Da Tunisi per la pace

Da Tunisi per la pace Nella visita di Stato si parlerà anche della Palestina Da Tunisi per la pace Oggi a Roma il presidente Ben Ali ROMA. Arriva oggi in Italia, per una visita di Stato, il presidente della Tunisia Zine El Abidine Ben Ali. Una presa di contatto importante, dato che Ben Ali detiene la presidenza dell'«Uma» (Unione del Maghreb che raggruppa Mauritania, Marocco, Algeria, Tunisia e Libia) e che il nostro Paese si appresta ad assumere la presidenza della Comunità Europea. I colloqui di Ben Ali con i governanti italiani dovrebbero riguardare rapporti economici bilaterali e più in generale la situazione nell'area mediterranea e nel mondo arabo. Si parlerà anche della questione palestinese, particolarmente seguita dalla Tunisia, che ospita dall'82 la direzione dell'Olp. Zine El Abidine Ben Ali, presidente della Tunisia, il capo di Stato che arriva oggi a Roma in visita ufficiale, è un arabo atipico. Nel bene e nel male non risponde al clichet dell'uomo politico di quell'Arabia giàfelix che va dall'Atlantico al Golfo. E' si andato al potere, il 7 novembre '87, con un colpo di Stato ma fu, il suo, un golpe costituzionale, giusta l'articolo 57 della Costituzione che prevede la rimozione del presidente della Repubblica (Burghiba) se «incapace di intendere e di volere». In quel preciso momento, finiva in Tunisia un trentennale regno repubblicano e nasceva, col forcipe, una Repubblica senza sovrano. Una Repubblica retta da un uomo definito «un computer montato su di uno schiacciasassi». In un Paese in cui gli uomini politici si definiscono in rapporto al clan al quale appartengo¬ no, Ben Ali è entrato nella camera dei bottoni per una viapiuttosto insolita: l'esercito. Sposato, tre figli, non pratica sport, ha un solo hobby: l'elettronica. Primo del suo corso Saint-Cyr, già addetto militare a Rabat e a Varsavia, implacabile direttore per lunghi anni della Sarete (stroncò in cinque ore i moti sanguinosi del 26 gennaio '76), il generale Ben Ali da ministro dell'Interno cumula le cariche di capo della Polizia e della Guardia nazionale, contìnua a dirigere la Sùreté. Allorché, nell'aprile del 1986 Burghiba lo elegge a suo «delfino», nei salotti-bene di Tunisi dicono di lui, preoccupati, che «non riflette, agisce». Giudizio senz'altro riduttivo. Certo, Ben Ali è un duro ma, paradossalmente, è antimilitarista e, pur rispettando gli americani - «ho imparato a fare analisi e a servirmene alla, Senior Intelligence School di Fort Hólabird (Baltimora)», dirà al Washington Post -, non ama vederli mischiarsi, col pretesto della cooperazione tecnica, negli affari del suo Paese. E contesta agli Usa di non capire che bruciare Arafat sarebbe «un errore tragico» (forse anche per questo Bush imparerà ad apprezzarlo). Memoria di ferro, capace di digerire sei dossier simultaneamente, padrone dell'arabo classico, dell'inglese, del francese, i suoi nemici lo accusano d'essere manicheo ma riconoscono che non è un meschino. «Ben Ali è un fatto nuovo e funziona», scriverà Jeune Afrique alla vigilia della destituzione di Burghiba. Funziona eccome: quando capisce che Burghiba vuole mandare a morte U leader degli integralisti, Ghannouchi, col rischio di trasformarlo in un martire creando una situazione di tipo iraniano. Ben Mi chiama i medici e fa loro certificare la realtà: il «combattente supremo» è più che maturo per la pensione. Non è che con la presa del potere di Ben Ali la Tunisia sia diventata di colpo una Repubblica di Platone ma, in fatto, la democrazia in quel Paese amico giorno dopo giorno diventa qualcosa di concreto non una espressione retorica. Il dibattito sulla stampa si fa più vivace, entrano in Tunisia tutti i giornali stranieri, si epurano i corrotti per sveltire la burocrazia, si pensa alla scuola, all'agricoltura. Ma l'operazione più importante di Ben Ali è stata quella di mettere la mordacchia agli integralisti islamici. Quando tutti si aspettavano che egli legalizzasse l'MTI lui ha rifiutato. E' un rischio calcolato il suo, ma l'esistenza di un partito islamico, Ben Ali l'avverte alla stregua d'una (frattura sociale». L'ostilità implicita a quanto potrebbe dividere la Umma (famiglia) tunisina, la paura di uno «Stato nello Stato», ha la meglio sul de*, siderio di assicurare libertà d'espressione a tutti. Paese-cerniera tra il Mediterraneo orientale e quello occidentale, tra l'Europa e l'Africa, la Tunisia, aperta alla modernità e, nel contempo, legata alla tradizione, è oggi alla ricerca d'un equilibrio interno non certo facile da raggiungere. Questo è il tempo dei melograni e la Tunisia, invero, è come un melograno: verde di fuori, rosso di dentro. Verde come la. democrazia alla quale aspira, un popolo civile e antico; rosso come le pulsioni sorde che l'attraversano collegandola a quel mondo arabo-musulmano che riscopre il Corano e recupera dagli abissi della stara addirittura l'offesa sanguinosa delle Crociate. Non è facile il compito di Ben Ali, erede dell'apocalittico lascito del padre-padrone tuttora vivo e libero di circolare. Ben Ali dovrebbe conciliare, e presto, l'inconciliabile: Maometto con Cartesio. Potrà riuscirci solamente se gli amici - l'Italia in testa - vorranno aiutarlo. Ma va detto con franchezza che aiutando il giovine (54 anni) presidente l'Italia farà anche il proprio bene. Perché siamo davvero un Paese-ponte tra l'Europa e il Mediterraneo dimodoché se è vero che dobbiamo guardare a Occidente è anche vero che non possiamo permetterci il lusso di ignorare l'Oriente. Specie in un momento come l'attuale, quando da laggiù soffiano venti caldi di guerra. Igor Man Zine El Abidine Ben Ali