Tabarly una vita per la vela

Tabarly, una vita per la vela Incontro con il navigatore bretone a Portofino, dove è stato premiato Tabarly, una vita per la vela «Fra 4 anni ripeterò il giro del mondo» PORTOFINO. Fra i navigatori moderni che hanno scritto il mito sulle scie dei loro velieri, c'è un bretone caparbio e fiero, forte come le rocce della sua terra, la Bretagna, timido come il pen duick, l'uccellino nero che dà il nome a tutte le sue barche. Eric Tabarly, sessantanni, ufficiale di Marina in pensione, è un fuoriclasse del mare. Per questo, a Portofino, in occasione delle regate del Trofeo Zegna, gli è stato consegnato il premio «Una vita per la vela». In precedenza lo avevano ricevuto Tino Straulino, campione italiano; Paul Elvstrom, due volte medaglia d'oro alle Olimpiadi; Olin Stephen, architetto della vela; Beppe Croce che per 17 anni è stato presidente dell'International Yacht Racing Union e Dennis Conner, vincitore dell'America's Cup. Eric Tabarly ha strabiliato per le sue imprese. Ha incominciato nel 1964 quando si permise di battere, alla Ostar (transatlantica in solitario), Francis Chichester, il fortissimo velista inglese che poi, nel 66, fece da solo il giro del mondo. La vittoria di Tabarly fu un colpo duro per i britannici e mandò in visibilio i francesi, tanto che all'eroe nazionale del mare fu concessa la Legion d'onore. Per il marinaio bretone fu soltanto l'inizio. Nel 67 arrivò primo, in agosto, al Fastnet e in dicembre alla Sidney Hobart. Nove anni più tardi vinse la transatlantica in solitario su un veliero di 22 metri e mezzo (che si manovra normalmente con 16 uomini) e, nell'80, battè il record della traversata atlantica: in soltanto dieci giorni, al timone di un trimarano, fece crollare il primato precedente che durava da 75 anni. Le sue gesta sono diventate leggendarie. Ricorda un amico che navigò con lui in Pacifico: «Fummo sorpresi da un ciclone, il vento soffiava a 160 chilometri all'ora, procedevamo in una nuvola d'aria e di acqua. Quasi non si respirava. In mezzo a quell'inferno, lui dava ordini con la massima calma, senza scomporsi minimamente. Alla fine ci disse: era un piccolo ciclone. C'erano onde alte dieci metri, ma la barca teneva, perché vi preoccupavate tanto?». Il successo non ha mai intaccato il suo carattere schivo. Tabarly, nonostante la popolarità, rimane il marinaio bretone che, con metodica pignoleria, prepara in disparte le sue imprese, senza mai scomodare la gloria passata. E' probabilmente l'ultimo rappresentante di una generazione di velisti che ha concluso avventure estreme in condizioni tecnologiche «primitive» rispetto a quelle oggi disponibili. Abbiamo incontrato Tabarly a Portofino, dopo la premiazione, quando la piazzetta è diventata la platea notturna di un grandioso spettacolo di fuochi d'artificio allestito da Valerio Pesti. Eric guardava ammirato la pioggia di luci. Non ama commentare i sentimenti con tante parole e sorridendo ha sussurrato: «Incantevole». E' una festa dedicata ai velisti, come lei. E' soddisfatto della sua vita di navigatore? Mi sono divertito. Ho fatto tante regate, molte le ho vinte, altre no; talvolta ci si è messa la sfortuna. Per esempio, penso con rabbia alla terza Ostar: tutto era pronto, ma non ho potuto partire perché mi son rotto una spalla. Da quando ha lasciato la Marina come trascorre le giornate? Ho dedicato molto tempo alle regate ed ora mi piace navigare per i fatti miei, senza correre. Vivo con il mio mestiere di consulente in un cantiere navale, tengo conferenze e ho appena finito di scrivere un libro. Come pensa alla sua vecchiaia? Non faccio pronostici, farne è inutile, la salute, il denaro possono poi dare delusioni, preferisco pensare al presente. Da tempo non compare sulla scena velica internazionale. Il prossimo grande appuntamento saràl'America's Cup, ha mai pensato di partecipare? E' una sfida interessante. Per farla occorre essere interamente dei velisti da corsa e io, nonostante tutto, non lo sono. Ha qualche rimpianto? A che servono i rimpianti? Eppure c'è qualcosa che non è riuscito a fare come avrebbe voluto, per esempio, ci si aspettava di vederla al Giro del mondo che è finito in questi giorni. Ho partecipato ad alcune edizioni del Giro del mondo. Sembra una gara stregata per me. In una edizione ho disalberato in tre tappe su quattro, non ho mai raggiunto risultati esaltanti. Ma non desisto. Il mio progetto per il futuro è proprio questo. Mi sto preparando alla prossima Whitbread: fra quattro anni rifarò il Giro del mondo. Sto cercando uno sponsor giusto. Non so che tipo di barca potrò costruire, dipende dal regolamento e da che tipo di tecnologia le norme consentiranno di applicare. La tecnologia, nel settore velico, ha raggiunto sorprendenti risultati. Cosa pensa di quelle strane barche, dotate di ali d'aereo al posto delle vele, destinate a battere record di velocità?. Come nell'automobilismo, anche nella vela non vedremmo nei porti barche da crociera così affidabili e ben disegnate se non ci fossero stati i prototipi da competizione. Non credo che le vele rigide siano applicabili al diporto, almeno per ora. Così come mi sembra che siano davvero poco pratiche, diffìcili da regolare al largo, in condizioni di mare difficile, ma chissà, forse in futuro... Qual è il momento più esaltante di una regata? Ci sono certe fasi, durante la preparazione di un'impresa che vivo con molto entusiasmo, come l'allestimento dello scafo o la ricerca delle attrezzature più adatte. Per il resto è una tortura, non vedo l'ora di partire. Il momento più esaltante è quando mi rendo conto di aver condotto una buona regata e di aver tagliato per primo il traguardo, perché è questo che conta, soltanto questo. Irene Cablati Dal libro di Eric Tabarly: «Vittoria in solitario» (Mursia): Giugno 1964: Eric ha vinto la Ostar ed ha battuto Chichester. E' a Newport, negli Stati Uniti, e attende l'arrivo degli altri concorrenti: «Siamo andati a vedere da vicino i 12 metri della Coppa America mentre si allenavano... Vedere queste barche durante le loro evoluzioni è uno spettacolo straordinario, ma è diffìcile avvicinarle data la loro velocità e la loro rapidità di manovra... andavo spesso a gironzolare attorno ai posti di ormeggio, con la segreta speranza di riuscire a farmi imbarcare. Non osavo però chiedere loro di prendermi a bordo; attendevo il miracolo. Finalmente un giorno questo miracolo avvenne: su «Nereus» mancava un uomo e mi proposero di sostituirlo... dopo la prima uscita dovettero essere soddisfatti perché mi dissero che potevo imbarcarmi tutte le volte che lo avessi desiderato. Fino al giorno della partenza feci parte integrante dell'equipaggio. Di queste uscite conservo un indimenticabile ricordo». Eric Tabarly

Luoghi citati: America, Portofino, Stati Uniti