Così Vittorini comprava le traduzioni

Così Vittorini comprava le traduzioni Così Vittorini comprava le traduzioni Falsificò anche un assegno: «Avevo bisogno di soldi» MILANO OLTE delle lettere indirizzate a lei da Gadda, Montale, Bo, Vittorini sono entrate nella storia della cultura italiana. Ma una, fra le tante arrivate ad Arenzano, vicino a Genova, nella casa di Lucia Rodocanachi, starebbe forse meglio nella cronaca giudiziaria. L'autore è Elio Vittorini, destinataria è la signora d'origine triestina, moglie di un pittore, che fu punto di riferimento e musa tutelare per i grandi scrittori degli Anni Trenta-Quaranta. Nella lettera Vittorini ammette di aver falsificato e riscosso un assegno destinato a lei. Il motivo è fin troppo ovvio: Vittorini, come sempre in quegli anni, aveva bisogno di soldi. La lettera viena pubblicata sul numero di Epoca in edicola oggi. E' datata 13 dicembre 1935. «Debbo confessarle una cosa scrive -, Questa estate ai primi di luglio riusciii finalmente ad avere una certa somma da dividere tra lei e Montale in acconto dei miei debiti: e la metà di Montale la diedi, la sua feci un assegno che mi misi in tasca in attesa di scriverle e mandarglielo; invece andai a Milano e in capo a due giorni, trovandomi senza soldi, falsificai la sua firma e cambiai l'assegno. Da là è nato tutto questo silenzio...». La confessione non potrebbe essere più esplicita. E dalla corrispondenza che viene pubblicata su Epoca si ricostruisce anche l'ambiente in cui maturò un fatto così imbarazzante. Lucia Rodocanachi, donna di vaste letture, ottima conoscitrice di più lingue e soprattutto dell'inglese, veniva «usata» dallo scrittore in modo decisamente spregiudicato: Vittorini le faceva tradurre romanzi, e poi firmava col proprio nome. A volte «girava» il compenso, ma nel caso illustrato da questa lettera non lo fece. Vittorini non è stato comunque il solo letterato di quegli anni ad avere dei comportamenti «disinvolti». Basti pensare a Montale, che nel '50 si faceva scrivere recensioni per il Corriere della Sera dall'amico Henry Furst. E' curioso notare, invece, come tanti fili diversi riconducessero alla Rodocanachi. Montale, che aveva presentato Vittorini all'amica, nel '41 le scriveva chiedendole notizie di Furst. La lettera è stata pubblicata da Tuttolibri, e ci fa capire che intrico di traduzioni, prefazioni, consigli, piccole furbizie, ruotasse intorno alla casa di Arenzano. La posta in arrivo non racconta però solo questo. C'è molto di più: ci sono le idee, i progetti, i sogni di una generazione di grandi scrittori. Giuseppe Marcenaro, custode dell'epistolario Rodocanachi, ha già pubblicato per Adelphi le Lettere a ì una gentile signora di Gadda, e per Camunia - il volume è recentissimo - la biografia Un'amica di Montale. Ora la corrispondenza di Vittorini permette di «restituire» alla signora la paternità di molti capolavori tradotti in quegli anni: non erano dello scrittore siciliano le belle versioni da D. H. Lawrence (Purosangue e II serpente piumato), e non è stata tutta farina del suo sacco la celebre antologia Americana. «Mi aiuti lei, per favore, lei che ha letture illimitate, autori e racconti americani - le scriveva -. Potrebbe prepararmi le traduzioni letterali? Sto preparando per Bompiani un'antologia e il suo aiuto mi sarebbe indispensabile». Ma d'altra parte, erano tempi duri. Lo stesso Vittorini aveva alle spalle una lunga attività di scrittore fantasma: la vita di Italo Balbo, firmata da Curzio Malaparte, l'aveva scritta lui. E guadagnandoci pochi spiccioli. [m. b.)

Luoghi citati: Arenzano, Genova, Milano