I «segni» indelebili di una guerra

I «segni» indelebili di una guerra Neppure alcuni slogan fascisti sono stati cancellati dalle ristrutturazioni, dalle innumerevoli mani di calce e dalla pioggia I «segni» indelebili di una guerra Molte case mostrano ferite provocate da schegge Mezzo secolo non è bastato per cancellare interamente le tracce della guerra dalle case di Torino. Non sono segni evidenti, ma buchi nei muri delle facciate, causati soprattutto da schegge di bombe d'aereo - forse qualche raffica di mitraglia che in qualche caso servono da nido ai colombi. La maggior parte dei cittadini non le nota; ai giovani non passa nemmeno per la testa di collegare i mattoni sbrecciati, l'intonaco butterato con fatti bellici. Chi invece la guerra l'ha vissuta non può fare a meno di guardare e pensare. Vittorio Data, torinese, classe 1924, oggi armiere con negozio in via Giolitti, nel 1940 aveva sedici anni, e abitava con la famiglia in via Gavallermaggiore. Ha poi fatto il partigiano nelle Valli di Lanzo e quel periodo lo ricorda bene. Anzi non lo potrà mai dimenticare. Per questo ha speso alcune domeniche mattina per documentare con la macchina fotografica le ultime vecchie cicatrici della guerra. Non sono tante, non sono appariscenti, ma ci sono; cinquant'anni dopo. Torino ebbe la ventura di subire il primo bombardamento in assoluto del conflitto, l'il giugno del 1940, intorno alle 22,30, scarsamente ostacolato dalla ventina di batterie antiaeree della Dicat, piazzate in periferia. Sulla città arrivarono 26 trimotori da bombardamento inglesi Wintley (ne erano partiti 40 dalla Gran Bretagna) e danneggiarono alcune case nelle vie Priocca e Porporati vicino a Porta Palazzo. Ma le bombe da 250 chili furono uno scherzo in confronto a quelle da quattro tonnellate scaricate dai Lancasternel 1943. A parte le rievocazioni, già fatte tante volte, è curioso notare come numerosi padroni di casa abbiano tenuto da conto le memorie belliche, evitando di cancellarle, lasciandole a imperitura memoria di cinque lunghissimi anni di patimenti, paure, lutti, fame. Come alcune «R» maiuscole, sbiadite, dipinte a fianco di portoni (allora l'indicazione era obbligatoria), per avvertire che lì esisteva una cantina adattata a rifugio antiaereo (ce ne sono per esempio in corso Duca degli Abruzzi 59 e in piazza Bernini, documentate dal signor Data). Oppure le tre scritte mussoliniane che ancora esistono in città in via Domodossola 21 («L'Italia avrà il suo grande posto nel mondo»), via Giacomo Medici 36 («Noi sogniamo l'Italia romana»), e largo Giachino. Quest'ultima particolarmente interessante perché sotto lo slogan «Non prepararsi è delitto» una mano ignota aggiunse - certo in una notte di coprifuoco e oscuramento - la scritta «W Sap» (Squadre azione patriottica) e «W Gap» (Gruppi azione patriottica). Tra l'altro le celebri frasi fasciste che oggi fanno ridere trattandosi ormai di pura ar- cheologia politica - sono praticamente scomparse da Torino, mentre si possono ancora leggere in provincia, inutilmente coperte, subito dopo la guerra, da mani di calce. La pif ra di catrame è sempre rie., .arsa, pervicacemente, dopo la tinteggiatura. Per tornare invece alle facciate scarificate dalle schegge, diciamo che si possono vedere semplicemente alzando il naso. In via Santa Teresa angolo via San Tommaso, dove il palazzo conserva le ferite delle bombe che, sganciate dai BristolBlemhein della Raf, distrussero il settanta per cento di piazza San Carlo. Anche la parte posteriore della caserma Cernaia dei CC, in via Valfrè (nel 1940 c'era il 91° reggimento fanteria), mostra decine di piccoli crateri. Solo qualcuno è stato riparato. Segni meno evidenti, ma chiarissimi su una casa di corso Duca degli Abruzzi, per non parlare della facciata liberty di piazza Solferino (sopra Chiesa pellicce), abbondantemente segnata. Crivellato di buchi appare invece il trincerane della ferrovia al Quadrivio Zappata (si vede affacciandosi al parapetto di largo Orbassano); cadde anche un aereo inglese nei paraggi. Ancora piccoli buchi slabbrati sui mattoni a vista di una vecchia casa di via Principi d'Acaja di fronte a piazza Benefica e dietro l'angolo, in via Duchessa Jolanda. Infine anche lo stabilimento del Lingotto, che tra pochi anni cambierà radicalmente aspetto, conserva nel suo retro, verso via Bisalta, un muro di cinta fittamente istoriato da una raffica di schegge che a suo tempo fu certamente micidiale. Non ingannino i vetri a pezzi dei finestroni soprastanti che davano luce alle efficine. I danni non sono guerreschi. E' roba recente, di barbari contemporanei. Renato Scagliola Via Domodossola e in via Giacomo Medici: i proclami del duce che oggi fanno sorridere. Altrove segni di bombe

Persone citate: Porporati, Raf, Renato Scagliola, Vittorio Data

Luoghi citati: Gran Bretagna, Italia, Lanzo, Priocca, Torino