I grattacieli su Copenaghen

Una pericolosa rivoluzione urbanistica insidia la capitale danese Una pericolosa rivoluzione urbanistica insidia la capitale danese I grattacieli su Copenaghen La città modello cambia, trionfa il kitsch 1COPENAGHEN RA le capitali scandinave questa ha una personalità collettiva più vicina al cuore dell'Europa. Nella storia è stata mediatrice di culture, con funzione di ponte per il cristianesimo e per le arti. Il suo scenario urbano, ricco di testimonianze barocche, rappresenta la meridionalizzazione dei modelli scandinavi: è meno perfetta e più allegra di Oslo, Stoccolma, Helsinki. Le guide turistiche invitano a Copenaghen «to have fun», per divertirsi, e insistono sulla cordialità degli abitanti, sulla fantasia e sul calore. Copenaghen ha anche dato lezione di urbanistica: razionali quartieri di abitazioni a fini sociali, sistemi di trasporto efficienti come tutti i servizi collettivi, traffico senza congestioni, vaste isole pedonali, verde e spazi attrezzati, severo controllo pubblico dell'uso dei suoli. Pur con le riserve dovute all'esistenza di sacche misere, la qualità media della vita è invidiabile dalle nostre città dissestate. Prezzo: tasse altissime sui redditi. Ma qualcosa sta cambiando. Il modello che sembrava destinato a fare scuola per altri decenni sta per essere capovolto da una rivoluzione urbanistica paragonabile a quella avvenuta a Londra dopo l'avvento della signora Thatcher, con gli effetti disastrosi denunciati dal principe Carlo. Il nuovo piano regolatore per il Duemila apre la strada a grandiosi progetti di grattacieli in contrasto con le regole e i metodi della scuola scandinava che in Italia era entrata nel mito. Viene preso di mira il fronte del porto, esteso per 42 chilometri di moli e banchine dal mare aperto al canale che solca la città. «Il nuovo piano di Copenaghen si limita a dare una serie di direttive di massima, lasciando largo spazio alle contrattazioni con grandi imprese immobiliari» mi dice l'architetto Oleg Christiansen, capo della divisione Urbanistica del Comune. «Una grande parte della capitale affacciata sull'acqua verrà trasformata ripetendo quanto è avvenuto nei docks e al Barbican di Londra». Il cambiamento di rotta viene giustificato con la necessità di ridare ossigeno all'economia impoverita dalla decadenza del porto. La vita economica di Copenaghen era fondata da secoli sui traffici marittimi. Il nome stesso significa porto dei mercanti. L'avvento di nuove tecnologie, prima quella dei containers, lo ha escluso dalle correnti dei traffici marittimi internazionali. «Tutto questo è vero, ma le proposte di riuso delle aree portuali sono a dir poco sconcertanti» osserva la signora Katherine Hansen, storica dell'architettura, accompagnandomi nella visita ai quartieri antichi all'interno delle mura, distrutte nel secolo scorso, che subiranno i contraccolpi dell'ondata di ristrutturazioni. Uno dei palazzi-simbolo, quello secentesco della Borsa, sorge direttamente sul porto. Lo Zibaldone non dà spettacolo L'articolo di Mirella Serri «Zibaldone della discordia» (La Stampa del 1° giugno) sembra scritto appositamente nell'interesse, tutto spettacolare, della sola discordia. Prendo in esame, per cominciare, l'affermazione, che la Serri attribuisce a mio padre, per cui «il manoscritto è pieno di errori». Espresso in questi termini, ciò che mio padre ha detto è perlomeno facilmente equivocabile; e non bastano a dissipare le perplessità gli scarsi esempi addotti subito dopo. Quando si dice «è pieno» ed «errori», si dà all'autografo un aspetto deformato dall'esagerazione, là dove sarebbe necessaria una descrizione accurata della natura degli errori stessi. Se si vuole ottenere una sintesi più rispondente al vero, si può dire: 1 ) che il manoscritto presenta numerose sviste, normalissime in chi scrive di continuo e Ancora sull'acqua sono i palazzi delle grandi famiglie di industriali tessili, di birrai e di armatori che seppero dare a Copenaghen interi rioni di notevole dignità architettonica. Affacciato sul porto-canale è il quartiere settecentesco di Amahenborg, esempio di rococò danese, costruito per la nobiltà e poi divenuto sede della famiglia reale. A meno di 500 metri è il canale di Myhaven che arriva fino al barocco Charlottenborg bagnando le rive della «strada dei marinai» con le sue taverne, i suoi richiami pittoreschi, la casa di H. C. Andersen. Anche se la ristrutturazione prevista non tocca direttamente le parti storiche e monumentali, fa discutere l'impatto di progetti che sembrano concepiti per esasperare la funzione terziaria e soprattutto commerciale di Copenaghen, in forme convenzionali parzialmente mutuate dal post-modern per raggiungere tutti effetti spettacolari. «Al confronto il grattacielo dell'hotel SAS Royal, disegnato molti anni fa dal celebre Arne Jacobsen, è un esempio di purezza» commenta Katherine Hansen. Dimenticati gli insegnamenti dell'architettura organica svedese, finlandese, danese, dimenticati Asplund come Aalto, oggi vengono proposti palazzoni dall'aria Kitsch, edifici che sembrano torte zuccherose. Case rosa-confetto a 5 piani sulle banchine da cui partivano le navi per l'Estremo Oriente. Nei plastici gallerie di vetro e cemento si specchiano in altri bacini con isole artificiali e tempietti. Nei docks più vicini al mare il progetto di un «convention center» con grattacielo e giardino d'inverno, a imitazione della Trump Tower. Scorrendo le pagine del volume pubblicato dairammiiiistrazione comunale per illustrare i progetti in vista del Duemila si ha persino il dubbio che qualche suggerimento arrivi da Disney- La piazza del Municipio di Copenaghen AL DIRETTORE n: è il cuore della capitale danese [FOTO SERGIO LAI] land. Dal Kalkbraendirihaven si propone una bizzarra cittadella tutta bianco gesso con padiglioni sull'acqua, torri e blocchi alla Aldo Rossi, moli per yachts, file di alberelli. «Alle perplessità destate dalle architetture si aggiungono quelle per uno sviluppo edilizio che sembra non tener conto delle esperienze compiute in altri Paesi, né delle risorse dell'economia locale, delle reali possibilità del mercato. Chi comprerà ed utilizzerà tanti milioni di metri cubi?» osserva l'architetto Ole Christiansen. «Le conseguenze potrebbero essere fortemente negative per una città che già risente gli effetti della politica dei governi conservatori. Tra i più gravi è la crisi delle abitazioni» aggiunge Katherine Hansen. Ne ho conferma al sindacato che raccoglie soci di cooperative, assegnatari, inquilini di case costruite con denaro pubblico o sovvenzionate. Una scoperta sconcertante per l'osservatore italiano quando emergono analogie fino a ieri impensabili in una città scandinava. «Su 280 mila abitazioni esistenti nei confini storici del Comune ben 100 mila sono in cattive condizioni e tra queste moltissime mancano di bagno e riscaldamento. Le peggiori si trovano tra le 20 mila appartenenti al Comune stesso» mi dicono al sindacato. «Nella capitale mancano 50 mila alloggi per rispondere alla domanda innescata dal diffuso frazionamento delle famiglie. Le liste di attesa per gli alloggi di tipo sociale sono chiuse». L'architetto Katherine Hansen aggiunge: «Paradossalmente c'è &A appalti uviim6 - CON) LA LUPAIA? abbondanza di case in vendita. Negli Anni 70 le famiglie vennero invogliate a indebitarsi per comprare una casa come riparo dall'inflazione che aveva raggiunto il 16%. Poi l'inflazione è diminuita ma c'è stato anche l'indebolimento dell'economia, c'è stato il calo dei redditi reali e il costo dei mutui è diventato insostenibile. Molte famiglie offrono in vendita i loro alloggi ma il mercato non li assorbe mentre scarseggiano le case a canoni sociali». La somiglianza con la realtà italiana è accentuata dagli alti prezzi dei terreni edificabili, fino a 160 mila lire il metro quadrato nelle zone privilegiate. All'ufficio urbanistico del Comune mi dicono: «In un passato ormai lontano le amministrazioni locali compravano terreni agricoli a basso costo, li rendevano edificabili, in parte li rivendevano a privati traendone un profitto e in parte li utilizzavano per edilizia sociale. In seguito alla svolta conservatrice le riserve di suoli pubblici si sono quasi esaurite. Addirittura si preferisce vendere anziché comprare». Anche nel centro storico, formalmente ben conservato, la tendenza alla commercializzazione è ben visibile. La vasta area pedonale creata attorno allo Stroget, una delle prime «isole» d'Europa, ha assunto le funzioni di un emporio. E' una tendenza dilagante nelle città europee, comprese Parigi ed Amsterdam, con influssi già avvertibili nelle città italiane e in particolare nei centri storici. Si pensi al progetto battezzato «Il regno del possibile» per il cuore antico di Napoli, alla proposta di un centro direzionale e commerciale con grattacielo di 262 metri nel porto storico di Genova. In Italia l'insidia diventa più grave perché le nostre città sono più ricche di storia e più fragili. Non hanno alle spalle l'eredità di un'urbanistica seria. Va ricordato che a Copenaghen fin dagli inizi del secolo le amministrazioni comunali seppero creare un patrimonio di terreni per destinarli ad usi pubblici. La dotazione di verde effettivamente godibile è di 13 metri quadrati per abitante e si tratta di parchi centrali o periferici in cui la vita all'aperto, nei mesi tiepidi o caldi, assume il valore di una celebrazione religiosa. Il Giardino Botanico, il parco del Kastellet prospiciente il porto (con la famosa statua bronzea della Sirenetta), il parco Norrebro creato negli Anni Trenta, la vastissima area umida di Utterselv, sono invidiabili dalle nostre città. Qui si osserva la persistenza di una cultura del verde e della buona amministrazione che viene soltanto scalfita dal nuovo corso politico tendente a archiviare l'esperienza socialdemocratica. Le nostre città non hanno avuto esperienze analoghe: i rischi di imitazioni acritiche dei nuovi modelli di «urbanistica contrattata» pesano su di noi quanto quelli dell'immobilismo. Mario Fazio