Ambrosiano, un processo senza big di Susanna Marzolla
Ambrosiano, un processo senza big Dopo sette anni, soltanto Carboni e Ortolani in aula per il crack della banca di Calvi Ambrosiano, un processo senza big Assenti Gelli, Pazienza, Tassan Din, Bonomi Bolcbini MILANO. Se il processo si vede dalla prima udienza, l'unica cosa certa è che ci vorrà ancora parecchio tempo prima che una sentenza stabilisca le responsabilità per il crack del Banco Ambrosiano. Ieri si è cominciato alle 10 del mattino e si è finito alle tre del pomeriggio, solo per registrare parti civili e testimoni, fare l'elenco degli imputati con i rispettivi difensori e stabilire chi è contumace e chi no. In pratica quasi tutti. Solo in sei, infatti, ieri si sono presentati davanti ai giudici: Gennaro Cassella, Flavio Carboni, Emilio Pellicani, rappresentanti di quel sottobosco affaristico a cui Roberto Calvi si rivolse poco prima del crack; Carlo 01giati e Giuseppe Zanon di Valgiurata, ex amministratori dell'Ambrosiano; Umberto Ortolani, assieme a Licio Gelli «mente» della P2 e gran beneficiario, secondo l'accusa, dei fondi usciti dal Banco (326 miliardi in base ai calcoli della Finanza). E solo quattro imputati hanno cercato di giustificare la loro assenza: Aladino Minciaroni, Luigi Roteili, Goffredo Manfredi, tutti ex amministratori del Banco e tutti malati (il processo per loro comincerà il 18 ottobre); il faccendiere Francesco Pazienza, che non aveva neppure l'avvocato e che era in contemporanea processato a Bologna per la strage alla stazione (dove il pg ha chiesto per lui otto anni mentre per Licio Gelli diciotto). Assenti ingiustificati quindi gli altri ex membri del consiglio di amministrazione, sindaci e responsabili dell'ufficio estero dell'Ambrosiano: Orazio Bagnasco, Giacomo di Masè, Federico Gallarati Scotti, Stefano Marsaglia, Enrico Palazzi Tri¬ velli, Giuseppe Prisco, Roberto Rosone, Mario Valeri Manera, Carlo von Castelberg, Amatore Brambilla, Mario Davoli, Francesco Monti; assenti i responsabili dell'ufficio estero della banca: Filippo Leoni, Giacomo Botta, Carlo Costa, Alessandro Mennini, Adriano Bianchi. Licio Gelli, gran tessitore di trame e di affari (almeno 116 miliardi sarebbero finiti sui suoi conti dell'Ambrosiano), ha preferito non farsi vedere. Stessa scelta per Bruno Tassan Din, ex amministratore delegato della Rizzoli che a quel posto era stato messo proprio grazie al piano concordato tra Calvi e la P2 per assumere il completo controllo della casa editrice. Inutile poi cercare, tra le poche donne presenti quella che veniva definita la «signora della finanza italiana», Anna Bonomi Bolchini, accusata di avere ricevuto da Calvi 10 milioni di dollari. Assenti infine anche Fausto Annibaldi, Maurizio Mazzotta e Marco Ceruti, che anzi non si è fatto vedere proprio mai continuando a preferire il soggiorno all'estero. Esclusa Gabriella Curi, già segretaria di Tassan Din e accusata di favoreggiamento, che ha goduto della prescrizione, sono quindi 34 gli imputati del processo e tutti devono rispondere di concorso in bancarotta fraudolenta. Non una bancarotta qualsiasi, bensì un crack da duemila miliardi che ha coinvolto uno dei più antichi istituti di credito italiani, un intrigo politico-finanziario non ancora completamente chiarito. Riuscirà il processo a fare luce su quei punti ancora oscuri? Lecito dubitarne. Ci sono voluti sette anni di indagini (la bancarotta è del 1982, il rinvio a giudizio dell'anno scorso) per riuscire a scoprire le prove di quel meccanismo - apparentemente semplice ma occultato da innumerevoli passaggi - che aveva svuotato le casse dell'Ambrosiano. Il denaro usciva dalla banca, finiva nelle consociate estere del gruppo e da qui in una miriade di società fantasma create da Calvi con la complicità dello Ior (Istituto Opere di Religione) e degli affaristi P2. Su questo meccanismo non potrà dire niente Roberto Calvi trovato morto impiccato a Londra alla vigilia del crack: e ancora adesso non è chiaro se si trattò di omicidio o suicidio, ancora adesso Flavio Carboni, che accompagnò Calvi in Inghilterra, non si vuole pronunciare sulla sua fine. Niente diranno gli amministratori dello Ior (monsignor Paul Marcinkus, Luigi Mennini e Pellegrino de Stroebel) che una sentenza della Cassazione ha dichiarato «non processabili». E infine è assai improbabile che gli altri imputati i quali si sono sempre trincerati dietro «ostinata omertà e pervicaci menzogne» decidano di collaborare. Anzi, i settantacinque avvocati della difesa - nomi tra i più noti, parcelle milionarie - sembrano avere un obiettivo univoco: allungare, i tempi del processo, inceppare il meccanismo con una serie di eccezioni. Alle manovre dilatorie si opporrà comunque il pubblico ministero Pierluigi Dell'Osso che ha già fatto capire di voler fare ben poche concessioni alla controparte: sintomatico il suo «no» al patteggiamento, chiesto da cinque imputati (Costa, Botta, Leoni, Cassella e Mazzotta). Susanna Marzolla Flavio Carboni e Umberto Ortolani ieri al processo [FOTO ANSA]
Luoghi citati: Bologna, Inghilterra, Londra, Milano
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