Compra l'arte (e portala a Piazza Affari) di Valeria Sacchi

I nuovi record di maggio hanno messo fine, sulle piazze mondiali, a un lungo periodo di incertezze I nuovi record di maggio hanno messo fine, sulle piazze mondiali, a un lungo periodo di incertezze Compra Parte (e portala a Piana Affari) wmpi ti i urte ye puntuti u nuuu miiumj Micheli quota le aste, il quadro diventa un bene rifugio "'"os?Bo,mMTO 1 j , HHPH^HBj^ n Jl I Pioggia dì miliardi Ci l i ii Alla fine il grande Van Gogh ha sconfitto il povero Bond «Ci sono almeno sei ragioni per spiegare il boom delrarte dal punto di vista finanziario». Francesco Micheli, gran regista della Finarte, è senz'altro l'uomo giusto per spiegare la gran febbre dei prezzi e il successo dell'abbinata arte-finanza. Quando, nel f75, rilevò la Finarte, la società milanese era solo un'onorata casa d'aste con un giro d'affari di mezzo miliardo. Ora rappresenta un gruppo da 650 miliardi presente in tutti i rami dell'attività finanziaria. Ma l'arte non viene dimenticata. Anzi, almeno a giudicare dalla febbre esplosa per i titoli della Finarte Aste (offerta bruciata in poche ore, quotazioni schizzate da 5500 lire a 10 mila circa in tre giorni), di una cosa si può essere certi: l'arte è un ottimo affare. E i titoli legati all'arte possono diventare pure loro beni da collezione con un pubblico pronto ad assorbire l'offerta. «Anche perché - commenta il finanziere - la nostra è una casa che in tanti decenni di attività non ha mai dato ragione di scandalo. E' un nome pulito. Eppoi, abbiamo lanciato l'offerta ad un prezzo giusto. Avessi fatto l'asta per queste azioni le avrei collocate ad un prezzo folle. Non è il mio costume». Ma sentiamo quali sono le sei ragioni di Micheli per spiegare il boom dei prezzi. «Innanzitutto - risponde non dimentichiamo che il mondo scoppia di liquidità. Da almeno tre o quattro anni c'è in giro un'abbondanza di soldi che cercano impieghi. Secondo, in questa situazione il prezzo dei beni reali, delle cose è destinato a salire». Ma questo vale per tutto, dalle case agli orologi. «Certo. Ma l'arte è destinata a salire più degli altri beni perché è prevedibile che la crescita dell'istruzione, il benessere portino a maggiore attenzione, a maggiori consumi d'arte. E poi l'esperienza ci insegna che l'arte è sempre stata un ottimo affare. Tutti gli indicatori grafici dimostrano che sul lungo periodo Cortina vince la gara de jBj^ il prezzo delle opere d'arte ha sempre battuto i listini azionari». L'arte, poi, risente meno delle crisi. «E' la forma di investimento più elastica. Dal '29 in poi si è sempre visto che il prezzo delle opere d'arte ha meglio assorbito l'impatto delle crisi. La quotazione dell'arte si è sempre ripresa prima di tutti gli altri mercati, immobiliari o mobiliari. C'è, infine, un'ultima ragione». Quale? «I giapponesi. Nel mondo c'è una potenza finanziaria disposta a strappare i prezzi pur di assicurarsi certi capolavori. E questo è uno stimolo per tutti noi che operiamo nel settore». Ecco spiegato il boom dell'arte e perché continuerà negli Anni Novanta. Un mondo più ricco, più colto, intenzionato a spendere non può che spingere per un maggior consumo di arte e di cultura. Se la congiuntura economica cambiasse, dopo ot¬ to anni di espansione l'arte poi rischia di diventare il bene rifugio per eccellenza, assai più dell'oro. Questa, in sintesi, la spiegazione di Micheli che ha saputo sfruttare il richiamo dell'arte per farsi strada nella finanza. Fino a che punto? «Diciamo così. Nella vita ho sempre avuto la fortuna di fare cose che mi divertono. Occuparmi di arte è sempre stato un piacere». Ed anche, possiamo aggiungere, un ottimo sistema per stringere amicizie e relazioni. Chi ha dimenticato l'effetto per l'asta miliardaria per il Fellizza da Volpedo? E di certo dà prestigio aver contribuito al restauro del pianoforte di Liszt per il museo della Scala o aver riportato agli onori il complesso monumentale di Gaston de Foix del Bambaia. Ma di queste cose Francesco Micheli non ama parlare. Ugo Bertone dei prezzi (con 12 milioni al metro quadrato), ma IN GO ORBEiLLES MILANO. I nuovi record delle aste di maggio hanno messo fine ad un periodo di incertezza. Di qua e di là dall'Oceano. La debolezza dello yen, accenni di stasi negli Stati Uniti, avevano infatti creato nell'ipersensibile universo del mercato dell'arte qualche timore, convalidato da una certa stanchezza emersa alle ultime aste newyorkesi di contemporanei. Il «Ritratto del dottor Gachet» di Van Gogh, battuto da Christie's per 82,5 milioni di dollari e «Il mercato del pesce», sempre del pittore olandese, venduto ad un americano per un miliardo e mezzo di lire a Brerarte, hanno avuto ragione delle apprensioni: l'arte continua a girare miliardi, i valori salgono, il listino si mantiene al «toro». Ma è proprio cosi? Dice Philippe Daverio, gallerista in Milano: «Dopo i 60 miliardi per gli Iris di Van Gogh venduti lo scorso anno, e il cui acquisto Sotheby's aveva finanziato, un'operazione che era poi finita male per difficoltà del compratore, l'australiano Alan Bond, era subentrata una certa paura. Il timore che il dolce momento fosse finito. Erano necessarie due o tre grandi urlate pubbliche per ristabilire la confidenza. Ed è quello che è accaduto. L'operazione è riuscita, e ora tutti contenti possono ripartire». Aggiunge Carlo Monzino, uno dei grandi collezionisti italiani: «Il meccanismo delle case d'aste è basato su alti prezzi e casi clamorosi. Solo così è possibile per queste organizzazioni trovare pezzi importanti da vendere. Oggi il mercato è dominato da grandi aste e grandi mercanti, è diventato un mercato di professionisti». Osserva ancora Daverio «Ci sono tantissimi quattrini che girano dappertutto, e l'arte è diventata un grande bene da investimento. E' un fenomeno paradossale: tutto ciò che costa dai 50 milioni ai 50 miliardi, ed è una cosa di lusso, si vende senza alcun problema». L'ultimo numero de «L'Express» dedica la copertina, ed una lunghissima inchiesta interna di Pierre Schneider, al mercato dell'arte, e intitola «E se il danaro uccidesse l'arte...». Vi si legge «L'arte ha sempre avuto un valore e un prezzo: oggi il prezzo è diventato il suo valore» c ancora «Il nuovo collezionista possiede opere d'arte; il collezionista vecchia maniera era posseduto da esse». La tesi è appunto che l'arte è diventata uno dei principali beni di investimento, un'alternativa ai titoli e alla Borsa, e di conseguenza il meccanismo dell'intero mercato è mutato. Poiché il quadro non stacca dividendi, è giocoforza che salga di valore, altrimenti il mercante che l'ha venduto perderà la fiducia del suo cliente. Conferma Carlo Monzino «Oggi il mercato non è più fatto da galleristi e collezionisti, ma da speculatori». In questa nuova dimensione affaristica, le case d'asta rappresentano bene la loro parte se servono da trascinamento, i mercanti devono creare a loro volta le «mode». E, difatti, non sempre i prezzi battuti corrispondono a vendite effettive: non è difficile tenere celato il nome del compratore, molto spesso anche chi acquista effettivamente vuole restare anonimo. Ma per Sotheby's e Christie's, per Finarte e Brerarte, la funzione primaria è quella di vessilliferi. Dietro si muovono i mercanti e i clienti-speculatori, in una spirale ascendente: i galleristi si lamentano, ma attendono con impazienza i risultati delle aste. E' necessario «segnare» buoni prezzi, per tenere alta la febbre. Se il meccanismo si inceppa, i danni si calcolano in centinaia di miliardi. Anche per questo, l'ansia è sempre in agguato: è tutto così teso allo spasimo (qualcuno dice «fuori prezzo») che basta una battuta d'arresto per creare il panico, un po' come avviene per i crolli di Borsa. Oggi in fase di stanca ci sono i contemporanei, sia americani che italiani, come la transavanguardia. Alcuni moderni saliti in modo eccessivo, segnano il passo. La prossima settimana un'asta Finarte di arte moderna dirà se questi timori sono fondati, se la tendenza all'assestamento di cui si intuiscono i primi segnali è confermata. In questo mercato parzialmente fittizio, che posto c'è per il giovane pittore? «Più di prima» sostiene Carlo Monzino «perché tutti comperano qualcosa. Il giovane pittore oggi vive meglio, va in automobile, e difatti ce ne sono moltitudini». Per «dare ai giovani una prima opportunità» la galleria Daverio si è collegata da un anno con tre gallerie minori: su nove pittori esposti nel 1989, quattro sono rimasti nella scuderia di Philippe. Non basta, dal 6 giugno è partita una nuova iniziativa: al «Twenty One», brasserie sul modello Anni Trenta nel centro di Milano, la Daverio farà ruotare ogni mese una mostra di opere antiche e moderne: chi mangia, sarà circondato da pitture. Seppure in maniera meno clamorosa, diciamo in sordina, lo stesso mercato del libro d'arte sta per essere contagiato da questa ottica. La mostra del libro e della stampa antica alla Permanente di Milano, tre giorni di mostra mercato a fine marzo, dove erano presenti oltre trenta espositori sia italiani che stranieri, è andata molto bene. Enrico Vigevani del Politilo non condivide però questa diagnosi allarmistica. Spiega: «Il mercato del libro antico ha prezzi sostenuti, ma non è ancora un bene di investimento. Si allarga la schiera degli amatori, e certamente per le cose di qualità il valore nel tempo sale. Sale per quei libri che hanno un significato per contenuto, bellezza di stampa e legatura, illustrazione, o sono rarità. E possono veder aumentare il valore delle loro raccolte soprattuto quei collezionisti che si specializzano». La prossima settimana Semenzato di Venezia (che è anche padrone di Brerarte) metterà all'asta a Milano alcuni libri antichi, pezzi unici come cinque manoscritti di Croce e un Corano del 1400. Valeria Sacchi

Luoghi citati: Cortina, Milano, Stati Uniti, Venezia, Volpedo