La buia Grazia di Agostino di Carlo Carena

Ritradotte le «Confessioni» Ritradotte le «Confessioni» La buia Grazia di Agostino AGOSTINO scrisse le sue Confessioni da vescovo di una delle grandi città africane sul mare, Ippo Ina, porto di granaglie agitato da eretici e barbari, anche allora al finire di un secolo, il quarto dopo Cristo, e una decina d'anni dopo il momento culminante del racconto: aveva passato da poco la cinquantina, e la sua conversione datava appunto da un decennio. Imperterrito, per un bisogno di ricapitolare davanti a Dio e agli altri, in una confessione di lode e di fede, il cammino che lo aveva portato a credere, e a credere in quel modo, narrò la propria vita, le circostanze materiali e il tragitto mentale, il secondo non meno drammatico delle prime. Per cui le Confessioni sono la prima vera autobiografia delle nostre letterature e un compendio di filosofia antica; storia di un grande convertito raccontata in prima persona dentro una gabbia teologica, anzi teleologica, che oggi può apparire anche troppo remota. Della fede e della religione si parla quasi soltanto in termini collettivi e sentimentali. Il sentimento di Agostino, grande sentimentale, è soprattutto di adesione a un sistema di pensiero e a una Realtà ultima del mondo, che spiega ogni cosa all'intelletto prima di scendere nel cuore, e la spiega invadendo l'uomo e umiliandolo*con la sua opera. Un'esperienza tutta interiore, senza interventi estranei, un colloquio a due in cui gli altri entrano ben poco. La carnalità profonda di Agostino, esposta senza veli al lettore, con le sue audacie e le sue viltà, si accompagna e risolve in una intellettualità altissima. Ma a sua volta l'inquietudine del pensiero è pari se non superiore a quella della sensibilità, il bagno di umiltà è prosciugato dalla cultura, da tutte le correnti meteoriche del pensiero religioso contemporaneo e dagli antichi sistemi classici. Camus, studioso giovanile e mai congedato di Agostino, aveva capito che la conversione e poi la fede di Agostino dipendevano dalla soluzione, a lui Camus mai concessa, di un problema metafisico, quello del Male. Chi oggi compia lo stesso percorso partendo da un punto simile, credo sia difficile da trovare. Ma il documento rimane. Ed è essenzialmente come a un libro di filosofia che si è accostata alle Confessioni la sua ultima traduttrice, Roberta de Monticelli, per la collezione Garzanti della Spiga. Ci si può arrischiare a dire che sia la prima traduzione femminile di questo libro di un disdegnoso amatore delle donne, e forse addirittura di un qualsiasi suo testo. Ed è una traduzione e un'annotazione, anzi un'interpretazione in cui sono fatti prevalere i contenuti speculativi, osservandone meno i riflessi psicologici e l'espressione letteraria, Sant'Agostino ( questi altri due poli in cui si riversa e si anima, miracolo di capolavoro artistico, la tensione dell'arco della vita e del pensiero di chi pur era e rimaneva un grande retore. Perché la fantasia agostiniana trasforma miracolosamente il dibattito filosofico e teologico in un dramma interiore e fin psichico, che coinvolge tutte le facoltà e attraversa tutti gli avvenimenti. La compassata, superba teoria di Marco Aurelio, il precedente più immediato e pur lontano, la stratosferica speculazione di Plotino, maestro interpretato più che ripudiato, in questo temperamento africano e in quest'epoca convulsa prendono forma nell'anima. (Parigi, Louvre) L'unico paragone possibile resta l'altro santo fondamentale del cristianesimo, Paolo, in quella confessione che sono le sue lettere, «lacrime di confessione» come le definiva lo stesso Agostino alla fine del settimo libro, e come torna a definirle in un recente omonimo libretto di meditazioni (editrice Ancora) il cardinale Martini. rigi, Louvre) Anche là uno sconvolgimento radicale che rende un nuovo conto di sé, della realtà e della storia; anche là una visione globale in una «luce provvidenziale» e un fuoco che ormai distrugge il passato e spinge irrefrenabilmente in avanti. Anche là questo senso potente della Grazia, che fu la risoluzione e l'amore di Agostino. E appunto questo fece balzare le sue confessioni da uno scartafaccio di pensieri e di sistema dottrinale circoscritto in un capolavoro universale di vita che, come diceva Maritain, corre continuamente incontro al rischiò della probabilità anziché adagiarsi sulla via della certezza di un Tommaso d'Aquino. Questa se mai è una chiave di lettura che resiste anche dopo l'esistenzialismo, agita qualsiasi coscienza e non potrà mai far accantonare anche dal lettore comune le Confessioni di quest'uomo che, come ha cercato dovendo trovare, cosi ha trovato ma come dovendo trovare ancora (è ora Blondel a dirlo). Un esempio lampante si trova all'ime i stesso dell'opera. Nella sezione finale, i libri 11-13, per i quali l'annotazione della de Monticelli è particolarmente abbondante, la speculazione ardua sul primo capo della Genesi - una fissazione di Agostino ma un enigma per sempre - assume l'aspetto di una rincorsa fra il testo e il pensiero, ancora di una contesa con Dio non più nell'arena della vita ma in quella della mente, altrettanto misera, altrettanto in cerca di un lume che c'è ma che quanto più si va innanzi tanto più sembra sfuggire. Come si vede, vi è spazio per molti modi di leggere - e d'interpretare, e di tradurre. I libri come questo mettono alla prova anche il lettore, oltre all'esausto traduttore. Carlo Carena

Persone citate: Agostino Agostino, Blondel, Camus, Maritain, Plotino, Roberta De Monticelli, Tommaso D'aquino

Luoghi citati: Louvre, Parigi