Rompi il salvadanaio e vai a Parigi di Masolino D'amico

Rompi il salvadanaio e vai a Parigi Prosa e lirica a Spoleto con «La cagnotte» di Labiche e Strauss diretto da Spiros Argiris Rompi il salvadanaio e vai a Parigi Spettacolo ancora da perfezionare Bravi Agus, Bonagura e Taraselo SPOLETO DAL NOSTRO INVIATO Convocati alle prime oppure, còme è capitato questa volta, alle anteprime, noi critici vediamo troppo spesso spettacoli che non hanno ancora fruito di quel periodo di rodaggio che, salutare sempre, è addirittura indispensabile quando il testo in questione è brillante o comico, e gli attori hanno bisogno di conoscere le reazioni del pubblico - di sapere che cosa «arriva», come si dice, e che cosa «non arriva» - per regolarsi di conseguenza; e nel riferirne dobbiamo lavorare di fantasia. Fra i tentacoli di Parigi Io per esempio sono sicuro che «La cagnotte» di Eugène Labiche propostaci al Caio Melisso di Spoleto in anticipo sul calendario ufficiale (credo per ragioni mundial-calcistiche) diventerà eccellente dopo un certo numero di repliche. Per ora gli ingredienti, che presi uno per uno sono quasi tutti di prim'ordine, sembrano alla ricerca di un amalgama definitivo; manca ritmo, manca scorrevolezza, manca quel senso di organicità che le farse di questo tipo di teatro debbono assolutamente raggiungere. Ma data la qualità del copione, degli interpreti e della stessa regia (almeno in parte, per ora), niente lascia pensare che non li si otterrà molto presto; beati quindi gli spettatori che non avranno avuto fretta. Ricordiamoci intanto che mettere in scena «La cagnotte» oggi non è una impresa da poco. La storia parla della spedizione a Parigi dr un gruppetto di provinciali che hanno deciso di spendere così il pingue salvadanaio o «cagnotte» riempito coi soldini di un certo gioco di carte del quale sono appassionati. Nella città tentacolare ciascuno persegue un suo scopo privato e inconfessato, uno vuole farsi togliere un dente, un altro acquistare una zappa, una guardare le vetrine, e due anzianotti dei sessi opposti, l'uno all'insaputa dell'altra, incontrare il partner che credono di avere trovato mediante un annuncio matrimoniale. Trattandosi di Labiche, seguiranno ovviamente equivoci e disavventure, e prima di approdare al lieto fine i nostri eroi saranno finiti addirittura al commissariato, scambiati per pericolosi malviventi dopo essersi rifiutati di pagare un esoso conto di ristorante (molte risate sono fondate sul denaro, Labiche non si stanca mai di scherzare sulla tenace avarizia di gente che viene dalla terra e che è abituata a lottare ferocemente su ogni centesimo). Tutto ciò è estremamente spassoso, ma ha bisogno di es¬ sere un pochino adattato alle nostre abitudini: questo teatro, fiorito negli anni 1860, è opulento e non ha fretta, come i pranzi che vi occorrono; la commedia presenta almeno quindici personaggi di rilievo, e nella mia edizione i suoi cinque atti occupano 170 pagine. Rappresentati integralmente durerebbero ben più delle tre ore abbondanti, e almeno secondo qualcuno, eccessive, dell'altra sera. Autore di una traduzione che spesso ricalca la lingua originale con effetti per me non sgradevoli, il regista Walter Pagliaro ha infatti asciugato, ma poteva asciugare ancora. In particolare però non è ancora riuscito a ottenere dagli avvenimenti la cadenza martellante, rossiniana, che ci vorrebbe; e viene la tentazione di consigliargli qualche altro taglio coraggioso, magari addirittura quello delle canzoncine con cui alcune scene si concludono, anche se le musiche di Arturo Annecchino in sé sono gradevoli. Inoltre le scene di Paolo Tommasi, i cui costumi sono spiritosissimi, sono sembrate qua e là inutilmente macchinose, e pur nel tentativo di essere funzionali, non sempre in carattere con l'epoca - troppo spoglio l'interno dell'inizio, troppo elementare la guardina; bene invece, direi, il losco salotto della casa per appuntamenti fra fidanzati. Che bravi questi attori Ma veniamo alle note più liete, che riguardano la compagnia. Qui l'Audac, il Teatro Stabile dell'Umbria produttore dello spettacolo, ha veramente riunito quanto di meglio si poteva trovare su piazza, affiancando alle tre impagabili vecchie volpi Gianni Bonagura, Gianni Agus e Enzo Tarascio - il possidente, il coltivatore e il farmacista protagonisti della gita una deliziosa serie di comprimari tutti all'altezza della situazione, da Adriana Innocenti che è la sorella zitella del possidente, decisa a tutto pur di trovare marito, a Nino Bignamini, scarmigliato cameriere di ristorante, da Angelo Jokarig, esangue esattore, a Nino Veller, pomposo vicecommissario, da Stefano Madia, giovane scapestrato, a Toni Bertorelli, che spicca con molto rilievo nella seconda parte come il nevrotico mediatore di matrimoni, senza dimenticare i due giovani innamorati Maddalena Rossi e Peppe Barile. Ascoltare rutti costoro alle prese con le succose occasioni imbanditegli da Labiche è un piacere che vale la serata, in attesa di quel po' di olio che ne farà funzionare al meglio i meccanismi. Masolino d'Amico L'antica Grecia e Parigi ruggente due miti e due capolavori offerti in due chiavi diverse «Elektra», spettacolo ben lavorato Ottima la parte musicale perplessità del pubblico sulla regia

Luoghi citati: Grecia, Parigi, Spoleto, Umbria