Schillaci, il goleador onorario
Schillaci, il goleador onorario L'ex povero e l'ex principe, come cambia facilmente il destino nel calcio Schillaci, il goleador onorario E Vietili: è vero, sono caduto dalpiedistallo MARINO DAL NOSTRO INVIATO Schillaci e Vialli, il principe e il povero: la favola continua e con troppo successo perché qualcuno pensi di invertire di nuovo i ruoli. Una coppia di antagonisti assoluti, inconciliabili in campo e nella vita, così diversi da sembrare irreali, quasi simbolici: Sud e Nord, proletariato e borghesia, istinto e calcolo, calore e freddezza. Totò, il buono: i sondaggi dicono che sei il più amato dagli italiani. «A me interessa essere amato solo da mia moglie e, soprattutto, che mia moglie ami solo me». GianDuca, il cattivo: sei pronto a giocare? «Sì». Giochi? «No». Perché? «Non lo so». Totò, che ha imparato ad arruffianarsi i giornalisti: «Non vi vedevo da due giorni. Mi siete mancati». GianDuca che non ne può più: «Non ho mai detto che contro l'Eire doveva toccare per forza a me». Lo hanno scritto trenta giornali. «Hanno capito male, tutti e trenta». Vialli occhiali scuri, faccia annoiata, voce dolce e finta, parole amare e vere: «Agli Europei di due anni fa mi sentivo l'eroe, adesso sono caduto giù dal piedistallo. Inutile addolcire la pillola, la verità è questa». Vialli sensibile, cinico fino all'autoironia: «Le stelle stanno a guardare? Non so se sono ancora una stella. Di sicuro, purtroppo, starò a guardare». Schillaci bravissimo a recita¬ re Schillaci, perpetuando l'immagine del "buon selvaggio" semplice-ingenuo-romantico che ha fatto breccia nei cuori della gente: «I titoloni mi fanno piacere, ma ce ne sono troppi. Sono un ragazzo modesto, io. E ogni tanto stare zitto mi fareb¬ be anche bene». Madonna vuole la maglietta di Baggio. E tu, da lei, cosa vorresti? «Io amo solo mia moglie. Di Madonna non me ne frega niente». Totò come Tornatore, siciliani da ascoltare col fazzoletto in mano: «Sono l'uomo-simbolo dei Mondiali? Non ci penso. Perché sto sognando e se comincio a pensare mi sveglio». Vialli un iceberg che affonda. Troppo gelido per suscitare compassione: «Mi dispiace, però non sono arrabbiato. Per esserlo dovrei trovarmi di fronte a un'ingiustizia. E invece le scelte di Vicini sono logiche. C'è una squadra che ha giocato bene, che ha vinto. E io in quella squadra non ci sono». Totò che parla di Vialli con il terrore di dire cose che in futuro possano costargli care: «Non ho fregato il posto a nessuno, io. Ha fatto tutto Vicini. E poi ci sono due maglie in attacco e io ne indosso una sola». GianDuca che parla di Schillaci con la certezza di raccontare di cose che gli sono già costate carissime: «C'è chi ha avuto la sua occasione e l'ha sfruttata, giocando meglio di me. Solo il campo, ora che sto di nuovo bene, potrebbe darmi la possibilità di replicare, dimostrando a me stesso e agli altri se valgo ancora. Le parole, a questo punto del Mondiale, non contano più nulla». Aveva ragione il GianDuca a dire che quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. Adesso che per lui il gioco si è fatto durissimo, regge la botta con la signorilità di un campione vero e l'umiliante retrocessione a riserva di Schillaci gli risarcisce in simpatia l'enorme danno che sta arrecando alla sua immagine professionale. E' l'ennesimo miracolo racchiuso nella bella favola di Totò: la sconfitta purifica l'eroe negativo, trasformando il leader spocchioso e artefatto in un incassatore di classe: «Chi sta fuori può essere utile alla causa come e più di chi va in campo. Lo dicevo quando giocavo e sarebbe davvero troppo comodo se mi rimangiassi tutto proprio adesso che non gioco più. Non chiedetemi se spero di rientrare. Vi sembrerei sincero se rispondessi di no? Sto bene, gambe a posto, gola guarita, testa concentrata il giusto. E allora? Allora aspetto. Senza "gufare", per carità. Non ambisco al ruolo di salvatore della patria. Contro l'Eire, meglio entrare sul 2 a 0 per noi che sul 2 a 0 per loro». Da un polo all'altro della favola. Fra l'ex principe Vialli e l'ex povero Schillaci ci sono venti passi e duecento giornalisti prossimi all'insolazione, che oscillano come pugili suonati da un sospiro del GianDuca a un proclama di Totò: «Non ero preparato a diventare personaggio. Ma spero che fino all'8 luglio continueremo a trovarci sempre qui e a parlare della stessa cosa: i miei gol». Ancora uno e raggiungi Schiavio e Colaussi, gli urla l'archeologo dei numeri che in questo tipo di convegni non manca mai. «Non mi interessa. Io segno solo per me. E, in particolare, per tutta l'Italia». Massimo Gramelllni dei Mondiali? Non ci penso. Perché sto sognando e se comincio a pensare mi sveglio». Vialli un iceberg che affonda. Troppo gelido per suscitare compassione: «Mi dispiace, però non sono arrabbiato. Per esserlo dovrei trovarmi di fronte a un'ingiustizia. E invece le scelte di Vicini sono logiche. C'è una squadra che ha giocato bene, che ha vinto. E io in quella squadra non ci sono». Totò che parla di Vialli con il terrore di dire cose che in futuro possano costargli care: «Non ho fregato il posto a nessuno, io. Ha fatto tutto Vicini. E poi ci che sto di nuovo bene, potrebbe darmi la possibilità di replicare, dimostrando a me stesso e agli altri se valgo ancora. Le parole, a questo punto del Mondiale, non contano più nulla». Aveva ragione il GianDuca a dire che quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. Adesso che per lui il gioco si è fatto durissimo, regge la botta con la signorilità di un campione vero e l'umiliante retrocessione a riserva di Schillaci gli risarcisce in simpatia l'enorme danno che sta arrecando alla sua immagine professionale. E' l'ennesimo miracolo racchiuso V " " e ✓v
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