La Consulta frena il nuovo processo penale
La Consulta frena il nuovo processo penale Sentenza della Corte Costituzionale modifica una delle norme più innovative del codice di procedura La Consulta frena il nuovo processo penale Ora il giudice potrà limitare il «patteggiamento» tra le parti ROMA. Una clamorosa senten- | ROMA. Una clamorosa senten za della Corte Costituzionale ha notevolmente ridimensionato la portata del «patteggiamento», cioè uno dei principali cardini della riforma del processo penale. Da oggi, se l'imputato concorda una determinata pena con il pubblico ministero, il pretore o il tribunale non dovrà più limitarsi a prenderne atto, ma potrà valutare la congruità della pena stessa rispetto alla gravità del reato e al fine della rieducazione del condannato come prescrive l'articolo 27 della Costituzione. Insomma, il giudice avrà la possibilità di respingere la richiesta avanzata dalle parti. Tornerà quindi ad essere l'arbitro della situazione, e non più un semplice notaio. L'Alta Cor¬ te, accogliendo le tesi del preto- | rite, accogliendo le tesi del preto re di Vercelli e del tribunale di Pistoia, ha così dichiarato la parziale incostituzionalità dell'articolo 444 del nuovo codice. Protagonista di uno dei tre casi esaminati a palazzo della Consulta è Anna Milano, una donna accusata di possesso illegale di droghe leggere, processata a Pistoia per violazione della vecchia legge sugli stupefacenti del '75. Il pubblico ministero, concordando sulla richiesta dell'imputata, aveva espresso il suo consenso sulla sua condanna ad un anno e mezzo di reclusione e a 2 milioni di multa con la concessione della condizionale (per evitare il carcere). Ma il tribunale si era opposto rp ritenendo ingiustificata la nor- i ritenendo ingiustificata la norma contenuta nella riforma del processo penale perché precludeva ogni valutazione degli elementi previsti dagli articoli 132 e 133 del codice penale. Ciò, infatti, contrastava con l'articolo 101 della Costituzione, perché «all'esercizio del potere giurisdizionale, soggetto solo alla legge - così si legge nell'ordinanza del tribunale - si frapponeva in modo vincolante, l'esercizio di un potere riconosciuto alle parti». I giudici costituzionali hanno condiviso questa tesi. Il magistrato, se ritiene che la pena concordata non corrisponda alle esigenze tutelate dall'articolo 27 della Carta repubblicana, potrà rifiutarsi di concedere il «patteggiamento». «patteggiamento». «E' una sentenza chiaramente a sfavore dell'imputato, che scalfisce nelle sue fondamenta il nuovo istituto del "patteggiamento" - spiega l'avvocato napoletano Massimo Krogh -. Il giudice potrà negare il suo benestare alla condanna concordata tra le parti quando riterrà troppo bassa la pena da infliggere a chi è accusato di un determinato reato. La Corte sembra dire che il pretore o il tribunale può sviluppare un giudizio di congruità e, se la pena concordata tra l'imputato e il pm fosse ritenuta inadeguata, non l'applicherà». «Ma, come ci si comporterà - si chiede il penalista se la pena patteggiata tra le parti fosse, invece, eccessiva ri¬ | spetto a quella ritenuta conj spetto a quella ritenuta congrua dal tribunale? Dalla sentenza della Consulta si dovrebbe ricavare il principio inverso per cui anche in questo caso il tribunale dovrebbe disapplicare il "patteggiamento"». Anche l'avvocato Adolfo Gatti ritiene «molto importante» la decisione della Consulta «perché viene in qualche modo snaturato l'istituto del "patteggiamento", che rappresenta l'espressione più tipica del processo di parti, il quale diventa, invece, un processo in cui la giurisdizione esplica una funzione determinante. E', insomma, una sentenza che va contro i princìpi della riforma». Pierluigi Franz
Persone citate: Adolfo Gatti, Anna Milano, Massimo Krogh, Pierluigi Franz
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