Gilda un abisso dietro lo splendore

Gilda, un abisso dietro lo splendore Pubblicato in Francia, nella prima traduzione europea, il volume scritto da Barbara Leaming Gilda, un abisso dietro lo splendore Incesto, alcol e liti nell'amara biografia di Rita Hayworth UAN Gallardo è un torero che conosce soltanto trionfi. Spavaldo e aggressivo come vuole la sua umile origine, guarda ~ avanti a sé con sicumera. Ma una sera, nel fresco d'un patio al chiaro di luna, s'imbatte nella tentazione più angosciosa. Che cosa vuole Dona Sol, che lo guarda con intenzione ma lo fa sentire immensamente lontano? Imbraccia la chitarra, scuole d'un tratto i capelli rossi e muovendo leggermente le spalle nude intona «Verde luna». L'uomo ne è affascinato, povera preda di un superbo rettile. Non importa che successivamente, in Sangue a arena di Rouben Mamoulian, egli cada addirittura addormentato. Il modo che Rita Hayworth ha d'imporsi a Tyrone Power supera la convenzionalità del momento. E Gilda, che nella fumosa sala da ballo del corrotto marito, ricorda tempestosamente all'ex innamorato Glenn Ford che cos'ha perduto... veste un abito da sera scuro e scollato, canta «Put the Blame on Marne» e si sfila lentamente un lungo guanto. Il suo è un totale abbandono alla sensualità. Non importa che, anche stavolta nel film diretto da Charles Vidor, su Rita si abbatta la goffaggine del maschio provocato sotto forma d'un sonoro ceffone. Per tutti gli Anni Quaranta, e a poco a poco successivamente con lo svanire d'un mito persistente, Rita Hayworth ha rappresentato il fascino e la classe che anche un amore scatenato, una passione fuorviante devono necessariamente evocare. Un giovane che la rintracci oggi su un teleschermo quale Donna di Shanghai o Salomè, intuisce di colpo quanto fosse diversa rispetto ai luoghi comuni della femminilità nelle generazioni scorse e presenti. Non ebbe mai bisogno di spogliarsi, detto senza perifrasi. Eppure forse in pochi sappiamo che questo esempio di grazia e attrattiva nascondeva una seconda natura sotto il sorriso smagliante e la promettente massa di capelli: Rita Hayworth, o meglio Margarita Cansino nata a Brooklyn nel '18 in una famiglia di ballerini gitanospagnoli e votata da giovanissima a piacere agli uomini, era di natura riservata, di scarsi interessi, di salute fragile. Una biografìa condotta secondo la meticolosità e la prudenza della metodologia anglosassone ne svela ora la miseria totale, non si sa con quanta comprensione o con quanta malizia. Le 350 pagine della Rita Hayworth di Barbara Leaming, uscite in Francia per Les Presses de la Renaissance nella prima traduzione europea, non si arrestano di fronte all'abisso di sofferenza e d'inadeguatezza che questa diva unica non seppe evitare. La gettano anzi nel fondo secondo un impressionante crescendo di date e di cifre. Nessuno le contesterà. Di suo padre Eduardo Cansino la biografa dichiara l'altezza in cinque piedi e sei pollici all'età di 17 anni, andando a spulciare nell'elenco dei passeggeri sbarcati negli Stati Uniti dalla «Prinz Friedrich Wilhelm» il 12 gennaio 1913. Per dire del presagio di rottura tra Rita e il secondo marito Orson Welles che non voleva assolutamente più avere figli, ecco la dichiarazione della segretaria Miss Haran che una volta a mezzanotte dovette scendere in farmacia a comprare dei profilattici. Nel tratteggiarne la resa all'alcol, serve la testimonianza d'un amico, il produttore Eric Roberts, il quale sosteneva che a chi cercava di toglierle il bicchiere di mano capitava di ricevere la bottiglia in testa. La biografìa di Barbara Leaming non vanta certo l'insinuante sottinteso di Donald Spoto, che per demolire il mito di Alfred Hitchcock non usa il piccone ma le più sottili infiltrazioni. D'altronde l'argomento principale per spiegare l'infelicità della donna, separata dallo sfavillio della diva, o si accetta o si respinge in pieno. Rita Hayworth, che sostituì minorenne sia la mamma sia la zia nei numeri in coppia con il padre ballerino, fu costretta a rapporti incestuosi che la piegarono per sempre. Barbara Leaming attribuisce a Orson Welles l'ammissione dell'orribile verità attraverso l'incancellabile dolore di Rita. Un fatto sconvolgente che la biografa si affanna a spiegare con una terminologia un po' banale: un padre incestuoso come il senor Cansino si trova al centro della famiglia patriarcale, si atteggia a salvatore ed esige un tributo, è ancora giovane e trova naturale che - nel caso di malattia e alcolismo della moglie - sia la figlia il naturale sostituto. Al di là di queste spiegazioni nel libro si percorre un itinerario greve e documentato. Rita preferiva quindi i partner anziani come il primo marito Eddie Judgson, un cialtrone che lasciava intendere d'avere duellato per una donna con il granitico campione dei massimi Jack Dempsey. Le piaceva che fosse l'uomo a decidere del suo destino privato e artistico (quando l'enfant prò dige Orson Welles pensò di battersi per la poltrona presidenziale al termine della guerra, si era già adattata alla parte di First Lady). Non aveva nemmeno coscienza del proprio fisico e si assoggettò a una lunga elettrolisi per rialzare l'attaccatura dei capelli, soluzione non sbagliata che le fruttò subito in Bionda fragola. Howard Hawks, il grande regista che non si trovava bene soltanto con i cavalli di John Wayne e Montogomery Clift in Fiume rosso, le offri per svegliarla una caustica definizione del motivo per cui una star è una star: «E' una semplice considerazione, la considerazione che si fa quando la star varca la porta ed entra in campo: tutti vogliono fotterla. Niente di più». Al contrario Rita ostentava una sensibilità fuori del suo stesso tempo. Quando seppe che le autorità militari avevano dato il nome di Gilda all'atomica fatta esplodere nell'atollo di Bikini, ebbe ripetute crisi di furore. Voleva convocare una conferenza-stampa a Washington ma l'arguto produttore Harry Cohn glielo impedì con il pretesto che sarebbe stata rovinosamente accusata di antipatriottismo. Così i momenti di massimo fulgore cinematografico e i mondani matrimoni con Welles e con Ali Khan non destano particolare interesse nella biografa, la quale si risolleva nel ripercorrere la decadenza di Rita. E' davvero pietosa nel mettere in luce episodi incresciosi che allora si attribuivano con leggerezza all'ereditaria pro¬ pensione al bere mentre si trattava delle prime avvisaglie del misconosciuto morbo di Alzheimer, che condanna a una vecchiaia precoce e toglie completamente la memoria. C'è ancora un momento da superba e divina allorché, durante le riprese di Pioggia alle Antille, strappa tutta la corrispondenza appena arrivatale da America ed Europa e, di fronte all'obiezione giudiziosa che poteva contenere qualcosa di utile, sintetizza: «Più fastidi che dollari, senza dùbbio». Poi non sono che scenate, ricoveri, cadute. Combinava un appuntamento sull'uscio di casa all'affettuoso coreografo Hermes Pan per andare a un ricevimento, ne usciva in meravigliosa tenuta e prorompeva sbattendogli la porta in faccia: «Non andrò mai a quella serata d'imbecilli!». La davano per dispersa a Rio e la ritrovavano sola e immota sulla spiaggia,*a guardare i bambini che mandavano in cielo i loro cervi-volan¬ ti. Si è spenta a 68 anni, nella primavera dell'87, accudita dalla figlia Yasmine. Dicono che talora sussurrasse d'improvviso rade parole in una lingua straniera. Non è melodramma pensare che fosse lo spagnolo fatidico del padre Eduardo o il misterioso «Rosebud» che Orson Welles mette in fondo a Citizen Kane per spiegare che nessuno vorrebbe crescere. E non è neppure invenzione la frase più dolente che mai una diva abbia pronunciato: «Vanno a letto con Gilda, e si svegliano con Margarita». Piero Perona Rita Hayworth in 350 pagine: un crescendo impressionante di date, personaggi e episodi che fanno a pezzi il mito della diva