Il Brasile in mano ai «boss» di Lazaroni di Curzio Maltese

Il Brasile in mano ai «boss» di Lazaroni Oggi nell'amichevole contro il Savigliano (ore 16,30 ad Asti) il tecnico schiera la squadra anti-Svezia Il Brasile in mano ai «boss» di Lazaroni Sono Taffarel, Galvao, Dunga e Careca ASTI DAL NOSTRO INVIATO Qui tra i ragazzi dello zoo Lazaroni si comincia a fare sul serio. Oggi Sebastiao Lazaroni scopre le sue carte. Nell'amichevole contro il Savigliano, serie Interregionale (allo stadio di Asti, ore 16,30), andrà in campo la squadra destinata a debuttare il 10 giugno contro la Svezia. All allenamento i giocatori hanno i volti affilati, cupi. E' l'ultima occasioni per mettersi in mostra. Sibilano veloci nei giri di campo, ignorano i microfoni infilati attraverso le reti dagli onnivori radiocronisti, pronti a rubare un sospiro, una mezza parola, qualunque cosa pur di riempire le interminabili dirette oltreoceano. Qualche atleta lancia semmai un'occhiata al drappello dei dirigenti, schierati a bordo campo. Al centro, Jorge Salgado, potentissimo direttore generale, il Boniperti brasiliano. Al fianco destro, braccia conserte, Monteiro de Carvalho, capo delegazione; a sinistra Americo Fari a, capo dell'amministrazione. Tutti capi e direttori, secondo un magniloquente amor di gerarchia, tipico in Sud America. Ma questa non è la «Selecao militar» del '78, allenata dal tenente Coutinho e retta dalla commissione dei colonnelli. Stavolta non serve ingraziarsi i capi-bastone. In questo Brasile democratico, senza stelle e stellette, decide soltanto uno, Se¬ bastiao Lazaroni. E Lazaroni ha già distribuito le maglie, promosso i marescialli e i caporali della sua rivoluzione. In fondo al campo di Asti, lontano dagli altri, incontriamo il primo dei pilastri di questo saggio Brasile. Impossibile non notarlo, così alto e biondo, così poco brasiliano. E' Taffarel, il portiere. Lavora in un angolo di terreno, torchiato dall'implacabile e massiccio preparatore Nielsen. Claudio André Taffarel a 23 anni è già il più grande portiere brasiliano dai tempi del mitico Gilmar. In una terra dove stare tra i pali è un castigo o una vergogna, questa meraviglia è nata nell'unico modo possibile: per sbaglio. Fino a 17 anni Claudio giocava a pallavolo, unico reprobo di una famiglia di futbolistas convinti. Fu notato per caso da un osservatore dell'Internacional di Porto Alegre durante una partita di dilettanti e invitato a fare un provino. Comincia così l'irresistibile ascesa: a 19 anni titolare nel club, a 20 nella nazionale juniores, a 21 nella Selecao. L'anno scorso un referendum del diffusissimo settimanale «Placar» lo ha eletto il «più amato giocatore del Brasile». Un doppio record. Mai un portiere era assurto a tanto onore. Ancora più incredibile, per chi conosce la realtà del calcio brasiliano, dominato dai feudi carioca e paulista, che la gente abbia votato in massa uno di Porto Alegre, cioè del Sud industriale, per giunta con una faccia da tedesco. Ma Taffarel ha l'artistica grazia dei grandi ginnasti, l'acrobatica genialità di uno Zamora, la spavalda simpatia di un Tacconi sudamericano. 1 Tutto il contrario di Dunga, che in mezzo al campo marcia in testa alla truppa. Corre e parla, sbuffa e urla. Brutto a vedersi, il trentenne profeta del nuovo Brasile, come quando gioca: testa china, spalle strette, calzettoni abbassati a scoprire gli enormi polpacci, in segno di provocazione agli avversari, braccia perennemente tese a impartire ordini. Come si sia guadagnato il nomignolo di Cucciolo (Dunga) non s'è mai capito. Altro che cucciolo; lui è il cane da guardia di Lazaroni. Emana una forza trattenuta, pronta a esplodere in improvvise fiammate. I compagni del Brasile, al pari di quelli della Fiorentina, non lo amano, ma lo rispettano: è il capo branco. Nella riunione del primo giorno, tre ore filate di raccomandazioni e reprimende, è stato il secondo a prendere la parola, dopo Lazaroni. E l'ha tenuta più di tutti. Accanto a Dunga, arranca Mauro Galvao, la bestia più rara dello zoo verde-oro. A 28 anni Galvao, uno dei pochi nazionali «indigeni» (gioca nel Botafogo), può vantarsi di essere il primo Ubero della storia brasiliana. Un «mostro» clonato da Lazaroni e da Paulo Roberto Falcao, l'uomo che l'ha scoper¬ to, ragazzino, nell'Intemacional di Porto Alegre, il suo modello di calciatore. E' la pedina più criticata della Selecao, il simbolo di una svolta difensivista che non piace alla stampa. Ma anche il tassello più importante del mosaico verde-oro. Da quando è entrato in squadra, ama ripetere Lazaroni, il Brasile non ha perso una partita ufficiale, ha conquistato la Coppa America e la qualificazione al mondiale subendo appena due gol in 14 gare. Alle 20 l'allenamento è imito e sul campo rimangono soltanto due uomini, Antonio Careca e «Nocaute» Jack. .Nocaute sta per knock-out, ironico soprannome di questo sessantenne ex pugile di periferia approdato alla Selecao nel lontano '68. Nocaute si affanna intorno ai preziosi polpacci del campione, «muscoli di seta come soltanto Pelé aveva» testimonia. Muscoli stanchi. Careca, inagrissimo, ingobbito, quasi funereo, è l'immagine stessa di questa compagnia di mercenari costretta da tre anni a giocare senza sosta di qua e di là dall'Atlantico, chiamata oggi a raccogliere le ultime forze per l'appuntamento con la gloria. Il gruppo dei dirigenti è rimasto a bordo campo. Quando Careca si alza, gli vanno incontro, chiedono notizie sulle sue condizioni. Non è difficile capire chi è il principe del nuovo Brasile. Curzio Maltese Mauro Galvao. Uno dei quattro pilastri di Lazaroni nel Brasile