LA COSA, LA COSINA E IL PDUPPONE di Ernesto Galli Della Loggia

LA COSA, LA COSINA E IL PDUPPONE LA COSA, LA COSINA E IL PDUPPONE SI fa ogni giorno più probabile l'ipotesi che da qui ad un anno il partito comunista non esista più. Non esista più non già perché sostituito dalla famosa «cosa», ma che non esista più perché virtualmente disintegratosi in una «cosina» e in un «pduppone» (rispettivamente al 12 e al 4 per cento, butto lì delle cifre), oltre che in vari rivoli e ruscelli di voti diretti qua e là. Quel che è sicuro è che l'operazione, giustamente e con grande coraggio personale tentata da Occhietto nel novembre scorso, non è riuscita. Il pei vive già oggi in uno stato di scissione larvata. Il «sì» e il «no» già equivalgono di fatto a due partiti, ognuno con capi, vicecapi, maggiorenti, organi di stampa e portavoce accreditati. Tutto ciò mentre la recente campagna elettorale ha messo in luce fenomeni inediti di frazionismo estremo, di direttive dall'alto clamorosamente disattese nel campo delle preferenze, ed un corpo di funzionari di partito che in non pochi casi ha ormai deciso di «mettersi in proprio», puntando a farsi eleggere a dispetto di tutte le precedenze stabilite. Il partito comunista, insomma, appare sempre di più come un grande corpo ferito a morte. Ma se ciò accade la colpa non è dell'iniziativa di Occhetto in quanto tale, del fine che essa si riprometteva (cioè cambiare nome e natura del pei), come sostiene pretestuosamente il «no». La colpa, o meglio l'errore, ha riguardato piuttosto i modi concreti e i contenuti con i quali quell'iniziativa è stata avviata e condotta. L'errore del segretario è stato duplice. Egli aveva dalla sua soprattutto una carta: l'età, ma proprio questa carta ha avuto paura di giocare; e d'altro canto, essendoci un terreno per lui scomodissimo, il più scomodo dove gli avversari potessero sperare di spingerlo, proprio su questo terreno egli ha deciso rovinosamente di spingersi, scegliendolo come il terreno di elezione della sua iniziativa e preparando così la propria sconfìtta. Perché l'età? Perché l'età di Occhetto, il suo essere intorno ai cinquanta, lo metteva anagrafici* mente fuori dalle vicende di volta in volta fosche e ambigue del comunismo reale. Era, questa, la premessa migliore per muovere all'attacco e fare piazza pulita della tradizione del pei, di quella bugiarda «leggenda rosa» che per decenni tutta la sinistra italiana ha creduto e avallato. Essere falso che «il nome del pei è un nome onorato» perché non coinvolto negli orrori dello stalinismo: essere falso che il pei non ha mai avuto nulla a che fare nella sostanza con i regimi dell'Est, pur definiti ancora da Berlinguer «società socialiste con tratti illiberali»; essere falso che Togliatti, al dunque, non fosse altro che un democratico di orientamenti laboristi, insomma una specie di Lafontaine ante litteram: ecco quel che Occhetto avrebbe dovuto dire, anzi gridare, chiamando a rispondere di correità per tutto quanto accaduto la vecchia guardia del partito, a cominciare da Pietro Ingrao, direttore dell'Unità negli anni più bui. «Compagni - avrebbe dovuto concludere - forse rappresentavamo la parte migliore d'Italia, ma la storia ci ha teso una terribile trappola e ci ha fatto andare in compagnia del crimine!». Sarebbe stato un terremoto, certo. Ma solo un terremoto, un movimento catartico di rigenerazione etico-politica, profondamente, spietatamente sincero, sarebbe stato adeguato oltre che alla grandiosità della tragedia storica rappresentata da settanta anni di comunismo, all'esigenza della svolta, del cambiamento del nome e del simbolo. Infatti, sé avesse scelto di «bombardare il quartier generale» con le armi sopra elencate, Occhetto avrebbe certo messo i suoi avversari nella scomodissima posizione, volendosi opporre alla svolta, di doversi schierare in pratica a difesa del comunismo reale. Egli avrebbe, cioè, schiacciato Ingrao ed i suoi sullo stalinismo e sul togliattismo, vale a dire su una posizione evidentemente Ernesto Galli della Loggia CONTINUA A PAGINA 2 PRIMA COLONNA A PAGINA 1 Cacciari a Occhetto «Rischiamo di sparire» di Pl P pdi Paolo Passarìni

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