Il Sol Levante ha voglia d'Europa di Fernando Mezzetti

Montagne di dollari e yen stanno per abbattersi dal Giappone sul Vecchio Continente Montagne di dollari e yen stanno per abbattersi dal Giappone sul Vecchio Continente Il Sol Levante ha vacilla d'Europa Nell'89 gli investimenti saliti del 63% Ma la corsa continua a Londra e Madrid TOKYO sviluppo, come la Spagna o per il loro rilancio, come l'Inghilterra. Di certo è che l'industria eruopea avrà nei prossimi anni davanti non solo la sfida dell'integrazione, ma anche quella che i giapponesi pprtano sul suo terreno, Secondo stime prudenti, i loro investimenti nella Cee sono destinati a salire a ritmi vertiginosi. Gli investimenti complessivi all'estero sono cresciuti nell'89 del 43,6 per cento, passando dai 47 miliardi di dollari dell'88 a 67 miliardi e 540 milioni. Gli Stati Uniti restano al primo posto, con quasi 34 miliardi e un aumento del 51 per cento. Ma l'Europa, con una crescita appunto del 62,4, è il traguardo su cui i giapponesi ora puntano: sia come mercato ideale per prodotti ad alto valore aggiunto, sia per la crescente ostilità in America specie dopo che il Sol Levante ha messo le mani su gioielli di famiglia come la Columbia Cinematografica, il Rockefeller Center, Tiffany. Questi acquisti hanno fatto notizia, ma in realtà la loro penetrazione è stata più forte in Europa, senza destar sensazione. Nell'ambito Cee il Paese preferito rimane l'Inghilterra, su cui sono piovuti 5 miliardi e 239 milioni di dollari. Seguono: Olanda, 4 miliardi e 547 milioni; Francia, un miliardo e 136 milioni; Germania, un miliardo e 83 milioni; Lussemburgo, 654 milioni; Spagna, 501 milioni; Belgio, 326 milioni; Italia, 314 DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Montagne di dollari stanno piovendo sull'Europa da parte giapponese, nella corsa dell'undicesima ora prima dell'integrazione a fine '92 e in vista delle possibilità aperte dal crollo dei regimi socialisti. Secondo i più recenti dati del ministero delle Finanze, gli investimenti diretti nipponici nel 1989 nei Paesi Cee sono stati 14 miliardi e 800 milioni di dollari, cioè il 62,4 per cento in più dell'anno precedente. La cifra è data da 916 investimenti: mediamente, 1 miliardo e 600 milioni di dollari ciascuno, Si tratta di insediamenti nuovi o fusioni, acquisizioni più o meno amichevoli, in alcuni casi scalate o allargamento concordato di partecipazioni pre-esistenti. L'incremento non è dovuto quindi solo ad acquisti immobiliari nelle più belle zone di Londra, Parigi e altri centri europei, ma a mere operazioni imprenditoriali nei settori più diversi, dall'elettronica, alla chimica, all'auto, alla finanza, che influiranno profondamente negli anni a venire sulla struttura industriale, economica, finanziaria europea. Tutto ciò suscita in Europa reazioni complesse: dai timori di alcuni ambienti industriali alla soddisfazione di politici locali in vari Paesi che cercano di attrarre i giapponesi per il loro ili LA FORZA DEL GIAPPONE 111 J milioni. te, anche perché i giapponesi non si fermano dove sono: hanno investito in alcuni Paesi Cee pensando al mercato europeo, non a quelli nazionali. Con la caduta delle frontiere nel '93 saranno comunque in Italia, anche se basati in altre nazioni. «Per questo - dice Luciano Cohen, presidente degli operatori europei a Tokyo - bisogna incoraggiare i giapponesi a venire da noi, pur con le opportune cautele. Altrimenti col '93 l'Italia avrà solo effetti negativi dalla loro presenza, senza alcun beneficio». Dello stesso avviso il presi- Il dato italiano si impone per la sua esiguità. Nel 1988 era di soli 108 milioni di dollari. Esso ha avuto un incremento del 190 per cento, ma la quota di investimenti in Italia rispetto al totale rimane trascurabile, essendo essa pari allo 0,46 oer cento. E' un bene o un male per noi? C'è, in Italia, chi dice che è meglio cosi:«I giapponesi se ne stiano a casa loro. Dove essi arrivano mettono in ginocchio le industrie nazionali e quindi alla lunga non creano aumento, di occupazione». Altri la pensano diversamen¬ w%mm mm mm-mm. mam mmm 11111 111! Jllll mmiì .■:::-:W:^:;':':^>::;::': Nel grafico la bilancia commerciale e gli investimenti esteri di Tokyo dente della Camera di commercio italiana in Giappone, Vittorio Volpi: «Capisco chi li teme, ma bisogna pur misurarsi con loro. Bisogna cercare di attrarli, ma non lasciarli senza controllo, perché talvota non hanno senso della misura e delle proprozioni. Vengano, ma con limiti di settore. In alcuni possono essere graditi, in altri, in cui noi abbiamo industrie strategiche, lo saranno di meno, e bisognerà porre limitazioni. Ma volerli tener fuori è miope. Lo si pagherebbe domani, quando entrerebbero in Italia col prodotto made in Europe». Il ministero del Commercio estero ha negli ultimi tempi preso iniziative per incoraggiare gli investitori giapponesi, organizzando appositi seminari insieme con il San Paolo, l'Imi, il Banco di Roma, il Credito Italiano, e in questi giorni con la Comit. Si è mosso anche il mondo imprenditoriale: il gruppo di lavoro bilaterale costituito nei mesi scorsi sta studiando iniziative per armonizzare interventi nei vari settori da una parte e dall'altra. Per l'Italia è in genere un momento felice in Giappone. Si tratta di stabilire ora, verso di esso, una politica. Se è illusorio pensare di alzare palizzate, che l'integrazione farà crollare come un castello di carta, il problema è stabilire rapporti degni del livello di sviluppo dei due Paesi. Fernando Mezzetti

Persone citate: Luciano Cohen, Rockefeller, Vittorio Volpi