«Questo sarà il IV Reich»

«Questo sarà il IV Reich» Intervista allo storico Nipperdey sulla nuova Germania «Questo sarà il IV Reich» // nazionalismo fa meno paura 1~~|j MONACO DI BAVIERA " UNIONE economica e monetaria delle due Geri manie da sabato notte è , Uuna realtà. Il marco occidentale ha trionfato e la Repubblica democratica tedesca si è sfasciata. E proprio cent'anni fa, nel 1890, il cancelliere del Reich Otto von Bismarck, creatore della prima unità tedesca del 1871, realizzata sotto l'egemonia dello Stato prussiano, fu costretto a lasciare la guida del Paese di cui era stato il «timoniere». Voglio trattare questi due temi con Thomas Nipperdey, storico dell'Università di Monaco, classe 1927, autore di una monumentale Storia tedesca, 1800-1866, pubblicata nel 1983 dalla casa editrice Beck, e della quale tra un paio di settimane uscirà presso lo stesso editore il secondo volume: Storia tedesca, 1866-1918. Gli faccio una domanda a bruciapelo e, per l'unica volta durante il colloquio, Nipperdey si prende qualche secondo per riflettere. Bismarck ha fatto una «rivoluzione dall'alto». C'è chi dice che Gorbaciov stia facendo la stessa cosa nell'Urss. Si possono veramente fare dei confronti fra i Sì, si possono fare. In primo luogo entrambi sono realisti, poi tutti e due provengono da un ambiente conservatore (così si può definire anche il comunismo sovietico), infine entrambi si sono resi conto che un sistema si può sviluppare e può sopravvivere solo se assume e fa proprie le tendenze più moderne. Per questo motivo Gorbaciov è diventato un riformatore e per questo Bismarck divenne agli occhi della classe da cui proveniva un «terribile rivoluzionario»: passava per un «traditore» del conservatorismo tedesco perché introdusse il diritto elettorale e altrettante «cose terribili» come la legislazione sociale. Ma Bismarck era convinto che non si potesse governare contro le correnti della propria epoca. Questo vale anche per Gorbaciov. Bismarck era certamente più conservatore del leader russo, per questo forse Gorbaciov ha delle chances maggiori di creare qualcosa che resti. D'altra parte, però, il sistema sovietico è più resistente e impermeabile alle vere riforme che non la Germania del secolo scorso. Lo storico Hans-Ulrich Wehler mi ha descritto un Bismarck che segna l'inizio di un'involuzione politica che porta a Hitler... Wehler ha sempre visto la storia tedesca a partire da Bismarck come «preistoria» di Hitler. E' vero, e non lo metto in dubbio, che si debbano sottolineare in modo particolare questi tratti anche nella storia culturale - che hanno portato i tedeschi e certi intellettuali ad essere favorevolmente predisposti e recettivi nei confronti di Hitler. Ma la storia tedesca prima del 1918 prepara anche la Repubblica di Weimar, che non era destinata al fallimento, se non ci fosse stata la crisi economica. E questa «preistoria» è anche la preistoria della Repubblica federale tedesca e della situazione che abbiamo ora. E' indifferente che ci piaccia o meno la figura di Bismarck. Ciò che fece allora con le legislazioni sociali ebbe un'immensa importanza non solo per la Germania. Ma soprattutto dobbiamo capire un'epoca com'era veramente e non solo come «preistoria», come preludio a qualcosa d'altro. Ogni epoca ha la propria sostanza, è anche se stessa. Bismarck ha agito in modo autoritario, senza la partecipazione democratica dei partiti: questa è la critica di Wehler. Bismarck non era certamente un democratico, ma un conservatore antidemocratico. E anche se si vede positivamente la sua «unificazione» tedesca del 1871, non si deve comunque ignorare la sua politica interna, quella di leader che chiamava i suoi oppositori «nemici del Reich»: prima i cattolici poi i socialdemocratici. Queste cose non si possono difendere e sono una pesante tara ereditaria e un onere per la storia tedesca. D'altra parte ci furono poche alternative: l'idea che si potesse creare una democrazia partecipativa con i tedeschi già nel 1871 non trova riscontro nei fatti. Inoltre in tutti i Paesi europei i rapporti con la nascente socialdemocrazia erano conflittuali: era il nemico. Infine anche i liberali erano nazionalisti, e lo erano ancora più di Bismarck. Questo significa che anche una Germania libe¬ rale sarebbe entrata nel vortice dell'imperialismo. In breve: non vi fu semplicemente una «colpa» di Bismarck. La vera disgrazia della storia tedesca inizia con l'imperatore Guglielmo II, dopo Bismarck, nel 1890, proprio cent'anni fa. E questa è una differenza qualitativa: allora iniziano gli eccessi sciovinistici, la retorica roboante, e così via. La politica estera di Bismarck fu una politica di pace e di sicurezza: se fosse continuata dopo il 1890, all'Europa sarebbero state risparmiate molte sciagure. Diversa, invece, la valutazione della politica interna. C'è ancora il nazionalismo in Germania? E a che cosa si riferisce la cosiddetta «riunificazione tedesca»? Alla Germania di Bismarck? Ritengo sbagliato parlare di «riunificazione tedesca», anche se il termine fu usato quarantanni fa nella nostra Costituzione. Si tratta di una «nuova unificazione». E non ha molto a che vedere con il Reich di Bismarck. Un terzo della Germania di allora, le regioni orientali della Prussia, sono ora parte integrante della Polonia: non fanno parte di questa nuova Germania, che è solo un torso di quella di allora. Il confine tra Germania e Polonia è definitivo, e non si tocca. Manca quindi in questa nuova Germania quella che fu la base economica e sociale degli «Junker» e dei militaristi, i possedimenti prussiani. In secondo luogo bisopna dire che i tedeschi hanno imparato molto, dopo Hitler, sui pericoli del nazionalismo. L'idea nazionale che si sviluppa verso un nazionalismo espansionistico, o verso una concezione della nazione come valore politico supremo: tutto ciò non ha senso, è privo di significato per un tedesco che ha meno anni di me. Tutti sanno che c'è l'Europa, e che molti compromessi in favore della convivenza tra le varie nazioni sono necessari. Sono alcuni intellettuali occidentali che hanno pensato che si fosse sviluppata nella Ddr una coscienza nazionale. Ma si sono sbagliati, come si è visto a partire dalla fine dello scorso anno. La gente della Ddr non ha mai voluto questo Stato. Così come un italiano dice in primo luogo di essere italiano, allo stesso modo un tedesco dice di essere tedesco, prima di dire che viene dalla Ddr o dalla Repubblica federale. Mentre un austriaco dice di essere austriaco, così uno svizzero, anche se in questi Paesi si parla tedesco. Questo semplice fenomeno, da dove si viene e chi si è, il nocciolo della nazione, non è una questione di potenza. Le difficoltà che i nostri vicini hanno con i tedeschi derivano proprio dal fatto che non abbiamo un'identità nazio- naie (che comprenda tutti, da destra a sinistra): in Francia si rifanno tutti alla Rivoluzione francese, in Italia c'è il Risorgimento. In Germania non c'è nulla di simile. Ma questa unità non è troppo affrettata? Il problema principale è quello economico: risolto quello, l'aspetto politico è da trattare nel contesto europeo e di sicurezza internazionale. E va fatto con la dovuta calma. Non sono un sostenitore dei tempi brevi. Ma in molti Paesi si ha paura sentendo parlare di Germania unita. E questa paura va presa sul serio. C'è anche in America. Ed è un dato di fatto, non importa se giustificato o no. Per questo l'unificazione tedesca deve avvenire nel processo di integrazione europea e in un patto di sicurezza tra Est e Ovest. Non deve rimanere nemmeno un'ombra di paura razionale nei confronti della Germania unita: la paura che ci si muova in senso egemonico e di strapotere. Dobbiamo essere in grado di dimostrare che la paura riguarda uno spettro che non risorgerà mai più. Per questo è necessario consolidare l'identità dei tedeschi, un'identità che non potrà essere esente dal portare la responsabilità dei crimini nazisti (da parte di tutti i tedeschi, anche dell'Est). Questa identità porterà certamente i tedeschi a non occuparsi permanentemente di sé, fissati su se stessi, sempre impegnati a leccarsi le ferite: anche perché non ci sarà più la ferita dovuta alla spaccatura del Paese. Claudio Pozzoli MONACO DI BAVIERA UNIONE economica e monetaria delle due Ger manie da sabato notte è una realtà. Il marco ocale ha trionfato e la Reca democratica tedesca sciata. E proprio cent'annel 1890, il cancelliere del Otto von Bismarck, creaella prima unità tedesca 71, realizzata sotto l'ege dello Stato prussiano, fu tto a lasciare la guida del di cui era stato il «timo. lio trattare questi due ten Thomas Nipperdey, stoell'Università di Monaco, 1927, autore di una montale Storia tedesca, 866, pubblicata nel 1983 casa editrice Beck, e della tra un paio di settimane presso lo stesso editore il do volume: Storia tede866-1918. Gli faccio una nda a bruciapelo e, per a volta durante il colloNipperdey si prende qualcondo per riflettere. marck ha fatto una «riuzione dall'alto». C'è chi e che Gorbaciov stia fado la stessa a nell'Urss. Si sono verante fare dei fronti fra i Otto von Bismarck, il creatore della prima unità tedesca, visto da Levine (copyright «The New York Review of Books» llpa e per l'Italia «La Stampa») valore politico supremo: tutto ciò non ha senso, è privo di significato per un tedesco che ha meno anni di me. Tutti sanno che c'è l'Europa, e che molti compromessi in favore della convivenza tra le varie nazioni sono necessari. Sono alcuni intellettuali occidentali che hanno pensato che si fosse sviluppata nella Ddr una coscienza nazionale. Ma si sono sbagliati, come si è visto a partire dalla fine dello scorso anno. La gente della Ddr non ha mai voluto questo Stato. Così come un italiano dice in primo luogo di essere italiano, allo stesso modo un tedesco dice di essere tedesco, prima di dire che viene dalla Ddr o dalla Repubblica federale. Mentre un austriaco dice di essere austriaco, così uno svizzero, anche se in questi Paesi si parla tedesco. Questo semplice fenomeno, da dove si viene e chi si è, il nocciolo della nazione, non è una questione di potenza. Le difficoltà che i nostri vicini hanno con i tedeschi derivano proprio dal fatto che non abbiamo un'identità nazio- Otto von Bismarck, il creatore della prima unità tedesca, visto da Levine (copyright «The New York Review of Books» llpa e per l'Italia «La Stampa»)