E GORBACIOV CERCA AMICI IN AMERICA di Enzo Bettiza

E GORBACIOV CERCA AMICI IN AMERICA E GORBACIOV CERCA AMICI IN AMERICA ERANO quattro le spade di Damocle sospese sopra la testa di Gorbaciov alla vigilia della sua partenza per le Americhe: l'irredentismo baltico, la ribellione armata in Armenia, l'assalto popolare ai negozi di Mosca, l'elezione di Boris Eltsin alla presidenza della Repubblica federativa russa. Ora, proprio nel momento in cui egli sta per incontrare Bush, delle quattro spade gli è caduta addosso la più pesante e la più affilata: la vittoria di Eltsin che, grazie alla stessa riforma istituzionale gorbacioviana, diventa, di diritto e di fatto, il capo della Russia nel quadro di una Unione Sovietica in via di sgretolamento. Per la prima volta si crea così, all'interno dell'Urss, un contropotere massiccio e quasi parallelo a quello esercitato dal leader ufficiale del Paese. A Gorbaciov, presidente contestato di una Unione minacciata dallo sfascio, si contrappone ormai frontalmente Eltsin, presidente popolarissimo di una Russia in pieno risveglio nazionalistico, una Russia che da Leningrado a Vladivostok rappresenta il 76 per cento del territorio e il 52 per cento degli abitanti dell'Urss, una Russia che non guarda più al Parlamento sovietico ma al Parlamento russo come al reale detentore della propria sovranità e legittimità nazionale. La rivolta del pane, il crollo della perestrojka fra gli incubi di carestie evocanti il comunismo di guerra degli Anni Venti, forniscono ora al vittorioso Eltsin quello che Gorbaciov, coi suoi tentennamenti centristi, non è mai riuscito a ottenere: una base sociale di manovra, esasperata ma compatta, che potrebbe rivelarsi risolutiva nella lotta per il potere ormai in atto tra due forti personalità oltreché tra due fazioni di partito. Basta rileggere queste righe della recente autobiografia di Eltsin per rendersi conto della profondità oltreché della personalizzazione della battaglia senza esclusione di colpi in corso: «Il mio ultimo incontro con Gorbaciov è durato quasi un'ora. Il colloquio fu pieno di tensioni e di contrasti. Gli dissi che il Paese era allo sfacelo, che l'apparato della burocrazia continuava i suoi giochi come in passato, con lo scopo essenziale di conservare tutto il potere nelle proprie mani. Io cercavo, durante il colloquio, di farmi dare una risposta precisa: Michail Sergeevic, ma tu da che parte stai? Con il popolo o con il sistema che ha portato il Paese sull'orlo della rovina? Le sue risposte furono dure e brusche, quanto più proseguiva la nostra conversazione tanto più massiccio diventava il muro d'incomprensione che si alzava tra noi». Questo muro, oggi, è diventato altissimo. Esso non separa più soltanto Gorbaciov da Eltsin ma Gorbaciov dai baltici, dagli armeni, dagli azeri, dai georgiani, dai kazakhi, dagli ucraini e, quel eh'è peggio, dai russi che costituiscono il fulcro politico e il motore economico dell'intero complesso pansovietico. Mai la solitudine di Gorbaciov all'interno dell'Unione in subbuglio, del partito lacerato, della Russia che ha consegnato la municipalità di Mosca e la presidenza della Repubblica nelle mani dei suoi oppositori radicali, era apparsa più grande. Mai la sua posizione era stata più precaria. Il Parlamento russo, bocciando Vlasov, esponente del «centro» gorbacioviano, si è espresso non soltanto/w Eltsin ma, soprattutto, contro Gorbaciov. Dal 1° maggio, quando fischiato dalla folla egli abbandonò irritato il mausoleo di Lenin sulla Piazza Rossa, è il secondo grave e tangibile rove- Enzo Bettiza CONTINUA A PAGINA 2 PRIMA COLONNA