Mammostro dell'orrore di Masolino D'amico
II «pocket musical» alla Cometa di Roma, regista Marafante II «pocket musical» alla Cometa di Roma, regista Marafante Mammostro dell'orrore // soggetto di Pavia si rifà con garbata ironia al genere cinematografico Nella nebbiosa Londra caccia al maniaco, emulo di Jack lo Squartatore ROMA. Il pocket musical o commedia musicale da camera, con pochi attori-cantanti e senza balletto, o con balletto molto ridotto, è ormai un genere italiano, assai frequente in certi teatrini delle grandi città e, cosa che più conta, assai gradito da un certo pubblico giovane; senza dedicarvi ima curiosità particolare, nel giro di una stagione mi sono imbattuto in numerose sue proposte tutte piuttosto gradevoli, firmate dagli specialisti Cinque, Marconi, Carafoli, ed altri ancora. L'ultimo, degno campione della tendenza, ha debuttato pochi giorni fa al teatro La Cometa di Roma, dove l'ho raggiunto con qualche ritardo, in una serata festosa malgrado la concomitanza con un'importante partita del Mundial, Parlo di «Mammostro», testo di Pino Pavia, musiche di Paolo Gatti e Alfonso Zenga (con un rinforzo di Sergio De Vito e Marco Testoni), scene e costumi di Alessandro Chiti, e regia di Roberto Marafante. Come di prammatica per la maggior parte dei pocket musical, il soggetto si rifà, si capisce prendendolo garbatamente in giro, a un grosso filone dello spettacolo in genere e del cinema in particolare. Questa volta è di turno l'orrore, o se preferite l'horror, nella nebbiosa Londra di fine secolo. Qui è in corso la caccia a un emulo di Jack lo Squartatore, un maniaco dall'aspetto mostruoso che aggredisce le donne sole e le mutila atrocemente. Ed ecco che, inseguendo la sua palla, una fanciulla di quelle che una volta Arbasino chiamava bambinacce, ossia cresciutella, saccente e perfino un po' indisponente, si allontana dalla sua istitutrice (in realtà sogna l'evasione, l'avventura, sulla falsariga dei romanzi di cui è avida consumatrice), e viene catturata da una specie di torvo, deforme abitatore delle fogne, e trascinata da lui nel suo habitat sotterraneo. Ma qui scopriamo che il rapitore, per quanto scostante di aspetto, e preoccupante per certi vezzi come quello di smembrare le bambole, di cui possiede una collezione, o quello di accoppare grossi ratti e poi cibarsene, non è affatto il sanguinario criminale in questione. E' semplicemente un uomo solitario, mentalmente ritardato, condannato a vivere perennemente nascosto senza mai vedere la luce, in compagnia dei suoi giocattoli. Come apprenderemo in un secondo tempo, sua madre, che continua a perseguitarlo negli incubi cui egli va soggetto, era nientemeno che la regina Vittoria, la quale si era sbarazzata di un rampollo poco presentabile confinandolo nel sottosuolo. Ma ecco che dopo un comprensibile sgomento iniziale la giovane eroina, sicura di sé come una seconda Alice nel Paese delle Meraviglie, impugna la situazione e intraprende una sua lotta personale per recuperare il povero disadattato e dargli l'affetto di cui ha bisogno. Sul più bello rimane uccisa per errore, da una fucilata della polizia; ma in qualche modo tornerà dall'infelice vittima dell'egoismo materno, e insieme i due saranno felici nell'aldilà. Il piccolo spettacolo (ma non poi tanto, con l'intervallo sono poco meno di un paio di orette) consiste insomma quasi tutto nel confronto fra rapita e rapitore, con in più soltanto l'intervento onirico della regina Vittoria. Tuttavia il rischio della monotonia è scongiurato dalle trovatine di una regia scorrevole, assistita dalla ricchezza della scena, che prevede alcuni effetti Il via questa sera nei gi giardini di Villa Brignole speciali oltre a presentare un buffo bric-à-brac di oggetti curiosi. I tre interpreti sono poi all'altezza della situazione, spiritosamente petulante Daniela Tosco che coglie con intelligenza il senso di superiorità della sua signorinella vittoriana bennata; perentoria, anche vocalmente, Mariateresa Gasperi, che è la regina; e particolarmente efficace Tito Vittori, che malgrado il trucco pesante e la voce artefatta comunica benissimo la vulnerabilità e allo stesso tempo la protervia del suo recluso mai diventato adulto. Il suo è un vero tour de force. Azzeccato, infine, il dialogo, soprattutto per quanto riguarda il personaggio della piccola protagonista, mentre le musiche avrebbero forse potuto essere più incisive, e più nutrite; in un musical, sia pure tascabile, avrei voluto ascoltare più canzoni e più melodie. Questo appunto proviene comunque da un frequentatore occasionale, gli aficionados sembravano perfettamente soddisfatti. Masolino d'Amico
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