Dieci bravi e un genio è la Seleçao di C. Giac

Le rivoluzionarie idee del tecnico sudamericano trovano d'accordo soltanto Falcao Le rivoluzionarie idee del tecnico sudamericano trovano d'accordo soltanto Falcao Dieci bravi e un genio, è la Selecao La stella di Careca nel semplice Brasile di Lazaroni Brolin Puntile «Verrei in Italia anche a piedi» «buoni selvaggi» camerunensi (in senso calcistico, s'intende) fanno fessi i furbi argentini. Ci sarebbero anche gli organizzatori italiani che fanno gli indiani, ma è un altro discorso. Soltanto un nome oggi lega il Brasile di Lazaroni alle edizioni precedenti. Un nome di saltimbanco: Careca. Dieci atleti e un genio, lui. Questa è la semplice ricetta con la quale la Selecao BRASI ILE '82 cerca di agguantare il titolo mondiale che da vent'anni le sfugge. Vent'anni attraversati da due generazioni di fuoriclasse perdenti, da Reinaldo a Falcao, da Zico a Socrates, da Junior a Cerezo. Careca è l'ultimo di quella stirpe. Quasi un sopravvissuto. Avrebbe dovuto giocare nell'82 in Spagna, in una delle più forti nazionali della storia, ma s'infortunò grave¬ mente a cinque giorni dall'esordio con l'Urss e dovette fare le valigie. Il suo posto fu preso da Serginho, centravanti-boa nel senso letterale del termine, cui corre ancora e sempre il grato pensiero del popolo italiano. Quando Careca, filialmente guarito, tornò nella Selecao, molti grandi di Spagna erano già andati in pensione. Era rimasto il solo artista. BRASILE '90 nome di un famoso clown brasiliano: Careca, appunto. Intorno a questo fuoriclasse antico, scheggia di un altro Brasile sfuggita al suo tempo, Lazaroni ha costruito tutta la squadra. Con Careca, che ha bisogno di spazi e sa giocare un magnifico contropiede, non servono le seconde e terze punte che di solito farcivano le formazioni brasiliane. Basta Muller, preferito a Romario e Bebeto proprio perché spalla ideale del genio. I posti creati sono serviti a puntellare la difesa, che continua a essere, pur così infoltita, il punto debole. Lazaroni ha difeso il reparto, contro le critiche, al solito acidule, dei suoi connazionali giornalisti. Ma ha finito per ammettere che «manca la velocità, la squadra deve migliorare, è ancora imballata». Del resto il Brasile ha impostato il mondiale per vincerlo, la Svezia per passare il primo turno. Normale che gli scandinavi fossero più in forma. I mostri sacri presenti alla gara hanno invece sospeso il giudizio. Tra una smorfia di Pelè e un rimpianto di Junior («l'avessimo avuto noi, Careca, nell'82...»), esce dal coro soltanto il giudizio positivo di Falcio, eletto allenatore ombra dai critici di Lazaroni: «Il Brasile ha giocato un'ottima gara contro una grande rivale. Anche la Svezia farà strada, ve ne accorgerete». E se avesse ragione lui? Campioni, come saltimbanchi, si nasce. Careca è figlio d'arte, il padre Antoninho era buona mezzala del Ponte Preta anni Cinquanta, al fianco di Dondinho, il padre di Pelè. Destino. Antonio de Filho Oliveira (è il vero nome) è un talento prodigio: a 17 è già titolare del Guarani. Ma è anche un ragazzo timido e modesto, tanto da prendere a prestito, con notevole autoironia, il Curzio Maltese TORINO. E poi dicono che il 17 porta jella. E' il numero di maglia di Tomas Brolin, autore del gol che ha regalato alla Svezia l'illusione di poter pareggiare, e a lui il primo lampo di gloria internazionale. Ventun anni a novembre, Brolin sta vivendo la fiaba del «signor Nessuno diventato d'improvviso Personaggio». Sino a pochi mesi fa era uno sconosciuto: da riserva di belle speranze nel Norkòpping, a suon di reti s'è conquistato il posto di centravanti titolare. Probabilmente, non sarebbe bastato per approdare subito in nazionale. Invece, con la complicità della Fortuna (Petterson, punta al servizio dell'Ajax s'era fratturato una gamba e non era pronto per i match di collaudo al Mondiale) a maggio è stato chiamato dal et Olle Nordin. Dalla convocazione come panchinaro all'esame del fuoco. Il buon Tomas esordisce contro il Galles e realizza una doppietta. Un'altra la segna nella goleada (6-0) contro la Finlandia. Ormai è certo: farà parte della squadra per Italia '90. Un salto sbalorditivo. Soprattutto se si considera che il bomber «venuto dal nulla» non è ancora un professionista completo. Vive di un rimborso spese, lo integra lavorando tre pomeriggi la settimana da contabile in un'azienda di trasporti. La rete a Taffarel ha già spazzato via l'incomodo part-time. Ormai, Brolin é una stella della Coppa del Mondo: Nordin gli predice un gran futuro: «Però attenzione, non carichiamo di eccessive responsabilità questo ragazzo dalle doti immense». Tomas, come vive questo sogno? Con un sorriso, il nuovo asso di Scandinavia risponde: «Quando, sabato, il mister m'ha annunciato che sarei sceso in campo contro il Brasile m'era sembrato di toccare il cielo. Figuratevi dopo il gol». E, adesso, cosa accadrà? «Spero di poter giocare ancora». Dicono che al Norkòpping, già prima della sua ottima prestazione contro il Brasile, piovessero richieste da tutte le parti d'Europa. Chissà adesso. A questo punto, un ingaggio italiano non è più un miraggio. «Sì, i miei dirigenti m'hanno accennato all'interessamento di alcuni club olandesi, belgi e tedeschi. Però, sino alla fine di questa magnifica avventura che è il Mondiale, non voglio sapere nulla. Guai se mi mettessi a fantasticare proprio ora. In Italia, comunque, ci verrei a piedi». Tecnicamente, qual è il suo pregio più grande? «La velocità, il fiuto del gol. In piccolo penso di assomigliare un poco al vostro Paolo Rossi». E il difetto maggiore? «Debbo migliorare il colpo di testa». [c. giac]