Vini italiani a New York
Vini italiani a New York Sono esposti nella nuova enoteca dell'Ice a Manhattan Vini italiani a New York Primato sui mercati statunitensi NEW YORK. Un capolavoro di De Chirico, «Le muse inqietanti», del 1981, è esposto in Park Avenue, nel cuore di Manhattan. Non è in una galleria d'arte, ma tra altri «capolavori»: i migliori vini italiani, ospitati nella nuova enoteca che l'Ice (Istituto commercio estero) ha inaugurato giovedì. L'ambiente, progettato dall'architetto Piero Sartogo, sorprende chi immagina il vino tra botti, volte in mattoni e vecchi attrezzi. Qui le bottiglie sono disposte come in una carlinga d'aereo lucida di marmo e ottoni. Anche la sala delle degustazioni è modernissima e tecnologica. L'enoteca, che è nel sotterraneo del grattacielo dove ci sono anche gli uffici dell'Ice, completamente rinnovati, con una spesa di oltre 3 miliardi, è destinata ad accogliere meeting, convegni, riunioni di tutti i comparti del commercio estero italiano, dalla moda, alla pelletteria, alle nuove tecnologie, oltre naturalmente al settore enologico, che ha esordito in un «wine tasting» con decine di produttori giunti dall'Italia. «Il vino è un prodotto simbolo del made in Italy e dobbiamo concentrare gli sforzi per farne emergere l'immagine legata alla qualità e alla serietà dei produttori» ha detto il ministro dell'Agricoltura Calogero Mannino, volato per l'occasione a New York, con i massimi diri¬ genti dell'Ice. In un mercato americano turbato dalle forti campagne antialcoliche e da una manovra economica che tende a ridurre i consumi di numerosi generi d'importazione, il vino italiano mantiene una posizione di primato, pur dovendo lamentare qualche flessione. Nel 1989 le aziende italiane hanno venduto negli Usa oltre un milione di ettolitri (compresi 164 mila hi. di spumanti) per un controvalore di 338 milioni di dollari (oltre 450 miliardi di lire). La quota import (circa il 20 per cento dell'intero mercato Usa del vino) vede l'Italia in testa in termini di quantità seguita da Francia, Germania, Portogallo e Spagna, ma i transalpini incassano più dollari perché riescono a farsi pagare meglio le loro bottiglie. Il prezzo medio dei vini italiani da tavola, importati negli Usa è a circa 2 dollari/litro contro i 4.4 della Francia. Tra gli spumanti la differenza è ancora più netta: 3,8 dollari a litro per gli italiani contro i dodici dei francesi spinti dal prestigio dello Champagne. Ma nel settore c'è fermento. Dopo Berlucchi anche Ferrari, una delle più famose marche di spumanti classici italiani si prepara a sbarcare in America grazie ad un accordo con la Campali Usa. Anche il fronte dell'Asti spumante (che vende già negli Usa oltre 16 milioni di «tappi» l'anno) si è mosso per risolvere l'intoppo procimidone. Le tracce infinitesimali del fungicida antibotritico, trovate in alcune bottiglie, hanno portato, nei mesi scorsi, al blocco di numerosi container, perché il prodotto non è registrato negli Usa. Giancarlo Voglino, presidente del Consorzio dell'Asti, ha preso contatti per organizzare una manifestazione negli Usa a favore del più diffuso spumante italiano. Intanto gli importatori, riuniti in un'associazione, chiedono all'Ice una maggiore presenza di supporto sui mercati. «Fino ad una decina di anni fa le etichette italiane in Usa erano pòchissime - ricorda Michael Citarella, ; presidente dell'Italian wine council - oggi sono centinaia e per questo c'è bisogno di un'azione coordinata di promozione». «Il canale privilegiato è ancora la ristorazióne italiana» commenta Maria' Pezzetta, insegnante di filosofia che ha lasciato la cattedra in Italia per vendere vino in America. Oggi la New York gastronomica è in mano ad una decina di grossi chef italiani, C'erano quasi tutti al 75? piano del Rockefeller Center per il gala d'inaugurazione dell'enoteca. San Domenico, Four Season, Palio, Le Circle, Barbetta, Felidia sono locali che fanno scuola. E accanto ai grandi, una miriade di proposte nuove e accattivanti. E fra i tanti, un altro italiano sta facendo parlare di sé. Flavio Accornero, 29 anni, importatore di vini, si è visto dedicare dal diffusissimo «Newsweek» un articolo con foto, per aver fondato la sezione americana dello slow-food, il movimento anti fast-food, partito da Bra, che si sta diffondendo al grido di «Buongustai diHutto il mondo unitevi». E nel Paese degli «hotdog» la cosa ha fatto notizia. Sergio Miravalle Giancarlo Voglino
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