La Firenze del 1400 miracolo della luce

Inaugurata una mostra in casa Buonarroti Inaugurata una mostra in casa Buonarroti La Firenze del 1400 miracolo della luce PFIRENZE ITTURA di luce. Giovanni di Francesco e l'arte fiorentina di metà Quat I trecento» si intitola una mostra a Casa Buonarroti (aperta sino al 9 agosto), con la collaborazione di Olivetti. Intorno alla predella di Giovanni di Francesco con Tre storie di San Nicola da Bari sono riunite 33 opere rare (dipinti su tavola, miniature, oreficerie, disegni, una vetrata), arrivate dall'Italia e dall'estero. Vogliono illustrare, su basi stilistiche, quella «corrente» di luce che sembra penetrare a Firenze negli Anni 30-40 del '400 con Domenico Veneziano e svilupparsi lungo un ventennio con Giovanni di Francesco, Piero della Francesca, Paolo Uccello, l'Angelico tardo, Gozzoli, Baldovinetti, Pesellino, Andrea del Castagno, il Maestro di Pratovecchio ed altri sin quasi al Verrocchio. Ad accomunarli, secondo il curatore Giovanni Bellosi che riprende una tesi del Longhi (cui è dedicato nel catalogo OlivettiElecta un dossier critico), sono la prospettiva e una pittura chiara e luminosa, a velature, «che rende nitide anche le ombre». «Un superamento della pittura estremamente densa e concentrata di Masaccio per una visione più distesa ed ottimistica, in cui i colori si imperlano di luce e la prospettiva diventa spettacolo». Ipotesi affascinante: ma vera? Gli artisti della «corrente» erano consapevoli e d'accordo? Ci sono testimonianze scritte a sostenere quelle figurative che, per quanto fondamentali, sono sempre il risultato di letture stilistiche personali, e un po' precarie dopo 500 anni? Quasi nessuna. Vasari, nel '500, ricorda «una nuova maniera di colorire». Forse accenni nel «De picture» di Leon Battista Alberti. E allora? Non rimane che accettare la sfida, un po' «anacronistica», della mostra, come si autodefinisce, seguire gli sprazzi di luce di tavolo e disegni e immaginare sulle impalcature delle chiese fiorentine del '400 Giovanni di Francesco, Piero della Francesca, Domenico Veneziano, esecutore, oltre che di prospettiva, di luci, fredde, calde, invernali, mattutine. I primi bagliori dorati, vivacissimi, arrivano dal trittico Carrand, con Madonna, Bambino e Santi del Museo del Bargello, di Giovanni di Francesco, il «protagonista» della mostra. Già chiamato «Maestro del trittico Carrand», è identificato nel 1917 dal Toesca. Poche le notizie: nato forse nel 1428, immatricolato nell'arte dei Medici e speziali nel 1442 o 1446, nel 1450 fa causa a Filippo Lippi per cui aveva restaurato un dipinto di Giotto, e muore nel 1459 quando sulla scena fiorentina si affacciano Pollaiolo e Verrocchio. Tra le sei opere esposte spiccano il paliotto con San Biagio datato «29 gennaio 1453», e la predella Buonarroti, il documento più alto di quest o percorso luminoso, ordinata da Niccolò Cavalcanti per la sua cappella in S. Croce. Lucide, colorate, quasi calligrafiche, dicono che l'autore è un fiorentino, formato probabilmente su Paolo Uccello, nel fervido ambiente che ruota intorno agli affreschi (oggi perduti) della chiesa di S. Egidio di Firenze, dipinti nel 1439 da Domenico Veneziano, con l'aiuto di Piero della Francesca, e poi da Alesso Baldovinetti e Andrea del Castagno. Artisti tutti presenti oggi (ad eccezione di Piero). Paolo Uccello giovane con la predella di Quarate (Firenze, Arcivescovado), degli Anni 30-40 del secolo e con l'estroso Cristo portacroce su tavola (Parma, Pinacoteca Stuardi, una macchia rossa su un desolato paesaggio montuoso, qualche filo di luce nell'aureola che rispecchia la testa. Baldovinetti con un frammento di affresco superstite del ciclo di S. Egidio ed un poetico sportello, con Storie di Cristo, dell'Armadio degli Argenti (Firenze, Museo di San Marco), che rivela legami con l'Angelico e soprattutto con Domenico Veneziano nelle chiare tinte pastello intrise di luce tranquilla. Andrea del Castagno con un suggestivo Crocifisso dipinto (Firenze, SS. Annunziata), in cui le forme solide e dure si inteneriscono, e con un roseo putto reggifestone ad affresco. Ricorda Piero della Francesca, indirettamente, la predella Buonarroti, con le nitide prospettive e la luminosità in linea con quelle del ciclo di Arezzo. Ma il primo a diffondere a Firenze, in quegli anni, le nuove Una miniatura di Francesco Pesellino giunta dall'Ermitage di Leningrado esperienze di luce, assùmiate forse nel Veneto, è Domenico Veneziano, artista problematico, con la famosa sacra Conversazione di Santa Maria dei Magnoli (Mandorli) tutta luce chiara e prospettiva, già nutrita dell'arte dell'Angelico e del Lippi. La testimonia in mostra un pezzo di predella con S. Giovanni nel deserto, arrivato alla National Gallery di .Washington. Già appartenuto a Berenson che lo considerava del Pesellino, è un piccolo capolavoro con quel paesaggio lunare e il Santo nudo, spregiudicato, che si cambia gli abiti senza la presenza degli angeli, Altro «partigiano della luce» l'Angelico nella fase tarda, quando, dopo l'influenza di Masaccio, verso il 1440 schiarisce i colori, tendenza evidente nella Pala di San Marco, di cui è esposto il pannello della predella con il Seppellimento dei SS. Cosma e Damiano (finita nel 1443) con figurette incappellate come quelle di Piero della Francesca, inserite in lucide architetture urbane, intiepidite dalla luce. Dall'Angelico ai suoi allievi: Benozzo Gozzoli, che sembra aderire alla «corrente» tra il 1450 e il '52 con un gruppo di opere magnifiche come la Maestà della National Gallery di Londra, riferitagli con qualche incertezza, brillante nelle sue audaci aureole in bilico. E Francesco Pesellino ammeuso nella schiera grazie ad alcune miniature arrivate da Venezia e da Leningrado. Maurizia Tazartes