Csm a rischio per Galloni di Roberto Martinelli

Un no a Cossiga e al protagonismo DIETRO IL VOTO Un no a Cossiga e al protagonismo LA scelta dei nuovi componenti togati del Consiglio superiore della magistratura contiene un'indicazione precisa sulla futura gestione della istituzione Giustizia. La vittoria delle sinistre e dei verdi, la sconfitta dei moderati, la bocciatura di Giovanni Falcone contengono un messaggio chiaro: 1 - Il Csm deve essere inteso come organo di autogoverno dell'ordine giudiziario e non solo, come vuole Cossiga, di alta amministrazione; 2 - No ai giudici protagonisti; sì a chi lavora in silenzio, lontano dai pettegolezzi e dalle lusinghe del potere. E' stato anche un voto contro il Presidente della Repubblica, contro le sue prese di posizione, contro i suoi interventi che hanno rischiato di minare l'autorevolezza del Consiglio. Cossiga aveva minacciato di sciogliere un organismo che, lo si voglia o no, la Costituzione pone al vertice dell'ordine giudiziario e questo non è piaciuto a tanti magistrati. Non tutti hanno capito però che il Capo dello Stato ha agito con l'intenzione sincera di porsi come autentico garante delle reciproche autonomie di un potere rispetto agli altri. Cossiga aveva contestato la natura di rappresentanza sostanzialmente politica assunta dal Consiglio ed aveva lasciato intendere che gli intrecci più o meno inconfessabili tra certi giudici e certi politici vanno recisi. Su questo obiettivo la stragrande maggioranza dei giudici si è detta d'accordo. Non la pensa così, naturalmente, chi è legato ai partiti per ragioni ideologiche o interessi personali. La nuova composizione dell'organo di autogoverno vede prevalere le forze più determinate nel difendere il Consiglio come vertice istituzionale del potere giudiziario. Resta aperto il problema dei rapporti tra giustizia e politica all'interno dell'organismo. Domani il Parlamento vota gli otto componenti laici bocciati durante le prime due votazioni che, imponendo un numero di voti molto alto, avrebbe fatto passare in secondo piano il sigillo imposto dalle segreterie dei partiti. I voti richiesti domani sono quasi la metà ed è molto probabile che sarà fumata bianca sia per i candidati la- no c I prot I faian sciati in panchina sia per i gruppi politici che li hanno lottizzati. Il confronto diretto tra i togati eletti ieri e i laici di domani, e cioè tra giudici e politici, vi sarà durante l'elezione del vicepresidente del Consiglio superiore. Sarà la prima volta in cui le due corporazioni dovranno dimostrare di sapere agire al di sopra dei partiti e delle correnti, nell'interesse esclusivo della legge e degli operatori che sono chiamati ad applicarla. La Costituzione vuole che il vicepresidente sia uno dei componenti laici eletti dal Parlamento. E' una norma che sembra fatta apposta per creare confusione ed incoraggiare i compromessi. Ma tant'è. Nel vecchio Consiglio appena scaduto era candidato Erminio Pennacchini. I togati dissero no e i voti andarono, in parti uguali, a Carlo Smuraglia, comunista, e a Cesare Mirabelli, democristiano. Fu determinante (ma molto criticato) il voto di Cossiga. Prevalse Mirabelli che si autodefinì il più togato dei laici e il più laico dei togati. Ha mantenuto fede al suo impegno, ma non è riuscito a fare da mediatore tra Quirinale e Consiglio superiore. Il candidato alla vicepresidenza è oggi Giovanni Galloni, ma sono in molti i togati che non lo voteranno. Ne fanno una questione di principio perché dicono che un politico puro non può ricoprire un incarico che dovrebbe essere al di sopra del le parti. Le previsioni non segnano insomma bel tempo sul Palazzo dei Marescialli. C'è addirittura chi annuncia tempesta, da subito. Quello appena eletto è il' terzo Consiglio che Cossiga presiede. Il primo, per poco più di sei mesi, aprì la stagione delle schermaglie. Ci furono le dimissioni in massa e poi un armistizio. Il secondo, dopo un periodo di bonaccia, ha segnato il punto di maggior tensione con il Quirinale. Il terzo che sta per insediarsi avrà Cossiga presidente per soli due anni. Ma sarà il periodo più difficile per l'istituzione Giustizia, quello in cui le forze politiche hanno deciso di affrontare le grandi riforme. La via sarà indicata da Cossiga, nel suo messaggio alle Camere. Roberto Martinelli