Ciancimino show: mi appello ad Amnesty di Francesco La Licata

Al processo di Palermo critiche anche ai giudici: mi perseguitano, ma nessuno m'ha mai condannato Al processo di Palermo critiche anche ai giudici: mi perseguitano, ma nessuno m'ha mai condannato Ciantiniino show; mi appello ad Amnesty «Ero il sindaco della do PALERMO tica, Ciancimino non accusa nessuno. Ma si concede qualche messaggio, neanche troppo velato. Come quando puntualizza di essere stato il sindaco di tutta la de, «allora la gestione era unitaria», o quando insinua l'esistenza di una congiura che lo vuole eterno imputato di processi mai conclusi. «Ho l'impressione - ha detto rivolto al presidente del tribunale Vito Amari - che i registi, non tanto occulti, di questa persecuzione vogliono che i processi che mi riguardano non debbano andare mai nei pubblici dibattimenti; o che, comunque, io debba parteciparvi in condizioni di prostrazione fisica e psichica». L'allusione è tutta dedicata al giudice Giovanni Falcone; a lui Ciancimino invia un «cattivo pensiero»: «E' la seconda volta che, a ridosso di udienze importanti, vengo tratto in arresto». La prima volta fu nel novembre del 1984, prima dell'udienza per discutere l'applicazione delle misure di prevenzione. E non ha risparmiato messaggi ai suoi ex amici e nemici, ai compagni di partito, sempre rimanendo sul vago, ma ricordando a quanti l'avessero dimenticato che, all'epoca dei fatti, Ciancimino era un r1 mocristiano, espressione del A artito. «Gli appalti per la stessa natura giuridica non possono essere assolutamente un fatto personale e privato di Cianci¬ DAL NOSTRO INVIATO Ciancimino parla ma non si pente. Non rientra nel suo costume. Ai giudici non consegna nessuno. Se proprio uno sfogo deve consentirsi, lo fa attaccando, sul «Sabato», praticamente tutto il partito che lo ha abbandonato al suo destino. Lui, d'altra parte, si è sempre difeso senza mai gettare la croce addosso a nessuno. E così ha fatto anche ieri mattina, davanti ai magistrati della terza sezione del tribunale, che dovranno giudicarlo, insieme con altri ex sindaci ed amministratori, burocrati ed imprenditori, per i reati di peculato e interesse privato. Una storia di «ordinaria corruzione» lunga 14 anni, nel corso dei quali, secondo l'accusa, si sarebbe distribuita una torta di 471 miliardi. Chi si aspettava che Ciancimino leggesse in aula un lungo elenco di nomi di complici è rimasto deluso. Lo show dell'ex sindaco è stato un autentico capolavoro di regia processuale. Un uragano verbale tendente ad accreditarlo come vittima dello Stato, dei giudici politicizzati, «sbattuto in galera, additato sui giornali come colluso della mafia, ma mai sottoposto a un giudizio pubblico. Sono un perseguitato. Mi appello ad Amnesty International». Da sapiente regista della scena poli¬ mino». Perché, poi, chi ha da intendere intenda, don Vito specifica. Ed usa il tono dell'ammiccamento: «Prego l'eccellentissimo tribunale di far celebrare questo processo dando ampi spazi a tutti: accusati, accusatori e parti civili. Tutti, dico tutti, eccellentissimo tribunale, devono venire a deporre in questa sede altamente qualificata». L'avvertimento, lanciato dal pretorio del tribunale, diventerà meno criptico qualche ora dopo, quando si saprà che, in un'intervista al «Sabato», Ciancimino lancia accuse al gruppo Mattarella-Orlando, denunciando un coinvolgimento della segreteria provinciale dell'epoca (faceva capo all'attuale ministro) nella «logica» degli affari. In aula Ciancimino era stato molto più «soft», cosciente, forse, che una corte, di fronte a certe affermazioni, avrebbe avuto il dovere di andare più in profondità. Il tam tam palermitano, sin da domenica, aveva anticipato che «don Vito avrebbe fatto un numero». Quanta agitazione nelle stanze della politica, ma quanta certezza che, alla fine, a prevalere è sempre il «buon senso». Le precauzioni, però, non sono mai troppe e così il solo a chiedere la presenza in aula di giornalisti e cameramen è proprio lui, il protagonista. Gli altri imputati preferiscono un clima un tantino più raccolto. Già, gli altri imputati. Dove sono? Sul banco dovrebbero sedere in 11, ma sono solo in tre. E don Vito è l'unico stretto nei ferri dei carabinieri, seppure a causa di fatti che non entrano in questo processo. C'è un altro ex sindaco, Giacomo Marchetto, anche lui de; ma sembra un passante. Abbandonato sul legno del sedile, lo sguardo assente, segue come uno spetta¬ tore. Con Ciancimino neppure un cenno, nessun contatto. Lo stesso fa l'altro imputato presente, Francesco Mazza, già al vertice della Icem, l'azienda che aveva in gestione la manutenzione dell'impianto d'illuminazione pubblica. L'altra impresa coinvolta è la Lesca (fogne e strade) del cavaliere Cassina e del genero Pasquale Nisticò. Ma i «signori degli appalti», per usare le parole dell'accusa, non sono in tribunale. Li rappresenta uno stuolo di avvocati. Don Vito entra alle 9,50.1 figli depositano in un angolo una valigia di documenti: «Ha detto che li vuole sempre a portata di mano». Sta meglio della volta precedente, l'ex sindaco. Indossa giacca e cravatta, un riguardo per la corte. E beve, beve L'ex sindaco Ciancimino è apparso in buona salute e ansioso di difendersi [foto ap] tanto. Anche quando è seduto davanti ai giudici, o quando impatta con Agata Consoli, pm assai scettico di fronte alle puntate vittimistiche dell'imputato. Il presidente legge i capi d'imputazione, don Vito ha fretta di prendere la parola. Gli viene ricordato che deve attenersi ai fatti processuali. Ma lui replica che ha tanto da dire, alza la voce inavvertitamente, ingannato dal microfono incerto. Risponde al rimprovero di Amari: «Presidente, è da anni che accumulo voce». Si dichiara soddisfatto di essere finalmente in una sede qualificata ed autorevole dove potrà difendersi. Sottintende che le altre sedi dove finora è stato trattato il suo processo non siano state altrettanto qualificate. Ai giornalisti dice: ((Avete scritto un cumulo di cazzate». Ma poi racconta un aneddoto su Leonardo Sciascia. Dice di averlo incontrato a Roma, al Plaza. «Mi precipito ad ossequiarlo e lui mi dice: "Come va col suo processo?"». Ciancimino ricorda di avere mostrato qualche perplessità, per il fatto che non arrivava l'ordinanza di rinvio a giudizio, benché la requisitoria fosse stata già depositata da tempo. «Sapete cosa mi ha risposto Sciascia? "Aspettano il pentito"». Il processo riprende domani. Cosa ci riserverà don Vito? Francesco La Licata

Luoghi citati: Palermo, Roma