Il mio nome è Fracassa, capitan Fracassa di Simonetta Robiony

Il mio nome è Fracassa, capitan Fracassa Scola sta per terminare a Roma il film tratto dal romanzo di Gautier: ne parliamo con il protagonista Il mio nome è Fracassa, capitan Fracassa Perez: una foto e il ruolo fu mio ROMA. C'è un cielo lungo lungo nello studio dove Ettore Scola sta girando «Capitan Fracassa», un cielo chiaro con qualche nuvola, un paio di scorci di montagne, alcuni alberi in lontananza, un cielo dipinto ad acquerello che gira sulle quattro pareti del capannone di Cinecittà, a circoscrivere e ricreare, nell'assoluta finzione, un pezzo di radura in un bosco. Se non si alzasse lo sguardo al soffitto, alle luci velate di blu, ai travi solcati da cavi elettrici, si potrebbe avere l'illusione di trovarsi all'aperto, sotto l'ombra di un querceto, davanti a quello sgangherato carro di Tespi, casa e palcoscenico insieme, con cui gli attori un tempo andavano in giro per il mondo, per assistere a una delle loro rappresentazioni insieme a uno sparuto gruppo di paesani. E' il momento della pausa. Tutto è pronto per cominciare le rTpPSsé"tlSllrSùéfflr1rI-cui il Capitan Fracassa, barone di Si-, gognac, gravemente ferito in duello dal marchese di Vallombrosa, giace su un lettuccio tra la vita e la mòrte spiato dai suoi compagni d'avventura che dubitano di poterlo salvare. Vincent Perez, ovvero Fracassa-Sigognac, aspetta che Scola lo faccia chiamare nel camerino, al primo piano degli studi, davanti a una finestra aperta sui pini che gli fa trovare bella e ricca di memorie perfino Cinecittà. I lunghi capelli che nella vita porta sciolti sulle spalle sono nascosti sotto una zazzeretta spennata, la nobile faccia da ragazzo di buona famiglia è solcata da orribili quanto artificiose ferite da arma bianca, il corpo atletico è coperto da un rozzo camiciotto che penzola su una calzamaglia stracciata. Perez è di ottimo umore tanto che si sforza perfino di parlare l'italiano, una delle poche lingue che non conosce essendo figlio di padre spagnolo e madre tedesca, avendo vissuto in Svizzera e avendo fatto un lungo apprendistato teatrale in Francia sotto la guida di Patrice Chéreau. A vederlo da vicino, occhioni chiari e pelle candida, non pare aver ereditato niente di spagnolo. Cos'è, somiglia solo a sua madre, Perez? Lui nega e corre a prendere una foto. «Questa è la mia mamma - dice - questo è papà. Vede se mi faccio crescere la barba un po' spagnolo lo sembro anch'io, no?». Ventisei anni appena, ma un'ottima preparazione tecnica alle spalle conquistata al Conservatoire di Ginevra e a quello di Parigi, Perez è stato scelto da Scola unicamente grazie a una fotografia, perché la celebrità che oggi gli proviene dall'avere interpretato il ruolo di Cristiano nel «Cyrano de Bérgérac» a fianco di Gerard Dépardieu allora non era ancora arrivata. Ricorda l'attore: «Ho avuto una telefonata mentre stavo girando questo Cyrano e sono subito corso a Roma. Durante il provino, Scola mi ha detto: Faremo un buon lavoro insieme, ma credevo l'avesse detto soltanto per farmi sognare». Di Ettore Scola Perez conosceva tutto o quasi: «Una giornata particolare», «La nuit de Varennes», «Ballando ballando». Il suo preferito? «Passione d'amore». Perché? E' un film molto ardito, estre¬ mo. Anche questo lo è? In un altro senso. Anche questo è la storia di una trasformazione: il percorso verso la maturità che Capitan Fracassa, barone di Sigognac, compie con l'aiuto di un gruppo di commedianti a cui si è unito. In principio Sigognac è un bambino che ha paura di tutto ciò che non conosce, alla fine è un uomo eccitato da tutto ciò che non conosce. Ma è anche tante altre cose. Quali? Per esempio la scoperta dello spettacolo come arte suprema del vivere. C'è un momento in cui Sigognac riprendendosi dal delirio mormora: Mi sentivo soffrire e mi guardavo soffrire al tempo stesso, ero allucinato e mi capivo. Ecco, in quel momento, Sigognac è diventato un attore, ha preso per sempre i panni di Capitan Fracassa, prova esattamente quel che provo io quando sono in scena. Dunque anche in «Capitan Fracassai), come in «Splendor», Scola torna a parlare del suo mestiere? Un po'. Certo non racconta la storia d'amore tra Isabella e Sigognac come avviene invece nel «Capitan Fracassa» di Gautier, non foss'altro perché la coppia centrale del film è quella formata da me e da Massimo Traisi nei panni di Pulcinella, l'attore esperto di vita che fa da maestro all'ingenuo Sigognac». Lei l'ha letto il romanzo di Gautier? Sì, l'ho letto». A scuola? No, io la scuola l'ho lasciata a quindici anni. Come mai? Non mi piaceva. E che ha fatto? Ho cominciato a far fotografia». Al teatro quando è arrivato? Quando mi sono stancato delle foto mi è venuto in mente che durante una recita scolastica un professore mi aveva fatto i complimenti. Recitare mi piaceva ma mi pareva ridicolo. Perché? La mia è una famiglia tradizionale con la mamma che ha allevato bambini e il papà che amministrava una società di import-export. Come facevo a dire che volevo essere attore?. Sebbene sia questo il suo momento di gloria, Vincent Perez tra l'aver fama e denaro e lo sperimentare cose nuove continua a scegliere la seconda strada. Per lavorare con un gruppo di coetanei ha deciso di fare quest'autunno un piccolo film di un regista esordiente ambientato durante la Grande guerra, in una trincea, faccia a faccia con la morte. Il successo, spiega, è avere una casa e poterla prestare agli amici, fare viaggi, andare al cinema, stare con quelli che fanno il suo mestiere, parlare con la sua ragazza, disegnare se gli va, se no fare ginnastica. I suoi miti nell'ordine sono Chaplin: «L'uomo che ha cullato la mia infanzia»; Elia Kàzan di «Fronte del porto»: «Il film che mi ha fatto innamorare del cinema»; poi Bergman e Scorsese: «Perché dicono cose importanti». Almodovar? «Non mi interessa». Rohmer? «Neanche». E tra i giovani attori chi è il più bravo? «Un mio amico, Daniel D. Lewis, quello di "Il mio piede sinistro". E' formidabile. Lui è veramente il massimo. Io ci provo». Simonetta Robiony

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