Caroline di Monaco e Sergio di Yugoslavia per Pyramide di Béjart

Caroline di Monaco e Sergio di Yugoslavia per Pyramide di Béjart Un parterre principesco è annunciato domani sera a Torino al Teatro Tenda Caroline di Monaco e Sergio di Yugoslavia per Pyramide di Béjart Saranno presenti anche tutti i nomi del Gotha cittadino. Ecco una mappa ragionata dell'avvenimento TORINO. Ma che parterre per TorinoDanza: principesco e mondanissimo. Se saranno davvero in platea tutti coloro le cui presenze sono annunciate, domani sera il Teatro Tenda di piazza d'Armi conterrà più «gorilla» che spettatori e l'inaugurazione del Festival si trasformerà nell'evento più chic dell'anno: per Torino naturalmente, città generalmente snobbata dal bel mondo, aristocratici e finanzieri gravitando normalmente sull'asse Milano-Venezia-Roma. Ma chi ci sarà? Udite, udite: il principe Sergio di Yugoslavia, figlio di Maria Pia di Savoia e di Alessandro Karageorgevic, che ha personalmente telefonato annunciando la sua visita (ama molto il balletto) e ha invitato ad assistere alla «prima europea» di Pyramide di Béjart un'amica di vecchia data, Sua Altezza Serenissima Caroline di Monaco. Non c'è ancora certezza, evi¬ dentemente, circa la presenza della principessa, in ogni caso è noto il suo amore per la danza (è tra l'altro Presidentessa dei Ballets de Monte-Carlo, prossimamente ospiti di TorinoDanza) e la si sa assidua di varie manifestazioni legate al balletto. Perché non il Festival torinese dunque? L'attesa è spasmodica. Ed ecco le presenze certe: Luca Ronconi, Cesare Annibaldi, Guido Accornero, i parlamentari La Ganga, Lega e Picchioni, Giovanni Agnelli, figlio di Umberto, i Marone Cinzano, i Vallarino Gancia, Giorgio Mondino, Gigi Proietti, il Console di Francia, lo scultore Ezio Gribaudo, il presidente dell'Unione Industriale Pichetto e naturalmente il sindaco Maria Magnani Noya, l'assessore per la Cultura Marzano e una folta rappresentanza del Consiglio comunale. Né mancherà Gianni Versa¬ ce, lo stilista che firma i costumi di Pyramide: giungerà accompagnato da un nugolo di giornaliste di moda, molte delle quali statunitensi; verranno offerti in omaggio a signori e signore campioncini di «Versace l'homme» e di «V.E.» la nuova fragranza femminile creata dallo stilista. In tanto riverbero di mondanità, rischia di essere offuscata persino la presenza più illustre, aitisticamente, del festival: Maurice Béjart, coreografo tra i maggiori del nostro tempo, che presenta per la prima volta a Torino la sua nuova compagnia (il Béjart Ballet Lausanne, nato nel 1988 dalle ceneri del Ballet du XXème Siècle) e proprio la sera del 5 offre in «prima europea» un balletto tra i più ambiziosi e sofferti, Pyramide per l'appunto, concepito per essere messo in scena a Gizah, in Egitto, tra le Piramidi e la Sfinge, ed invece andato in scena al Cairo, in uno spazio meno aulico, per le immense difficoltà insorte al momento di allestire lo spettacolo all'ombra di quei colossi. Il 6 e il 7 (i biglietti vanno a ruba) verranno presentati altri titoli della produzione béjartiana. Parliamo dunque di Pyramide, che s'intitola anche El Nour, si articola in cinque tempi, si avvale di musiche tradizionali islamiche, ha le scene firmate da Roger Bernard ed i costumi, come detto, da Gianni Versace, non nuovo alla collaborazione con Béjart. Il personaggio-guida del balletto è Dhù-l-Nùn Al-Misri, mistico e sapiente egiziano morto nell'anno 246 dell'Egira (che corrisponde al nostro 861 dopo Cristo), la cui pietra tombale è visibile a Gizah, instancabile viaggiatore che si spostò tra l'Egitto, la città santa di Kairouan in Tunisia, lo Yemen, l'Arabia Saudita, Gerusalemme, l'Iran e l'Irak. Fedele all'Islam è però curioso di ogni civiltà, aperto ai misteri delle religioni, filosofo e alchimista, Dhù-lNùn Al-Misri ha affascinato Béjart perché gli assomiglia: anche il coreografo francese (che tra l'altro è da tempo convertito alla religione islamica) ama spaziare tra culture diverse, senza preconcetti verso costumi, religioni, fonti sapienziali, e trovare una radice comune agli uomini nel segno dell'intelligenza speculativa, della dignità derivante dall'essere creature insieme divine e terrestri, fragili e fallaci ma contemporaneamente alluminate d'immenso», per dirla con Montale. L'approccio con l'Egitto e la sua storia millenaria è per Béjart occasione di esplorare i mutamenti avvenuti nel corso dei secoli, per il tramite di eccezionali personalità: nel suo viaggio iniziatico, il saggio Dhù-l-Nùn incontra dapprima un Faraone, specchio della Di¬ vinità e anche della gigantesca ambizione dell'uomo, quindi Alessandro Magno, il conquistatore spinto da una dionisiaca curiosità e morto giovane, come tutti gli eroi. Poi c'è l'Islam, con Maometto: una nuova civiltà che si estenderà dalla Spagna all'India, all'Africa nera una scuola di sapienza ancor oggi inarrivabile. E con un rapido balzo nella storia, ecco Bonaparte; che conquista l'Egitto, ma non è soltanto un generale austriaco, si porta appresso letterati e studiosi che avranno il compito, vedi Champollion, di rivelare al mondo i tesori della civiltà egiziana. L'Egitto odierno, infine, ha conosciuto nuove guerre, è afflitto da conflitti interni, povertà, materialismo, è incompreso (come tutto il móndo arabo) dagli occidentali: malgrado ciò l'Islam, secondo Béjart (e il suo alter ego Dhù-lNùn) continua a gettare la sua luce {El Nour), naturalmente non nel senso di un rinnovato integralismo, da fuggire come la peste, bensì come capacità dell'uomo di rapportarsi al Divino, di fuggire le miserie quotidiane, di amare ed essere amato. Il balletto si conclude con la voce di Um Kultsum, la celeberrima cantante egiziana venerata in vita come una dea e autentico spirito del mondo arabo. La definizione «la quarta Piramide», sarà impersonata, in scena, da Grazia Galante. Vittoria Doglio