TIZIANO

TIZIANO TIZIANO Oltre 70 opere a Venezia Dagli esordi alle apocalissi VENEZIA ER questo Tiziano nell'appartamento del Doge a Palazzo Ducale, fino al 7 ottobre (ricordi il visitatore che è necessaria la prenotazione; e mi rimane tuttavia un qualche brivido pensando alla folla nelle sale e salette dogali, nella penombra dell'illuminazione, d'altronde ottima dal punto di vista conservativo), sembrano davvero tornati i tempi delle mitiche grandi mostre monografiche veneziane iniziate con Barbantini e Fogolari e proseguite con Pallucchini e Zampetti nel dopoguerra. Devo dire che quei tempi sono tornati al meglio; con uno schieramento di opere - 62 dipinti, compresi i complessi dei soffitti di S. Spirito in Isola, oggi nella chiesa della Salute, e della Scuola di S. Giovanni Evangelista, da Washington, le due colossali xilografie giustamente inserite con evidenza come tappe fondamentali e 8 fra i rari disegni meno fluvialmente nazionale. Dagli arrivi generosi, dalla National Gallery di Washington, dove approderà la seconda tappa della mostra, e dal Prado di Madrid e dalle altre opere tra le più significative concesse dal Louvre, dalla National Gallery di Londra, dal Kunsthistorisches e dall'Accademia di Vienna e soprattutto, ai due estremi del percorso, dalla paletta con S. Pietro, Alessandro VI e Jacopo Pesaro del museo di Anversa e dal Mursia del Castello di Kromeriz in Boemia scaturisce un Tiziano più «critico». Forse meno «mattatore» e portatore di felicità ed opulenze cromatiche, certo più drammatico e rivoluzionario senza confini nel tempo. E con lui agli esordi emerge come non mai una Venezia, fra Giambellino e Giorgione, sede primaria di una rivoluzione «moderna», se moderne sono di colpo l'accensione dei sensi, la vibrazione della psiche, la soggettività del tessuto di luce, colore e spazio, rispetto alla stilizzazione ed ai filtri della mediazione umanistica nel primo decennio del secolo della Riforma e degli Stati Nazionali e del primo capitalismo borghese. Ciò avviene a Venezia con una libera intensità, una vitalità anche problematica ed esoterica (Giorgione) che Firenze e Roma non conoscono: mi azzardo a dirlo di fronte al lacerto, allo spettro della Giuditta dal Fondaco dei Tedeschi, affrescata a fianco di Giorgione, o alla paletta di Anversa, avvenga o no all'interno di essa il confronto con il maestro Giambellino, o al Cri¬ sto Portacroce della Scuola Grande di S. Rocco o al Bravo di Vienna, contesi con Giorgione. E' una contesa che forse non sarà mai risolta, proprio perché il coinvolgimento di entrambi giovane e giovanissimo in questa rivoluzione dell'immagine appare, di opera in opera, totale, in un senso direi psicofisico. Più vibratile fra lume e ombra la psiche di Giorgione, più fisico il plasma del giovanissimo Tiziano, ma il precipitato pittorico di queste alchimie è forse indistinguibile per un brevissimo giro d'anni fra 1508 e 1510. In questo bilico in cui comunque si pesa il futuro, un piatto della bilancia reca anche l'intatta capacità di rinnovamento del vecchio Giambellino. Uno dei vertici iniziali della mostra è rappresentato dal Festino degli Dei da Washington, commissionato da Alfonso d'Este per Ferrara a Giambellino, da lui datato 1514 e ridipinto nel fondo arboreo e roccioso al centro ed a sinistra, e nelle fronde a destra da Tiziano. La recentissima pulitura ha ridato la loro essenza pittorica ad entrambe le mani dei due artisti, ed è davvero difficile dire quale fra i due ben distinti ed altissimi linguaggi ha un maggiore slancio verso il futuro: certo, Tiziano ha sentori ed umori di terraferma, di Nord, e il venerando maestro di limpidezze lagunari. La densità corporea, tettonica, del colore (probabilmente già riconosciuta e strappata dall'avidissimo giovane a Durer e al Lotto) è la personale risposta di Tiziano intorno al 1510, l'anno della morte di Giorgione e della partenza di Sebastiano del Piombo per Roma. Nella pala della Salute, già in S. Spirito in Isola, vi è ancora l'azzardo totale del tappeto verde smeraldo sul basamento reggente San Marco. Poi, con la scomparsa fisica delle alternative dei due successivi maestri, l'onda cromatica fluisce per più di un ventennio senza problemi né limiti. E' il Tiziano più noto, in cui scioltezza di ritmi strutturali e fusione cromatica sembrano obbedire esclusivamente ad una sorta di valore atmosferico, biologico: frescura (la Madonna col Bambino, S. Giovannino e S. Caterina della National Gallery di Londra), calore (la Madonna del coniglio del Louvre). L'altra faccia, più ombrosa e segreta, è rappresentata dall'eredità giorgionesca e dal pungolo del Lotto, nel Ritratto di Gentiluomo di Pitti, datato, ma forse a posteriori, 1526, e nell'Uòmo dal guanto del Louvre. Sono opere di assoluta rappresentatività, il che giustifica la ri¬ stretta scelta in favore dell'ulteriore Tiziano, più problematico e più complesso. E' il Tiziano trionfante (solo a quel patto egli lascia Venezia per scendere a Roma presso Alessandro Farnese e Paolo III, o per salire ad Augusta presso Carlo V ed il principe Filippo) ma inquieto, quale già appare nell'Annunciazione accalorata della Scuola Grande di S. Rocco e nordico imperiale nella forma ritrattistica: gli stupendi Della Rovere marito e moglie degli Uffizi dopo il restauro; il vecchio Bembo ed il giovane Ranuccio Farnese di Washington, con una straordinaria vitalità, fino alla implacabilità del Paolo m di Capodimonte. Siamo alla «crisi» cosiddetta manieristica intorno al 1540, così a fondo studiata dal compianto PaUucchini. Crisi vera, nel senso anche tradizionale del termine: i recenti e recentissimi restauri già in S. Spirito in Isola mostrano inequivocabilmente la pittura di un Tiziano allo sbando, grossolana per presunzione di titanismo. Purtroppo l'irrimediabile cattivo stato della superficie impedisce di essere certi che l'altro titanismo dell'impressionante Tizio del Prado sia già sotto il segno della crisi superata per superba, sfatta, cupa sprezzatura pittorica, mai più veduta fino a Géricault. Da qui in avanti, e siamo a metà mostra, domina la sconvolgente realtà di una pittura al di là della storia della pittura, al di là di ogni limite o convenzione: la «nuova natura» di Tiziano, di cui già il '500 era conscio. Il pieno calore della Danae di Capodimonte per Ottavio Farnese è erotismo, la versione del Prado della Venere e Organista è assoluta e stupenda pornografia pittorica, altrettanto quanto la Venere allo specchio di Washington. Un demone sembra incalzare il vecchio Tiziano (ha un nome: Tintoretto), ed è difficile dire quanto vi sia di celeste o di infernale nel Martirio di S. Lorenzo dei Gesuiti o nell'Annunciazione di San Salvador. Lo stesso sfacimento e combustione, braci e cenere, di carni e stoffe é sfondi di natura, come in una sorta di fornace pittorica, coinvolge mitologia e dramma sacro, Venere che benda Amore e Deposizione e Cristo Portacroce del Prado, Tarquinia e Lucrezia di Vienna e S. Sebastiano dell'Ermitage di Leningrado. Fino alle due ultime vere e proprie apocalissi pittoriche: la Punizione di Mursia nel Castello di Kromeriz e la Pietà dell'Accademia di Venezia. Marco Rosei Tiziano: «Studio per il ritrailo D Tiziano: «Studio per il ritrailo