MANGIARE ALL'APERTO di Sandro Doglio
MANGIARE ALL'APERTO RISTORANTI MANGIARE ALL'APERTO Ipiaceri della tavola sotto pergolati e dehors AVVICINANDOSI l'estate può essere piacevole sedersi ogni tanto a tavola all'aperto, magari all'ombra di ima topia o di un bersò, lungo il fiume, in collina, o anche nel cuore della città. Una volta — quando andare al ristorante era un rito o una festa, non una necessità o un'abitudine come sta capitando adesso — si cercava di mangiare all'aperto soprattutto di sera; e per farlo ci si spingeva anche fuori città, per trovare con' gli amici o la famiglia un momento di pace e di serenità. Spesso, anziché una cena vera e propria, si celebrava quella che i vecchi piemontesi ancora chiamano «merenda sinoira», cioè merenda che Vale come cena: un piluccare che comincia nel tardo pomeriggio tra vari piatti, per lo più tutti freddi, quasi un assortimento di quelli che oggi definiamo «antipasti». L'oste portava salame cotto e crudo tagliandolo a fette sull'asse di legno, un piattino di acciughe al verde da mangiare con un pezzo di morbida «biova», insalata di tonno e fagioli oppure di nervetti, un cucchiaio di insalata «russa», la tinca in «carpione», e via mangiando, magari una montagna di verdure di stagione intinte nell'olio, per finire con un piccante «tornino elettrico» o addirittura un cucchiaino di «bros», intruglio magico e maschio di formaggi fermentati. Il tutto era abitualmente innaffiato con qualche bicchiere di buona Barbera (quando era°un vino spesso, generoso e nero, sapeva di uva e non di legno). Travolte dalla smania di diventare ristoranti, battute dalla concorrenza di pizzerie e paninoteche, le trattorie e le osterie — che ieri rappresentavano la méta paradisiaca per questi pranzetti all'aperto — quasi non esistono più. In città è difficile trovarne ancora, se non nascoste in vecchi palazzi del centro o nelle stradine meno battute al di là del fiume; e la stessa collina ha ormai perso molti pergolati. Oggi, del resto, si cerca spesso il tavolo all'aperto ^- in città o negli immediati dintorni — anche a mezzogiorno: breve pausa all'affanno del quotidiano, momento di riposo o di incontro per lavoro o di chiacchiere fra amici. Anche il menù è oggi quasi sempre diverso da quello tradizionale: prosciutto e melone, cocktail di gamberetti e salmone affumicato (o pesce spada), la fanno purtroppo da padroni come antipasti; seguono minipiatti di pastasciutta (mai chiamata così) condita in modi spesso esotici, per continuare in genere gpn un filetti-, no di pesce, oppure un ritaglio di carne, e concludersi con una fetta di budino tenuto su dalla colla di pesce oppure Una vaschetta d'acqua in cui guazzano Un pugno di ciliege, due pesche e tre albicocche. Al vino rosso e robusto dei vecchi tempi (magari consumato — come si dovrebbe, se non si dà retta ai cosiddetti esperti — appena tolto di cantina, fresco e beverino), si sostituisce oggi troppo spesso un bicchiere di vino bianco, gelato e molto profumato. Per fortuna non tutto si è però appiattito a livello di «fast-food» o di menù stereotipato. Molti buoni ristoranti — con cucina tradizionale (o anche innovativa, comunque da non confondere con la cucina banale o di pura fantasia) — anche nel cuore di Torino, hanno mantenuto la bella abitudine, tra giugno e settembre, di metter due o tre tavoli in piazza, per strada, in un giardinetto o in un cortile. Ne segnaliamo alcuni: agli appassionati il piacere di scoprire i cento altri, spesso nascosti in angoli impensabili. Sandro Doglio (mm
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