«Non sarò mai un presidente dimezzato» di Francesco Cevasco

Il Presidente della Repubblica: il Consiglio superiore della magistratura si muove in modo tumultuoso Il Presidente della Repubblica: il Consiglio superiore della magistratura si muove in modo tumultuoso «Non sarò mai un presidente dimezzato» Cossiga sul semestre bianco r LA SVOLTA Arbitro inascoltato costretto a urlare ROMA. Costretto. Ha detto proprio così Francesco Cossiga nel suo discorso di ieri a Milano: «Non sono diventato attivo per scelta personale, ma perché mi ci hanno costretto». Chi ha costretto il Presidente? Sentendosi, come ha spiegato ieri, «l'arbitro che cerca di impedire che la partita di football finisca in rissa», Cossiga, nei primi quattro anni e mezzo del suo mandato, si era discretamente proposto per l'arbitraggio di tre incontri, che riteneva gli spettassero. Per primo, l'arbitraggio del Parlamento, cioè della sua produzione legislativa, legato alla fase in cui si parlava del comportamento «einaudiano» del Presidente. Poi, l'arbitraggio delle Forze armate - di cui, secondo la Costituzione, ha il comando -, ponendosi il famoso quesito su «chi comanda in caso di guerra». Infine, come presidente del Consiglio superiore della Magistratura, Cossiga si propose come arbitro dei conflitti che squassavano (e squassano) quel travagliatissimo organo. In tutti e tre i casi, i giocatori non hanno dato retta all'arbitro, reagendo con fastidio ai trilli del suo fischietto, oppure ignorandoli, oppure ancora contestandoli apertamente. In .tutti & .tre. i casj, l'arbitro che ritiene di dover stare «in campo» è stato tenuto ai margini .del.terreno di gioco. . . Quando un uomo viene eletto Presidente della Repubblica, sia pure in Italia, dove a questa carica sono attribuiti modesti poteri, fa dei progetti e accarezza dei sogni. Dopo quattro anni e mezzo di esercizio della carica, Cossiga, respinto come arbitro da tre campi, si è visto raffigurato in modo del tutto difforme dai suoi sogni. La «gente comune», a cui aveva detto di volersi rivolgere, poteva riconoscere in lui, attraverso le cronache dei giornali, soprattutto un incerto regista di alcune crisi di governo complicatissime e contorte. Crisi che, nell'immagine che ne aveva l'opinione pubblica, allontanavano il Presidente dalla «gente» per avvicinarlo al «palazzo», mentre in realtà quest'ultimo non apprezzava affatto i risultati dell'attenzione. Bettino Craxi si arrabbiò con Cossiga per la soluzione della lunga crisi dell"87, che produsse un governo da battere per aprire la strada a elezioni anticipate. I laici si ar¬ ptere zion lo direzione pei primo esempio «unitario», con Bassolino e Minucci in sintonia sui problemi del mondo del lavoro MI MILANO. «Questo non è uno di quei sassolini nella scarpa...». E ha ragione: non è un sassolino, ma un macigno gettato nello stagno della politica. Tutti si aspettavano che ieri il presidente della Repubblica Francesco Cossiga venisse a Milano per inaugurare un innocuo campionato mondiale di calcio e invece ha sparato forte e alto. Ha detto tre cose: 1) la Corte Costituzionale è il vero punto di equilibrio tra potere politico e potere giudiziario e io mi fido di lei (più che del Consiglio superiore della magistratura, troppo «disinvolto e tumultuoso»); 2) fino all'ultimo giorno del mio mandato presidenziale farò tutto quello che è nei poteri, nei diritti e nei doveri del Capo dello Stato; 3) attenti, partiti: semestre bianco o no io non sarò mai un presidente dimezzato. Il primo giorno del Mundial, Cossiga è riuscito a prendere tutti in contropiede, Andreotti compreso. Quando gli hanno chiesto un commento sulle dichiarazioni del Capo dello Stato, il presidente del Consiglio è sgusciato via con un «pensiamo a goderci la partita di calcio». Cossiga ha scelto la platea di addetti ai lavori delle «14esime giornate giuridiche italo-francesi» per lanciare il suo macigno. Già alla dodicesima parola del suo discorso parte il complimento per la «preziosa e insostituibile attività della Corte rabbiarono perché Cossiga fece rientrare una crisi del governo di Giovanni Goria, la cui scelta come capo del governo aveva del resto fatto arrabbiare una parte della de. La stessa parte non gradì poi la nomina di Ciriaco De Mita, alle cui dimissioni esplose una crisi intempestiva (prima delle europee dell"89), che venne goffamente trascinata tra il sarcasmo di quasi tutti gli osservatori. Quando poi Cossiga puntò su Giulio Andreotti, anche l'uomo che più si era battuto per la sua elezione e poi aveva continuato a appoggiarlo, cioè De Mita, si staccò da lui.. Cossiga, primo Presidente della Repubblica italiana eletto alla prima votazione e con larghissimi consensi, si è rapidamente trovato solo. L'inventore del cosiddetto «metodo Cossiga», cioè De Mita, a cui venne attribuito il merito di tanto e così veloce consenso, declinò rapidamente. Nell'estate dell'89, l'uomo che aveva dominato la de per sette anni, cominciò a minacciare di dimettersi da presidente del partito, dopo aver perso, in febbraio, la carica di segretario e, in aprile, quella di presidente del Consiglio. Cossiga ha deciso (o forse non è stata neppure una decisione, ma un riflesso istintivo) di uscire da quello che egli stesso chiama il suo «consueto grigiore» nelle prime settima.-. ne del '90. Per la precisione; l'esplosione del Presidente come «personaggio» è avvenuta nei primi giorni di febbraio, durante una visita di Stato in Francia, avvolta inizialmente da un pigro anche se tranquillizzante protocollo. Al Centro di studi spaziali di Tolosa disse che avrebbe volentieri mandato ih orbita «qualche politico italiano troppo inquieto». A Parigi, il giorno prima, se l'era presa con i politici che «litigano solo per questioni di potere». Il giorno dopo, a Aix-en-Provence, rabbuffò i magistrati che non lo riconoscevano come loro presidente. Pochi giorni prima, De Mita, ormai completamente disarcionato nella de, aveva reso definitive le proprie dimissioni da presidente del partito. Cossiga, sentendosi solo e inascoltato, da quel momento si è sentito «costretto» a urlare per farsi sentire. Adesso urla quasi tutti i giorni e mancano ancora due anni alla fine del suo mandato. Costituzionale» (complimento ripetuto altre nove volte). Subito dopo cominciano le bordate: «Mi augurerei che altri organi dello Stato (il Csm?, ndr) comprendessero la differenza che esiste tra una sana interpretazione evolutiva in rapporto alle esigenze dell'ordinamento e la fantasiosa usurpazione di poteri altrimenti esistenti e che prendessero esempio dalla Corte Costituzionale». Questo non è scritto nella trascrizione (ufficiosa) del Quirinale. Non è scritto, ma l'ha detto: Cossiga ha spiegato perché è diventato così spregiudicato: «Prima che io diventassi attivo, io ero ozioso, ma non sono diventato attivo per scelta personale, ma perché mi ci hanno costretto. Mi auguro di tornare presto al mio consueto grigiore...». Poi Cossiga denuncia quello che vede come un pericolo ed elenca i valori minacciati: «Lo Stato di diritto, il principio di legalità, la certezza del diritto, la assoluta indipendenza del giudice soggetto alla legge e a niente altro che alla legge». Un accenno (questa volta prudente) alle riforme istituzionali: «Ho la funzione di far sì che venga mantenuto l'ordine e che vengano rispettate le regole del diritto scritto e non scritto anche per quanto riguarda le riforme istituzionali». E subito dopo ecco partire un'altra bordata: «Io credo che se continua un certo fare disinvolto e tumultuoso di alcuni poteri dello Stato, la Corte Costituzionale dovrà occuparsi più di prima della definizione degli ambiti di competenza dei poteri dello Stato, compresi forse anche quelli del Presidente della Repubblica, di cui voi (la Corte, ndr) siete giudici in sede penale». E in mezzo a questo guazzabuglio qual è il ruolo del Presidente della Repubblica e di Cossiga in particolare? Il capo dello Stato ha risposto con una metafora calcistico-viabilistica: la Corte costituzionale è il giudice sportivo che dice l'ultima parola nella partita politica, l'arbi- Cossiga con il presidente della Corte Costituzionale Saja. tro che cerca di impedire che la partita finisca in rissa è il presidente della Repubblica; per fare un paragone con il traffico, la Corte costituzionale è il giudice che applica la legge: «Io sono il vigile urbano - ha detto Cossiga - che cerca di evitare l'ingorgo e le collisioni delle macchine». Ma l'obiettivo polemico di Cossiga resta la giustizia. Lo dice segnalando l'esigenza di «capire se venga amministrata dai giudici o se si stia instaurando un sistema di accertamenti paralleli della verità che poi sono la negazione del primato della funzione giurisdizionale». Ce n'è abbastanza per i dietrologi, ma Cossiga tenta di stopparli prima che si mettano in moto: «Io ormai debbo subire questi sospetti di dietrologia qualunque cosa faccia. Non m'importa niente e continuerò a fare quello che devo qualunque sia l'interpretazione che gli altri daranno». C'è anche una chiusa (ufficiosa) sul semestre bianco: «Chi ne ha voglia misuri il periodo in cui sarò presidente e quello in cui non lo sarò. Io ho fornito i parametri oggettivi. Intendo esercitare il mio ruolo nell'ambito di questi parametri fino all'ultimo giorno e con pienezza di funzioni e nei miei doveri di Presidente della Repubblica». Francesco Cevasco

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