Nel governo i carissimi nemici di Andreotti di Augusto Minzolini

L'intervento del capo dell'esecutivo alla direzione de se fossi stato libero avrei scelto altri nomi L'intervento del capo dell'esecutivo alla direzione de se fossi stato libero avrei scelto altri nomi Nel governo i carissimi nemici di Andreotti Attriti e veleni fm il presidente del Consiglio ei ministri rmi ini | Paolo Passarmi ini ROMA. Forse a Giulio Andreotti il suo sesto governo non è piaciuto fin dall'inizio, da quel 22 luglio dello scorso anno quando ha visto i suoi ministri sfilare e giurare nelle mani di Francesco Cossiga. E lo sfogo fatto davanti alla direzione de dell'altro ieri («Se fossi stato libero avrei scelto diversamente»), probabilmente, non era frutto di un retropensiero. Avrebbe preferito nomi come quelli di Giuliano Amato e di Bruno Visentini e quasi certamente non avrebbe accettato molti degli attuali ministri de. Ora, grazie ad un raro impeto di sincerità, il capo del governo ha svelato una singolare realtà: al presidente del Consiglio non piacciono molti dei suoi ministri e, contemporaneamte, a molti di loro non va a genio lui. E' da un mese che Giulio Andreotti confida le sue perplessità sulla sua «strana compagnia» a tutti quelli che vede. In cima alla sua lista nera c'è Giovanni Prandini, ministro dei Lavori Pubblici e animatore della corrente di Arnaldo Forla- ni. Son bastati pochi mesi a guastare i suoi rapporti con il presidente. Certo, ieri, Prandini ha assicurato, con una precisazione formale, che sulle nomine ministeriali è sempre stato d'accordo con il presidente, ma tutti nel governo ricordano una scenetta di qualche mese fa in Consiglio dei ministri: il presidente che dice di non condividere i metodi di Prandini, il ministro che risponde: «Presidente, la vengo a trovare così le spiego», e Andreotti che taglia corto: «Venga, venga, così le dimostro che ha torto». Da Prandini ai battibecchi periodici con Donat-Cattin all'atteggiamento tra il paternalistico e l'ironico verso il fido Paolo Cirino Pomicino. L'altro ieri, nel sinedrio dei capi de, Andreotti a chi gli parlava del protagonismo di Pomicino ha risposto così: «Dicono che fa tutto lui, che è lui il ministro dell'economia, ma è un neurochirurgo: la verità è che attaccano lui per attaccare me». Poi ci sono i problemi col psi. Per mettere fine alle proteste del ministro Carmelo Conte che vuole l'Expo a Napoli e non a Venezia, nella riunione interministeriale di lunedì sera il capo del governo si è lasciato andare ad una battuta, «Non posso far trovare il governo con le dita nel barattolo della marmellata», come dire che quando si fa una scelta bisogna avere la serietà di difenderla e non cambiarla per interessi di bottega. Anche sul modo di Gianni De Michelis di stare alla Farnesina Andreotti nutre più di una perplessità. E non gli manca occasione per dimostrarlo. Quando Andreotti era agli Esteri, ad esempio, aveva introdotto la consuetudine di riunire due volte l'anno gli europarlametari italiani. Una tradizione che si è portato a Palazzo Chigi privandone De Michelis (venerdì prossimo i parlametari europei saranno tutti a Villa Madama ospiti del capo del governo). E qualche incomprensione non manca anche tra il presidente e il suo vice. La settimana scorsa Martelli aveva chiesto ad Andreotti di fare una capati¬ na alla conferenza per l'immigrazione («Passaci anche se solo per 10 minuti»). «Non posso perché ho promesso al comunista Rubbi di presentare il suo libro» era stata la risposta. L'altro ieri, ai leader de Andreotti ha confidato il vero motivo della sua mancata partecipazione: «Come facevo ad andarci? Avrei dovuto scegliere tra Martelli e La Malfa». E oggi un Martelli piccato, commenta: «Se lo ha detto davvero, allora tra me che sono il suo vice e chi vuole far cadere il suo governo, doveva scegliere me». Insomma, agli ormai scontati richiami a rispettare l'orario dei Consigli dei ministri e a partecipare alle votazioni della Camera («Nessun medico vi ha ordinato di fare contemporaneamente i ministri e i parlamentari, se non ci riuscite...»), negli ultimi tempi si è aggiunta anche una certa delusione a rendere più problematici i rapporti tra Andreotti e i ministri. Se ne sono accorti in molti e qualche ministro, come lo stesso Carlo Vizzini, addirittura azzarda: Interviene D'Alema «Visto che il rimpasto non si può fare perché in Italia l'istituto delle dimissioni volontarie non fa parte della realtà, per me Andreotti il primo gennaio del '91, finito il semestre europeo, sale al Quirinale e dà le dimissioni». E, forse, a rendere più probabile questa prospettiva c'è anche l'insofferenza della squadra verso il capitano. Se Prandini critica Andreotti («Va maluccio»), e poi smentisce, se Pierluigi Romita parla di lui in agrodolce («Ha il dono e il difetto di minimizzare»), un importante ministro socialista, che non vuole essere nominato, dà questa descrizione del capo del governo: «Usa un metodo di lavoro antidiluviano. Passa il Consiglio dei ministri firmando lettere per i suoi elettori. E poi tira in ballo vecchie citazioni anche quando non c'entrano nulla, dice: «Mi ricordo che nel '58 Pella fece...» o parla di Vanoni a sproposito. In altre parole è invecchiato. Augusto Minzolini Altavilla Vicentina

Luoghi citati: Altavilla Vicentina, Italia, Napoli, Roma, Venezia