Prigionieri di Mahagonny, fra tragedia e ironia
Prigionieri di Mahagonny, fra tragedia e ironia Prigionieri di Mahagonny, fra tragedia e ironia // direttore Latham-Koenig ha colto lo spirito epico del lavoro, ottimo il cast FIRENZE. Brillantissima esecuzione di «Ascesa e rovina della città di Mahagonny» al Maggio Musicale Fiorentino: rappresentata al Verdi con la supervisione di Luciano Berio, l'opera di Kurt Weill e Bertolt Brecht ha avuto un successo meritato. Suonava, ottimamente, l'Orchestra di Oporto, cantava il Coro del Maggio istruito da Roberto Gabbiani, sotto la direzione di Jan Latham-Koenig, lucido indagatore della partitura dove è difficile centrare il tono giusto tra immedesimazione e straniamente tragedia e ironia, flessibilità e rigidezza: in poche parole, cogliere lo spirito brechtiano del teatro epico. Più passano gli anni e più appare evidente l'originalità assoluta di questa musica in cui s'incrociano vari motivi dello stile contemporaneo - cabarettismo, ripensamento del passato, tradizione popolare - ma in modo autonomo dallo spirito dissa¬ Warren Ellsworth, magnifico Jim in «Ascesa e rovina della città di Mahagonny» crante del «pastiche». Come spiegava splendidamente Fedele D'Amico in un saggio scritto per la prima rappresentazione italiana di «Mahagonny» nel 1964, il recupero delle forme chiuse (relitti del mondo passato come arie, canzoni, concertati, pezzi strumentali) serviva a Kurt Weill per scopi, eminentemente brechtiani, di straniamento drammatico: far cantare i personaggi e insieme far sentire che il loro mondo morale e la loro città in cui tutto è permesso, tranne non avere denaro, sono minati dall'interno e destinati al crollo. La parodia del rifacimento alla Stravinsky si rovescia così nella critica socialmente impegnata: i ritmi ballabili, le simmetrie strofiche, )e pulsazioni sghembe della musica da cabaret sono guizzanti immagini d'un male che non ammette redenzione, quello del capitalismo chiuso nel suo circolo vizioso di corruzione e infelicità. La vicenda va così incontro alla cupezza pessimistica della morale conclusiva sul ritmo incalzante della drammaturgia epica, sposata da Kurt Weill con adesione totale: ed è questo valore fondamentale che l'esecuzione fiorentina ha colto con esattezza, percorrendo la densità sinfonica e corale dei tre lunghi atti con una determinazione rettilinea e vigorosa. Merito, naturalmente, del direttore d'orchestra ma anche dell'ottimo cast affidato a veri cantanti-attori in grado di scolpire i personaggi con una chiarezza che sarebbe piaciuta, credo, allo stesso Brecht, Yvonne Minton, uno dei massimi contralti contemporanei, ha tratteggiato con forza l'imperiosa frivolezza morale di Leokadja Begbick, fondatrice di Mahagonny e artefice della sua rovina. Magnifico Warren Ellsworth nei panni del protagoni¬ sta Jim Mahoney, il boscaiolo ribelle e sconfitto; deliziosa Catherine Malfitano che «libera» con maliziosa abilità il frizzante sex appeal di Jenny Hill; ma tutti gli altri vanno citati per la fedeltà e l'intelligenza con cui hanno reso lo spirito delle loro parti, da Brace Brewer (Fatty) a Timothy Nolen (Trinity Moses), da Sergio Betocchi (Jack) a Dimitri Kharitonov (Bill) Boris Bakov (Joe) Gennaro Sica (Tobby) e alle sei ragazze di Mahagonny. Più discutibile, invece lo spettacolo firmato dal regista Graham Vick in collaborazione con Maria Biornson autrice di scene e costumi. E' un assieme di grande presa: nella scena unica, divisa sul fondo in scomparti sovrapposti e dominata in primo piano da un enorme cactus verde, la vita tumultuosa e corrotta di Mahagonny prende posto come in un grande circo. Quello che resta un po' in secondo piano - anche se ad alcuni potrà non dispiacere - è tuttavia il carattere didascalico del teatro epico, la sua chiarezza asciutta ed esemplare di episodi distinti e contrapposti: la regia tende infatti a collegare la vicenda in un flusso unitario, di per sé quindi più veristico, sostituendo le scritte - le famose scritte di Brecht! - con voci fuori scena, il che non è la stessa cosa, e cedendo talvolta al richiamo dell'intellettualismo. Sfido, ad esempio, chi non ha letto il testo a comprendere la scena del processo con quei giudici che girovagano per la scena come paralitici su carrozzelle elettriche. Questo però, a differenza di quanto avviene in altri casi, non compromette la forza visiva e teatrale del tutto che ben giustifica gli applausi ottenuti dall'opera eseguita in tedesco con sottotitoli in italiano. Paolo Galla rati
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