Gabon delitto imperfetto di Mimmo Candito

Vento dell'Est anche per i regimi corrotti e violenti dell'Africa nera? Vento dell'Est anche per i regimi corrotti e violenti dell'Africa nera? Gabon, delitto imperfetto Una notte d'amore incendia il Paese EIBREVILLE, capitale del Gabon, all'alba di mercoledì 23 maggio. Nel silenzio tiepido della città ancora addormentata, lo chauffeur del prof. Joseph Rendjembé scambia qualche parola assonnata col portiere dell'hotel Dowé e poi dal telefono del bancone chiama la camera 645, per svegliare il suo patron. La notte lui l'ha passata sulla Mercedes nera parcheggiata nel cortile dell'albergo, sotto le palme polverose che fiancheggiano il viale; monsieur Joseph - che gli aveva detto di aspettarlo fino all'alba e poi, se non fosse ancora sceso, di andargli a bussare - era entrato in albergo con un'affascinante ragazza, alta, vistosa, molto elegante, anche molto appiccicata; e il pover'uomo bussa timidamente: deve svegliarlo ma non vuole prendersi una strigliata. Joseph Rendjembé è uno che conta. Docente di Scienze economiche all'Università di Libreville, è anche un ricco e influente uomo d'affari, presidente della Sonapress (che è l'editrice del quotidiano nazionale del Gabon, «l'Union») e presidente soprattutto della Sonadig, la società che gestisce gli investimenti dello Stato. Ha interessi nei grandi traffici con l'export, la sua rete di relazioni è fitta e coinvolge il vertice stesso del potere politico, che da 20 anni ormai fa capo al presidente perpetuo Omar Bongo. La lunga dittatura è entrata in crisi, negli ultimi mesi, e Bongo ha concesso ora una nuova Costituzione, aperta alla nascita di un sistema multipartitico. Nel clima politico traversato da minacce velate e dalla lunga esperienza di una repressione senza guanti, Rendjembé è diventato subito segretario del neonato Partito Gabonese del Progresso, la formazione più importante dell'opposizione. Di questa opposizione, anzi, si dice già che il candidato presidenziale per le elezioni del '93 sarà certamente monsieur Rendjembé. «M'sié, m'sié Joseph», chiama lo chauffeur. Da dietro la porta non si sente il minimo rumore. Lo chauffeur si precipita giù a chiamare il portiere e i due tornano di corsa. Ribussano nuovamente, una, due volte, poi il portiere infila il passepartout e apre. Monsieur Joseph è sul letto, seminudo, immobile come solo può esserlo un morto. E nella stanza, silenziosa, tranquilla, tenuta in penombra dalle spesse tende accostate alla finestra, non c'è altri. La misteriosa, seducente, innamorata ragazza della notte prima, è scomparsa. Sul registro dell'albergo è stata segnata come mademoiselle Jeanne Canonne, con passaporto della Costa d'Avorio, ma nessuno la conosce, nessuno sa chi veramente sia; e ora è sparita. Arriva ia polizia, cominciano le indagini e anche i sospetti. Marc Nam Nguema, presidente del Fronte unito dell'opposizione e vicepresidente del Pgp, chiede al console di Francia Jean Duf- Giaunacostdell fau che un'autopsia venga eseguita da medici francesi. Durante l'esame in obitorio, sull'addome del morto vengono trovati i segni di alcune punture. Che cosa sia stato iniettato nella pancia di questo leader dell'opposizione non si riesce a scoprire, non si trovano tracce di veleni o di sostanze mortali; ma il sospetto dell'assassinio politico si fa subito certezza. Tra giovedì e venerdì il Gabon s'infiamma: prima a Libreville, dove viene proclamato uno sciopero generale, ma poi anche a Port-Gentil, la capitale economica del Gabon, dove Joseph Rendjembé è nato e dove la sua etnia, quella dei Miéné, è maggioritaria. Sono incendiati tutti gli uffici pubblici e la residenza presidenziale, e il console di Francia e ima decina di suoi connazionali vengono presi «cortesemente» in ostaggio per alcune ore: i Miéné chiedono l'intervento di Parigi, si vuole che Mitterrand faccia con Bongo quello che una decina d'anni fa era stato fatto con «l'Imperatore», Jean-Bedel Bokassa. Bongo, come Bokassa, deve tutto il suo potere alla Francia, che per vent'anni lo ha sostenuto, finanziato, e protetto; ora i Miéné, ma poi anche la gente qualunque che da mesi ha scioperato, protestato, chiesto la fine della dittatura e un cambio di regime, vogliono un passaggio di mano nente Nero. Eppure è esemplare, perché sul suo racconto ambiguo, fatto di dubbi e di certezze, di grandi furori popolari, di paure scespiriane, di cortigiani infedeli e di dittatori all'ultimo appuntamento, soffia il vento che sta cambiando il corso del Continente. E' ancora il vento dell'Est, la spinta irresistibile per un cambio che chiuda il tempo delle dittature e awii il processo, difficile, incerto, imprevedibile anche, della democrazia. Ma l'Africa è lontana dal Danubio, la similitudine con quanto avviene nel cuore della vecchia Europa si ferma alla crisi di sistemi ereditati dal passato; tutto il resto, è un racconto ancora da leggere. E il giallo di Libreville ne compendia gli elementi essenziali. LAfrica è un continente che muore. Nell'ultimo decennio, i 40 Paesi che vivono a Sud del Sahara sono stati la sola regione della Terra a non poter segnare nemmeno un incremento relativo negli indici della loro povera economia, allargando ancor più drammaticamente il fossato che separa il reddito individuale dell'Africa nera (380 dollari) da quello degli altri Paesi del Terzo Mondo (750 dollari). E se il Camerini oggi batte l'Argentina sull'erba lucida di un Nord sorpreso e incantato, lo stesso Camerini ha poi un reddito prò capite di appena 1010 dollari, una speranza di vita di 57 anni, un tasso di scolarizzazione dei 67 per cento. Il Continente ricco di materie prime pregiate, una miniera globale di uranio, manganese, ferro, petrolio, oro, nichel, fosfati, non ha però alcun controllo reale della propria ricchezza, e per pagare i soli interessi del debito estero - non diciamo il capitale - deve utilizzare il 60 per cento delle intere esportazioni. Ma questo stesso Continente disgraziato e affamato spende poi per i cannoni, i carri armati e le mitragliette dei suoi eserciti pretoriani il doppio che per le sue scuole e quattro volte la cifra che destina agli ospedali e alle medicine. E i suoi padroni, i Re Negri, cioè i presidenti civili o militari che hanno investiture praticamente a vita, tengono nelle banche svizzere e tedesche fortune che superano di due o tre volte l'intera ricchezza prodotta ogni anno dai loro sudditi. Le scelte che i vecchi imperi coloniali segnarono sul carnet dei capi africani nei primi Anni Sessanta, quando gli lasciavano l'eredità delle loro terre, erano dominate soprattutto dal principio della stabilità. Anche perché stabilità significava certezza dei partner commerciali indigeni e garanzia sulla continuità dei traffici d'import-export. Questa «stabilità» è stata poi interpretata con metodi vari - d'accumulazione capitalistica molto spesso, ma anche di centralismo marxista o di formule socialiste - e però con un'unica identica finalità: di garantire all'uomo al potere, e al suo clan, e alla sua etnia, una designazione sostanzialmente monarchica. La crisi degli Anni Ottanta, con la caduta dei prezzi delle materie prime e con la crescita esponenziale del costo del debito estero, ha però incrinato duramente questo modello di stabilità politica; e i programmi di austerità «consigliati» dal Fondo monetario e dalla Banca mondiale per recuperare un accesso al mercato finanziario hanno fatto esplodere ora le tensioni sociali che la tribù, l'etnia, la gerarchizzazione culturale, e gli eserciti presidenziali, avevano saputo tenere a bada tanto a lungo. LAJrica cambia. Il vento dell'Est, e i moti di piazza, hanno convinto già Mobutu (Zaire), Houphouèt-Boigny (Costa d'Avorio), Kéréku (Benin), Bongo (Gabon), Mwinyi (Tanzania), Kaunda (Zambia), a decelerare la vec¬ chia «stabilità» e ad articolare il sistema politico. E' ancora solo un inizio, i progetti in Africa sono spesso diversi dalla realtà che li segue; il cadavere eccellente della stanza 645 lo può raccontare a modo suo. Ma dietro il giallo africano c'è poi il ruolo che vogliono interpretare ancora le vecchie potenze coloniali, i loro programmi d'assistenza, le forme di cooperazione, i loro investimenti, vitali per mantenere ancora un'ultima speranza di sopravvivenza. Prevarrà ancora il principio della «stabilità»? Il deserto, in Africa, avanza di 6 chilometri ogni anno; il tempo che resta per decidere non è poi molto. Mimmo Candito