L'ultimo ciao di papà il duce

L'ultimo ciao di papà il duce I due fratelli stanno scrivendo un nuovo libro, dagli Anni 40 a oggi L'ultimo ciao di papà il duce / ricordi di Vittorio e Romano Mussolini 7n1 UONAVA il pianoforte L ' mentre suo padre usciva m di casa per l'ultima volta. I | Romano Mussolini, il fiI glio «giovane» del Duce, faceva musica ogni volta che gli era possibile. «Quella sera papà doveva andare a Milano». L'ultimo discorso pubblico poi l'incontro con il cardinale Schuster che gli ha intimato la resa e la fuga verso Dorigo. «E' entrato nella stanza e io mi sono alzato per abbracciarlo. Lo facevo sempre. Ma lui, come se fosse un momento del tutto normale, ha allungato una mano come per fermarmi: "Continua pure... ci vediamo domani...". Mi sono messo alla tastiera, qualche nota e mi sono rialzato per andare alla finestra. L'automobile con mio padre passava proprio davanti, lui mi ha visto e ha fatto "ciao" con la mano. Non sembrava preoccupato». Gli restavano poche ore di vita. In famiglia, chi più chi meno, erano tutti musicisti. Mussolini padre aveva preso dimestichezza con il violino che aveva lasciato solo quando era diventato il Duce. Gli era rimasta la passione per l'opera e un po' tutti erano costretti ad accompagnarlo a teatro. Edda prendeva lezioni di violoncello. Bruno soffiava «malamente» nella tromba e Vittorio strimpellava il banjo. Alla mamma restava la voce: «Cantava con un timbro davvero straordinario per una donna come lei che era stata una contadina e che, una volta diventata first lady d'Italia, a Villa Torlonia, aveva continuato a seminare l'insalata e ad allevare i polli». Musica maestro. «Stiamo scrivendo un libro, io e mio fratello. C'è già l'editore e c'è già il titolo: "Caro Romano, caro Vittorio". I nostri ricordi di jazz». Un dialogo a distanza costruito all'ombra del potere, negli anni della debe¬ eie, alla vigilia del 2000. «Il primo disco me l'hanno regalato nel 1929: "Black Beauty" di Duke Ellington». Bellezza nera, made in Usa. «Ce l'ho ancora anche se, a forza di sentirlo, è letteralmente consumato. L'autore l'aveva scritto in ricordo della madre morta e io, un po' per le note e un po' per la storia che ci stava dietro, piangevo tutte le volte che lo mettevo sul giradischi». Fats Waller, Earl Hines, Count Basie sono stati i suoi eroi. E i Mill Brothers. «Ero il filoamericano della famiglia. Ho suonato con i jazzisti di New York. Anche gente di colore». L'ispirazione migliore continua ad arrivare da oltre oceano. «George Benson, per esempio. Lo sento attraverso le mie figlie». Romano Mussolini è nato 63 anni fa, in Romagna, sotto il se- gno della Bilancia, nel chiasso degli aerei che volavano sopra casa sua per festeggiare la nascita del figlio del Duce. Del Duce gli sono rimasti gli occhi piccoli, la voglia di pastasciutta e la tendenza ad ingrassare, la mascella pesante e la parola svelta. Il carattere irrequieto, la predisposizione per le trasgressioni, il gusto per l'avventura. Anche sentimentale. Chiamarsi Mussolini: quanto pesa la storia? «Poco e molto. Ma sono stato fortunato. A parte qualche presa di posizione davvero polemica sono stato accolto con simpatia. Anche con affetto». A Casale non l'hanno lasciato suonare per via del suo nome ma lui, quando soltanto per il nome l'avevano invitato in America, ha rifiutato. «Mi presento come jazzista. Ascoltino quello che so fa¬ re con la musica». E, tuttavia, essere un Mussolini non è affare di poco conto. A distanza di tanto tempo fa tremare ancora la coscienza collettiva. Eccita le fantasie nostalgiche di qualcuno e suscita il rancore degh' altri. Fra tutti hanno obbligato la famiglia (che pure è stata attraversata da polemiche non secondarie) a stringere un patto di alleanza. Per sopravvivere. I cento che conservano qualche grado di parentela fra loro si incontrano a Villa Carpena. Una Mussolini fa la cameriera nell'autogrill di Varazze. Romano tifa per la Roma; Vittorio, nato a Milano, preferisce l'Inter; Anna Maria era per i colori granata del Toro. A Edda non interessa il calcio: si occupa di cani randagi. Ha organizzato un concerto per raccogliere dei fon¬ di in favore degh animali abbandonati. Adesso è in crisi perché le è morto Munì, un trovatello di incerti genitori che le aveva fatto compagnia per 18 anni. Nessuno si è lasciato tentare dalla politica anche se nessuno ha rinnegato niente. «Non si può pensare di stare contro la famiglia. Qualunque cosa abbiano fatto (e non l'hanno fatto) non è concepibile un rapporto conflittuale». Romano, personalmente, ha scritto un'«Apologia» di suo padre. Difesa a oltranza, anche contro l'evidenza e in urto con la storiografia ufficiale. «Però ai miei musicisti non ho mai chiesto per chi votavano». La guerra? «Ero a Riccione: ho sentito il discorso di papà per radio. Si pensava a una cosa veloce. La Germania sembrava così forte e c'era l'impressione che la piaz¬ za spingesse per combattere». Si dice che la gente fosse perplessa. «Non credere: ricordo di uno che ci accusava di essere i soliti "traditori" perché non scendevamo in campo». Subito un'incursione dei bombardieri francesi sul Piemonte. «C'era la speranza di fare in fretta. Papà aveva fatto il "miracolo" nel 1938 quando aveva scongiurato il conflitto. Pensavo che potesse "rappattumare" tutto un'altra volta». Invece, sempre peggio fino a Salò. «Ho avuto papà vicino per due anni. Era un uomo che dava tutto per la famiglia. Davvero affettuoso. Mi ricordo le passeggiate sul lago di Garda. Non parlavamo di politica: discutevamo di arte, poesia, musica. Mi piaceva sentire di quando era giovane e faceva il barricadiero». La tragedia era nell'aria. «Alla fine è stato terribile ma non si può dire che fosse una sorpresa. Siamo stati a San Domino nelle mani del Cln poi a Montecatini in mano agli americani e a Terni in mano agli inglesi. Infine a Ischia». A scuola - ammette - era svogliato. Distratto. Poco portato per l'italiano e meno ancora per la matematica. Eppure, nel dopoguerra, si è diplomato in ragioneria e si è iscritto all'Università. «Ho commerciato in legname e ho venduto polli al mercato. Una mia amica mi ha insegnato a dipingere: almeno fino a quando non ha deciso di sposare un pittore "vero"». Ma lui pensava al jazz. Autodidatta. «La musica parla un linguaggio universale. Bisognerà tornare a riabbracciarsi tutti quanti». Lorenzo Del Baca lli famiglia erano tutti musicisti: Mussolini aveva dimestichezza con il violino Edda prendeva lezioni di violoncello. Romano: «Sono un jazzista. Ascoltino quel che so fare con la musica» Romano Mussolini sui banchi di scuola e poi al pianoforte come interprete di jazz: a papà era rimasta la passione per l'opera