ammirava i businessmen e scrisse: «Le conversazioni di coloro che commerciano finiscono in macchinazioni contro il pubblico o in qualche artificio per alzare i prezzi». Non ammirava i ricchi e scrisse: «Si godono la loro ricchezza facendone sfoggio e il piacere è tanto più completo quando possono ostentare i segni di un'opulenza che nessun altro possiede». Diffidava pure dei governi maestri nell'arte «di estrarre quattrini dalle tasche della gente») ma, a differenza di Maggie, vm