La Repubblica russa insieme al Baltico al centro delle preoccupazioni del Cremlino di Aldo Rizzo

Estero LA STAMPA Me TORNANO I FRATELLI SEPARATI mento, a una devitalizzazione, della società civile. E' comprensibile ora che ci sia una reazione più opaca al grande cambiamento. Per due ragioni intrecciate: il coinvolgimento di larghi strati sociali nelle pratiche repressive (e quindi ora un senso di paura, di complicità); e in strati anche più ampi, specie nelle campagne, assuefatti alla stagnazione, deresponsabilizzati, l'insorgere di un senso di prudenza rispetto a un mondo nuovo e sconosciuto. E' diverso in un Paese come la Cecoslovacchia, che era già il più occidentale, il più refrattario alla sovietizzazione, per la ricchezza delle sue tradizioni democratiche e civili. Qui hanno vinto nettamente le forze dell'opposizione, coloro che non si erano arresi all'appiattimento totalitario e avevano preparato un'alternativa fin dai tempi più bui. Anche in Cecoslovacchia, comunque, i comunisti riformati hanno ottenuto una decorosa rappresentanza, in parte operazione di retroguardia, resistenza al nuovo, in parte fiducia nella possibilità di qualsiasi forza politica di rinnovarsi e di riscattarsi dal passato (ciò che uno spirito liberale non può escludere «a priori»). Il successo degli anticomunisti dichiarati in Cecoslovacchia (fra questi si è collocato, dopo una fase di tormentata ambiguità, Alexandr Dubcek) si aggiunge a quelli già registrati in Polonia, in Ungheria e nella Germania dell'Est. In questi tre Paesi hanno prevalso forze d'ispirazione cattolica o democristiana. E così il panorama complessivo della nuova politica nell'Est europeo non è dissimile da quello dell'Europa Occidentale: democristiani, forze emergenti o riemergenti della liberaldemocrazia, ex comunisti avviati sulla strada della socialdemocratizzazione. 11 tutto sullo sfondo di un'autentica involuzione istituzionale (dal totalitarismo al pluralismo), che non risparmia neppure la Jugoslavia, antesignana dell'antistalinismo, poi attardatasi, nella cruciale componente serba, sulle posizioni del monolitismo leninista. Il problema ora è che cosa sarà di queste società, di questi Paesi, che in modi diversi e anche contraddittori escono dalla lunga notte delle dittature. Davanti a loro non c'è, in nessun caso, una strada facile. Alcune grandi questioni dovranno essere affrontate e risolte. La prima riguarda la riconversione economica, il passaggio a forme di economia di mercato. E' una questione senza precedenti. C'è chi dice che il passaggio deve avvenire in un salto solo (perché non si può superare un abisso con più salti) e c'è chi teme le complicazioni sociali, cioè disoccupazione e caduta temporanea del livello di vita, di un'operazione tanto radicale. La seconda questione è più strettamente politica. Sono state tutte elezioni da dopoguerra, cioè con aggregazioni transitorie o artificiose. Per il prossimo futuro bisogna prevedere o augurarsi un'articolazione diversa, tra forze più omogenee, senza tuttavia cadere in una situazione d'instabilità e di frammentazione partitica. La terza questione riguarda i nazionalismi etnici, riesplosi quando è venuto meno il finto cemento unitario dell'ideologia comunista. L'elenco delle rivendicazioni e dei risentimenti coinvolge un po' tutti i Paesi dell'Est europeo, dall'Ungheria alla Romania, dalla Cecoslovacchia alla Bulgaria, per non dire della Jugoslavia lacerata al suo interno e in crisi all'esterno (con l'Albania, per il Kossovo). Forse qui soprattutto è attesa alla prova la maturità delle nuove classi dirigenti. Resterebbe una quarta questione: che può fare l'Occidente. L'Occidente può fare molto, ma non tutto. Può aiutare in vari modi, in primo luogo col suo esempio, i vecchi «fratelli separati» a salvarsi definitivamente. Il resto lo dovranno fare i diretti interessati. Le responsabilità della storia valgono per tutti. E' una difficile scommessa, da qui al Duemila. Aldo Rizzo Estero La Repubblica russa, insieme al Baltico, al centro delle preoccupa2ioni del Cremlino SOVIET SUPREMO

Persone citate: Alexandr Dubcek