Havel un enigma pigliatutto di Guido Rampoldi

La Cecoslovacchia gli dà fiducia assoluta, una minoranza grida al «Caudillo boemo» La Cecoslovacchia gli dà fiducia assoluta, una minoranza grida al «Caudillo boemo» Hovel, un enigma pigliatutto Al Castello solo il Presidente e i suoi fedelissimi PRAGA DAL NOSTRO INVIATO Dicono i sondaggi che se i cecoslovacchi dovessero votare per il capo dello Stato, Vaclav Havel vincerebbe con una percentuale romena, prossima al 90%. Con una maggioranza probabilmente altrettanto larga, Havel sarà confermato presidente dal voto dell'assemblea federale, in luglio. E conserverà due ruoli che non sono ufficiali: segretario generale, di fatto, del Forum, il partito di maggioranza assoluta; e di conseguenza premier-ombra del governo che verrà formato da un suo fedelissimo, l'ex comunista Marian Calfa. Nemmeno nelle repubbliche presidenziali un singolo ha poteri reali così vasti. I nazionalisti slovacchi e i repubblicani xenofobi già gridano al caudillismo boemo; un pezzo della de, il partito Popolare, pur non osando attaccare Havel comincia a lamentarsi del ruolo straripante del capo dello Stato. Chi è Vaclav Havel, e fanno bene i cecoslovacchi ad affidarsi a lui ad occhi chiusi? Il personaggio sembra molto più complesso di quanto dicano le sue infinite biografie. Di Havel infatti ce ne sono diversi. Del primo Havel racconta Iva Dobrowska, che nella dissidenza svolse un ruolo operativo: «Me lo presentarono sei anni fa, durante una rappresentazione clandestina organizzata in un teatro da Charta 77. Già allora BULGARfA era una figura notissima nell'opposizione, me lo immaginavo imponente e sicuro di sé. Invece era piccolo e timidissimo. Mi strinse la mano e cominciò a fissarsi la punta delle scarpe». L'Havel politico è l'opposto e dà il meglio di sé lo scorso autunno, quando in una notte organizza la dissidenza, incanta la zona grigia della società cecoslovacca e la convince a seguirlo nel gioco d'azzardo che si concluderà con il trionfo della rivoluzione. Poi Havel irrompe nel Castello, la plumbea dimora dello spodestato presidente Husak, portandosi al seguito una corte di artisti e i giovani della Società per una vita più allegra, reduci da feroci scherzi giocati al regime: saranno loro a introdurre nei lunghi corridoi del Castello il monopattino come mezzo di locomozione. A sei mesi di distanza, i consiglieri dello staff presidenziale hanno un profilo meno eccentrico di allora. Havel ha sostituito l'eskimo di dicembre con il vestito di un blu presidenziale e la cravatta rossa. Nelle sue interviste non mancano battute ma il tono è ponderato. Si permette lussi sconosciuti ai suoi omologhi: per esempio fa dichiarazioni di fuoco contro Pechino, lasciando costernata la diplomazia cecoslovacca, che ogni volta si chiede quante tonnellate di cotone cinese costerà ogni sua parola. Ma queste irruenze rafforzano la credibilità morale di cui Vaclav Havel go- mmma Un altro Rust nei cieli russi Il pilota dell'aereo che è entrato sabato scorso nello spazio aereo sovietico è atterrato all'aeroporto di Batumi, in Georgia, ed è ripartito in direzione del confine con la Turchia dopo aver lasciato sulla pista dei fiori e un messaggio di auguri per il presidente Gorbaciov. Lo ha reso noto «Izvestia». Il messaggio lasciato dal pilota è scritto in tedesco ed esprime appoggio alla perestroika. Chiede di non considerare il volo come un atto teppistico. me se la mia esistenza fosse già una colpa. La sensazione, inspiegabile e molto pesante, di affogare. La sensazione interiore di essere un diseredato, di non avere un posto, che è il motore segreto di tutte le mie azioni, insieme al mio desiderio di regole di vita che mi spinge di nuovo verso avventure improbabili. Direi addirittura che ciò che di buono ho fatto, l'ho fatto per nascondere la mia sensazione metafisica di colpa, per difendere un diritto d'esistere sempre messo in dubbio (..). Non mi meraviglierei se un giorno mi svegliassi in una cella e raccontassi ai miei compagni ciò che ho vissuto negli ultimi sei mesi per divertirli. Più mi trovo in basso e più quello mi sembra il mio posto (...). In fondo non sono che un rompiscatole e talvolta mi sembra che l'unica cosa che mi stia bene sia una generale derisione (...). Forse ora vi domanderete: come può fare il Presidente un uomo così? E' paradossale, ma devo confessarlo: se davvero fossi il più indicato, lo sarei soltanto perché dentro di me, in qualche luogo, nascosto c'è sempre un dubbio su me stesso e sul mio diritto a svolgere questa funzione». Chissà non sia proprio questo il motivo che spinge i cecoslovacchi a fidarsi dell'uomo irrisolto che ha sostituito al Castello i dittatori dalle tetragone certezze. k«w Lacrimogeni in una clinica pediatrica Havel brinda con Dubcek dopo la vittoria del Forum alle elezioni de nell'opinione pubblica. L'artista e il capopopolo hanno lasciato il passo all'uomo di Stato. Havel orienta quella congerie che è il Forum grazie a vecchi compagni di lotta, una specie di supremo cerchio, invisibile ora e durante la rivoluzione. Da Washington a Strasburgo, calca la scena internazionale con sicurezza. Si direbbe che l'Havel timido fino alla goffaggine di sei anni fa, il perseguitato che pagava già nell'adolescenza l'essere figlio di un grande possidente, abbia infine trovato un suo equilibrio. Ma con Havel non c'è mai da fidarsi delle apparenze. Due mesi fa ha lasciato a bocca aperta l'università di Gerusalemme raccontandosi a braccio come un uomo insicuro che non potrà mai liberarsi del suo passato. Perfino in Cecoslovacchia pochi conoscono quel discorso nel quale il capo dello Stato si diceva gemello di un grande praghese spentosi nella follia, Franz Kafka. «Voglio dire che in Kafka trovo un pezzo della mia esperienza col mondo e con me stesso. Cercherò di indicare le linee di questa esperienza. Una sensazione fondamentale eppure vaga della mia colpa. Co- Guido Rampoldi

Luoghi citati: Cecoslovacchia, Georgia, Gerusalemme, Pechino, Praga, Strasburgo, Turchia, Washington