«Così curerò il bambino con l'Aids» di Franco Giliberto

E' stato contagiato da una trasfusione, De Lorenzo ordina un rapporto nazionale E' stato contagiato da una trasfusione, De Lorenzo ordina un rapporto nazionale «Così curerò il bambino con l'Aids» Pavia: sarà utilizzato un farmaco che frena il virus PAVIA DAL NOSTRO INVIATO Nessun farmaco miracoloso, nessuna terapia sperimentale, nessuna manovra medica inedita o d'estrema avanguardia: Maurizio - il ragazzino di 9 anni che nei mesi scorsi aveva sconfitto la leucemia grazie a un trapianto di midollo, e si è trovato poi a combattere contro l'Aids per una «banale» trasfusione di sangue infetto - seguirà un raffinato, ma già conosciuto schema di cure. In primo luogo sarà sottoposto a un trattamento con Azt, sostanza che non guarisce ma impedisce, quando va bene, la replicazione del virus. Contemporaneamente gli saranno somministrati quei medicinali che per giudizio medico internazionale stanno dimostrando una discreta attività di stimolo sul sistema immunitario. In un secondo tempo, Maurizio sarà molto probabilmente sottoposto a un nuovo trapianto di midollo osseo, preceduto da una particolare, complessa chemioterapia. Il professor Elio Rondanelli, infettivologo, e la professoressa Francesca Severi, primario di pediatria all'ospedale San Matteo di Pavia, confermano che sarà questa a grandi linee la strategia da adottare. Il giovanissimo paziente sta apparentemente abbastanza bene, tanto che non è ricoverato, ma vive in famiglia, e si presenta quotidianamente per i controlli al PAVIA. Il primo trapianto di midollo osseo compiuto in Europa su una malata di Aids era avvenuto nell'aprile scorso in Sardegna. Dice il professor Licinio Contu, direttore della cattedra di Genetica medica all'Università di Cagliari: «La paziente sta bene, come mai era stata bene negli ultimi tre anni. Vi è un certo, parziale ritardo nell'attecchimento del trapianto, imputabile quasi certamente alla contemporanea terapia con Azt, che del resto è indispensabile. Ma un fatto è certo: la malata non dimostra più sieropositività ai test, e già questo ci pare un risultato confortante. Anche se bisognerà aspettare qualche mese per avere la certezza di una sua i PRECEDENTI fase iniziale di incubazione i test sul sangue dei donatori possono non servire, dato che la comparsa degli anticorpi (dai quali dedurre la sieropositività) può tardare di qualche mese. Sembra che non ci sia Paese al mondo in cui il problema abbia trovato soluzione. Anche altre analisi, più sofisticate di quelle che si compiono abitualmente sui campioni di sangue dei donatori, sono considerate dappertutto con estrema cautela, sia per la laboriosità delle indagini biochimiche richieste, sia per una certa inattendibilità dei risultati finora palesata. «Insomma, non esiste una verifica che ci metta al riparo da tutti i rischi - dice Rondanelli e basti pensare alla sola Lombardia, dove si effettuano un milione e mezzo di donazioni all'anno, per capire lo spessore del problema. La più concreta azione che oggi si possa compiere mi sembra quella sui donatori: in modo che vengano interrogati con tatto, ma dichiarino esplicitamente, prima di donare il sangue, se hanno tenuto comportamenti a rischio, anche recentissimi. Un esempio: con la diffusione del virus dell'Aids fra gli eterosessuali, basta una piccola avventura estemporanea con partner sconosciuto perché a volte accada l'irreparabile. Se si fanno certe cose, poi è meglio non andare a donare il sangue». Franco Giliberto

Persone citate: De Lorenzo, Elio Rondanelli, Francesca Severi, Licinio Contu, Rondanelli

Luoghi citati: Europa, Lombardia, Pavia, Sardegna