Mario Monti non accetta il codice Iri

Il rettore della Bocconi rifiuta la riconferma alla carica di vicepresidente della Comit Il rettore della Bocconi rifiuta la riconferma alla carica di vicepresidente della Comit Mario Monti non accetta il codice Iri L'economista contesta la lottizzazione delle cariche La lettera a Nobili: «Così è solo un incarico formale» Wall Street Il listino frenato dal deficit MILANO. La diga della Banca Commerciale ha tenuto. Il presidente Enrico Braggiotti lascia il più importante degli Istituti dell'Iri, e gli succede Sergio Siglienti, attuale amministratore delegato, a sua volta sostituito dal direttore generale Luigi Fausti. Alla Comit non c'è stato il ribaltone che ha sconvolto il Credito Italiano. Tutte nomine interne, come nella tradizione della banca milanese. L'unica eccezione è il de Camillo Ferrari, designato alla vice presidenza. Un caso clamoroso, comunque, è scoppiato. Il rettore dell'Università Bocconi, Mario Monti, non accetta di restare alla vice presidenza della Comit. In una lettera inviata a Siglienti (e per conoscenza al presidente dell'Iri, Franco Nobili), Monti chiede di «non dare corso alla proposta della mia conferma a vice presidente». Scrive l'economista: «Il contesto nel quale la conferma avverrebbe, l'elevazione a tre del numero dei vice presidenti e il peculiare significato che nell'insieme delle banche d'interesse nazionale sembra ora essere stato attribuito alle vice presidenze, mi fanno ritenere che si tratterebbe di un incarico essenzialmente formale, non giustificato da esigenze funzionali, non in linea con la tradizionale sobrietà della struttura di vertice della nostra banca. Poiché non intendo contribuire a tale evoluzione, chiedo di essere sollevato dalla vice presidenza». Monti informa Siglienti di essere «disponibile a contribuire all'amministrazione della banca nella veste di semplice consigliere, se Tiri e lei lo vorranno». E' chiaro che Monti non contesta Siglienti o i due amministratori delegati, Fausti e Mario Arcari, persone verso le quali ha la più totale fiducia. Semplicemente non vuole essere confuso con altri vice presidenti (Palladino e Ferrari) di nomina chiaramente politica e sottolinea di non condividere quel «peculiare significato», cioè l'elezione dei vice presidenti secondo criteri di appartenenza partitica e non di professionalità, che ha distinto questa tornata di nomine delle Bin. Monti non aveva cariche operative alla Comit, ma il suo rifiuto, in un momento in cui tutti fanno l'impossibile per ottenere poltrone più o meno importanti, è certamente un fatto molto significativo anche se, purtroppo, isolato. L'assemblea dei soci, che ha approvato il miglior bilancio della storia della Comit, è filata liscia, senza problemi. Tutta l'attenzione rivolta a Braggiotti. Ma il presidente uscente, 40 anni trascorsi alla Commerciale, ha mostrato una grande freddezza. Le dispiace abbandonare la Comit? «Ci sono, stato tanti anni...». Cosa farà adesso? «Vado in vacanza». E in futuro? «Lascio Mediobanca, continuerò invece a lavorare nel consiglio di Paribas. Ho ricevuto alcune proposte, più private che pubbliche - ha aggiunto deciderò più avanti cosa fare». I rapporti con Tiri? «Se vuole la mia collaborazione sono contento, credo che sia la soluzione migliore». Oltre al presidente anche Camillo De Benedetti e Michele Savarese hanno lasciato il consiglio. Tra le faccie nuove Letizia Brichetto Arnaboldi Moratti. Il nuovo consiglio di amministrazione si riunirà martedì prossimo per attribuire le cariche sociali. Tra le prime questioni che il consiglio dovrà affrontare c'è quella di un aumento di capitale che potrebbe essere deciso in tempi brevi. Sia Siglienti che Arcari hanno parlato chiaramente della necessità di una ricapitalizzazione anche se non c'è nulla di definito. «Tempi, modi e importo saranno decisi dal consiglio e dall'azionista di maggioranza». Molto dipenderà da quali iniziative, acquisizioni o accordi con scambi azionari, la Comit vorrà realizzare nei prossimi anni. Rinaldo Gianola Il presidente uscente è nato nel 1923. Diventai amministratore delegato dell'Istituto nel 1984 J e dopo quattro anni ne assume la direzione WASHINGTON La settimana dei primati di Wall Street - mercoledì l'indice Dow Jones ha superato l'incredibile vetta dei 2856 punti - si è ieri chiusa su una nota di allarme (2817,34, con un calo di 37,71 punti) meno per fattori contingenti come una flessione nel settore elettronico, e strutturali come le spinte inflazioniste nell'economia. L'indice Dow Jones, che nella prima ora di trattazioni è caduto di 25 punti, ha compiuto una serie di alti e bassi per l'intera seduta, ma è sempre rimasto nettamente sotto il record. Molti guru di Wall Street non escludono che sia l'inizio di un'inversione di tendenza, ma altri affermano che quota 3000 è tutt'ora a portata di mano. Le previsioni sono rese incerte dal lungo ponte: lunedì in America è vacanza. La straordinaria ascesa dello Stock Exchange, che si è superato per tre giorni di fila, è stata bloccata dalla convinzione che per qualche tempo i tassi d'interesse non diminuiranno. Essa poggia sulle inquietanti dichiarazioni del ministro del Bilancio Darman che il disavanzo pubblico americano è destinato ad aggravarsi l'anno prossimo, e su quelle addirittura catastrofiche del Congresso che supererà i 200 miliardi di dollari, circa 250 mila miliardi di lire. I timori per l'effetto inflazionista del deficit di bilancio non sono stati compensati dal dato sulla crescita del prodotto nazionale lordo nel primo trimestre di quest'anno. In circostanze normali, se non ci fosse cioè un tremendo disavanzo pubblico, la crescita, dell'1,3% in termini reali anziché del previsto 2,1%, lascerebbe spazio a un allargamento del credito. La Casa Bianca rimane ottimista. Ieri per esempio ha sottolineato che il deficit commerciale nel primo trimestre dell'anno è sceso a 26 miliardi di dollari, il minimo dall'84, e che il risultato sarebbe stato ancora migliore se le importazioni di petrolio non fossero salite a dismisura. Ma Wall Street tiene d'occhio lo scandalo delle casse di risparmio, che ha coinvolto anche uno dei figli del presidente Bush, il terzogenito Neill, e la crisi incipiente delle banche, che minacciano l'intero sistema finanziario Usa. Il risanamento delle casse di risparmio costerà allo Stato oltre 300 miliardi di dollari, complicando il problema del deficit del bilancio. L'ente statale che garantisce i depositi bancari è inoltre in passivo da due anni. L'altro ieri, nel corso di una conferenza stampa, è stato chiesto al presidente Bush perché non interviene subito, alzando le tasse. Bush, che nella campagna elettorale si era impegnato a evitare stangate fiscali, ha risposto che la decisione spetta anche al Congresso, e che sono in corso negoziati. Ma gli Stati Uniti rischiano di pagare caro il ritardo. A monte della crisi finanziaria ci sono una esposizione delle società per oltre 2 mila miliardi di dollari; una analoga dei contribuenti; un debito estero di oltre 600 miliardi di dollari; un debito pubblico di oltre 3 mila miliardi di dollari; un risparmio che è appena il 5% cento del reddito. La potenza del Paese è tale che si riprenderebbe in fretta con una buona dose di austerity. Ma non è certo che possa rinviarlo a dopo le elezioni parlamentari del prossimo novembre, [e. e] ) hnri hnri Hmri hifl DAL NOSTRO CORRISPONDENTE

Luoghi citati: America, Milano, Stati Uniti, Usa, Washington