Tiziano una sfida alla luce in cento capolavori

A Palazzo Ducale, 1 giugno-7 ottobre, una rassegna che ripercorre l'avventura del pittore a 500 anni dalla nascita A Palazzo Ducale, 1 giugno-7 ottobre, una rassegna che ripercorre l'avventura del pittore a 500 anni dalla nascita Tiziano, una sfida alla luce in cento capolavori In mostra a Venezia affreschi, tele e disegni provenienti da tutto il mondo tore del comitato scientifico, presieduto da Francesco Valcanover e composto da David A. Brown e Giovanna Nepi Sciré. «Addirittura dagli anni 70, quando sono cominciati i restauri sistematici di tutte le opere veneziane. Hanno permesso di scoprire fatti nuovi e soprattutto di vedere Tiziano in una luce diversa dal '35». Ne parliamo nel suo ufficio al Museo Correr, che si affaccia nella suggestiva piazza San Marco. Che cosa emerge rispetto a quegli anni? Sono aumentate le conoscenze, grazie anche agli studi fittissimi, che hanno chiarito i rapporti di Tiziano con i contemporanei, Giovanni Bellini e Giorgione, con la committenza ecclesiastica o la Serenissima. Sono cambiati i punti di vista critici: la novità sorprendente è, ad esempio, il Tiziano tardo, rivalutato. Il suo modo di dipingere «con sfregazzi delle dita... unendo una tinta con l'altra, con strisci e colpi d'oscuro e di rossetto», secondo la testimonianza di Palma il Giovane, è la rivelazione d'una grande modernità, che anticipa Rembrandt. Oggi lo troviamo bellissimo e il Tiziano vecchio, più discusso, un vero gigante. Le differenze rispetto a quella mostra? Molte opere allora presenti sono uscite dal catalogo dell'artista, altre ne sono entrate, altre ancora sono incerte. Inoltre non abbiamo esposto dipinti su tavola, come allora, per motivi di trasporto e conservazione. A quel tempo poi le opere arrivavano soprattutto da Uffizi, Pitti, Capodimonte, oggi ci sono VENEZIA RÀNDI onori a Tiziano per il cinquecentenario della nascita: «1490». Data presunta e problematica per l'incertezza delle fonti: 1477 per il Ridolfi (1648), 1476 secondo una lettera di Tiziano stesso a Filippo II, tra il 1480 e il '90 per il Vasari e il Dolce nel '500. Una mostra eccezionale raccoglie a Palazzo Ducale (dall'I giugno al 7 ottobre) oltre cento capolavori (tele, affreschi, disegni) da ogni parte del mondo. Organizzata da Comune e Soprintendenza di Venezia, National Gallery di Washington e Galileo Industrie Ottiche, è la maggiore dopo quella del 1935 a Ca' Pesaro. Ripercorre tutto l'iter del pittore, nato a Pieve di Cadore e morto a Venezia durante la peste del 1576, protagonista indiscusso e longevo della cultura artistica veneziana ed europea del pieno Rinascimento: dai primi passi nelle botteghe di Giovanni Bellini e Giorgione alla fine dell'attività, attraverso l'esperienza di pittore «primero» di Carlo V e Filippo II. Allestita con sobrietà nelle 14 sale dell'Appartamento del Doge, si articola anche in altre sedi cittadine, dove si potranno ammirare opere difficilmente trasportabili: XAssunta e la Pala Pesaro nella chiesa dei Frari, la Presentazione al Tempio presso l'Accademia di Belle Arti, la Trasfigurazione a San Salvador. Un ricco catalogo (Marsilio) presenta schede e saggi aggiornati sui diversi aspetti dell'artista. ! «Una manifestazione preparata a lungo» dice il prof. Giandomenico Romanelli, coordina¬ «Fanciullo», un ritratto con matita rossa realizzato da Felice Casorati nel 1948 VENEZIA. Tiziano Vecellio proviene da una famiglia di notai e giureconsulti. A nove anni - secondo il Dolce nel '500 - è messo a Venezia nella bottega del pittore Sebastiano Zuccato e poi in quella di Gentile e Giovanni Bellini. Ma presto, secondo Vasari, abbandona la «maniera secca, cruda e stentata» dei primi maestri per i modi «dolci» di Giorgione, con cui collabora nel 1508 agli affreschi del Fondaco dei Tedeschi a Rialto. Il 23 aprile 1511 comincia gli affreschi della Scuola del Santo a Padova e, due anni dopo, rinuncia all'invito del Bembo di recarsi a Roma come pittore ufficiale della corte pontificia. Dipinge invece una Battaglia per la Sala del Maggior Consiglio a Palazzo Ducale e richiede la senseria del Fondaco dei Tedeschi, che gli viene concessa nel 1517 dopo la morte di Giovanni Bellini, con l'esenzione delle tasse, 100 ducati l'anno e 25 per ogni ritratto di doge. Al 1516 risalgono le relazioni con Alfonso I d'Este, duca di Ferrara, al 1523 quelle con Federico Gonzaga, marchese di Mantova, dove cono¬ nuclei importanti dall'estero. Quali e da dove? Dalla National Gallery di Washington, ad esempio, da cui giungono la Venere allo specchio, i Ritratti del doge Gritti, di Pietro Bembo e il famoso Festino degli dei di Giovanni Bellini, con interventi di Tiziano e forse del Dosso. Opera straordinaria di cui vedremo in anteprima un film sul restauro realizzato dal museo americano. Dal Prado, Venere con organista e cagnolino, la favolosa Deposizione, l'Autoritratto sonile. Dal Louvre, l'Uomo con guanto, di sottile psicologia, la Madonna del coniglio. Da Londra, l'Allegoria della Prudenza, ed altro. LA VITA semplice. Attraversa e rielabora un secolo di innovazioni: dalle venete di Bellini e Giorgione alle romane di Michelangelo e Raffaello (vedi l'Assunta dei Frari), al manierismo romano di Salviati, Sansovino, arrivati a Venezia dopo il Sacco di Roma. Sino a diventare il pittore aulico di Carlo V e Filippo II e liberarsi, alla fine, di ogni convenzione rinascimentale per un uso liberissimo e modernissimo di luce, colore, composizione. Tra i vari temi se ne privilegia qualcuno? Forse i ritratti, perché Tiziano ne ha fatti moltissimi, e per le dimensioni si imprestano più facilmente. Ne avremo una parata sceltissima: di dogi, come il Gritti e il Venier, che pur nella vecchiaia mostra tenacia intellettuale. Di papi, come il celebre Paolo III di Capodimonte. Di amici intellettuali, come il bellissimo Pietro Bembo. Di donne, carnali Danae e Maddalene, o gran signore come Isabella d'Este di Vienna o l'Eleonora Gonzaga di Firenze. In tutti c'è una ricerca psicologica sottile, ma anche pompa, sfarzo, l'atmosfera del tempo. Come furono i rapporti di Tiziano con la committenza, buoni, cattivi? Era un pittore capriccioso, viziato o ligio agli ordini? Soprattutto un grande professionista, cosciente di sé, un intellettuale di alto livello. Accetta le indicazioni, ma le elabora personalmente. Il problema con gli imperatori (Carlo V e Filippo II), per cui lavora moltissimo, sono soprattutto i pagamenti. Ritrarli era considerato un onore e la burocrazia imperiale nicchiava al momento di sborsare quattrini. La fama di Tiziano tirchio e avido è ingiusta: alla morte non lascia nulla agli eredi e, vecchissimo, sollecita ancora pagamenti, che non arriveranno mai. E le relazioni con Venezia, la sua città, quali furono? Quelle di primo pittore di un centro vivissimo di cultura, aperto (anche alle idee protestanti), capitale politica sino al 1530-35, nonostante le crisi. «Figlio» di Giovanni Bellini e Giorgione, legato alla tradizione marinara e commerciale, rifiuta sempre di andare a Roma come artista ufficiale. Va ad Augusta presso l'imperatore, ma poi torna a casa, nella bottega a San Samuele, e ai Birri, dove riunisce un cenacolo di intellettuali e artisti, come l'Aretino e il Sansovino, e dove lo va ad intervistare personalmente il Vasari nel 1566. Michelangelo non approva il suo modo di «colorire». C'era anche un po' d'invidia? Non credo. E poi lo dice Vasari, che madia il pensiero del grande fiorentino. Rappresentavano due tendenze diverse, il disegno e la forma l'uno, il colore e la luce l'altro. Quale l'atteggiamento di Tiziano verso gli artisti attivi a Venezia? Di leader incontrastato. E' stato faticoso preparare la mostra? E' stato affascinante: un pellegrinaggio in una intensa vicenda umana e culturale, tra luci e ombre. E poi una sfida, un confronto con quella altrettanto importante del '35. Maurizia Tazartes