Al battesimo rifiuta il prete nero

Ora si difende: «Era soltanto una battuta, qualcuno ha voluto strumentalizzarla» Ora si difende: «Era soltanto una battuta, qualcuno ha voluto strumentalizzarla» Al battesimo rifiuta il prete nero Messina, sindacalista chiede un altro sacerdote MESSINA. Adesso Filippo Lo Giudice, sindacalista della Cisl ed ex consigliere comunale del partito comunista, vuole ad ogni costo allontanare da sé l'accusa di razzismo. «Non mi sono mai opposto dice il sindacalista, scandendo le parole - a fare battezzare mia figlia da un sacerdote di colore. In piazza, con gli amici, avrò detto qualche parola di troppo e qualcuno avrà strumentalizzato la vicenda per puri fini politici. Ma davvero questo no al sacerdote di colore io non l'ho mai detto». La vicenda ha come teatro Limina, un piccolo centro di mille e cinquecento abitanti, spopolato dall'emigrazione, arrampicato sui Monti Peloritani a una cinquantina di chilometri da Messina. Come se tutti i suoi problemi non bastassero, Limina deve fare i conti anche con la crisi delle vocazioni. Da un paio di anni si deve accontentare di un parroco a mezzo servizio: don Giuseppe Tati, un anziano sacerdote costretto a dividersi fra Limina e Sant'Alessio, un centro della costa non lontano da Taormina. Quando non riesce a fare fronte ai troppi impegni delle due parocchie che gli sono state affidate dalla Curia, don Giuseppe Tati chiede aiuto alla curia di Messina che provvede facendo intervenire un sostituto. Così è stato per la festa di San Filippo, che è stata celebrata la scorsa settimana. A Limina è giunto don Pietro, un sacerdote originario dello Zaire, ospite da tempo di una comunità di padri comboniani che ha sede a Messina. Non era il primo incontro fra il sacerdote di colore e gli abitanti del paesino. Altre volte don Pietro aveva affiancato il parroco, per Natale, per Pasqua, durante la tradizionale benedizione delle case. Ma mai c'erano stati problemi con i parrocchiani. «Anzi ricorda qualcuno in paese - un giorno, assieme a lui, abbiamo organizzato una raccolta di fondi da destinare ai poveri dell'Africa, per aiutare i bambini negri». Che cosa sia successo la scorsa settimana davanti alla fonte battesimale non è ancora molto chiaro. Don Pietro assolutamente non vuole parlare. Dopo la festa di San Filippo è tornato coi suoi confratelli. Chi l'ha visto, negli ultimi giorni, giura che non se l'è presa per nulla, che giudica l'episodio una fatto isolato. L'unico testimone è don Giuseppe Tati, anche lui orientato a minimizzare la vicenda. Ha battezzato la bambina sostituendosi all'indesiderato «prete nero». Ma a chi lo critica risponde che «tutto è avvenuto nella massima regolarità, col consenso di don Pietro», che essendo il parroco aveva il dovere di amministrare il sacramento. Ma per quale motivo quell'uomo non ha voluto fare battezzare la bambina da un prete di colore? Il sacerdote ha un momento di titubanza. Poi arriva la risposta: «Perché gli rovinava le fotografie». Già, le fotografie. Filippo Lo Giudice non ha difficoltà a parlare di questa circostanza. «Forse in piazza, parlando con gli amici, avrò detto che preferivo un prete bianco per il servizio fotografico. Ma qui a Limina mi conoscono tutti. Sanno che mi piace scherzare, che a volte faccio battute. E di una battuta scherzosa si è trattato, nulla di più. Il resto è fantasia o, peggio ancora, pura speculazione. Don Giuseppe ha battezzato mia figlia, ma al suo posto poteva esserci chiunque. Bianco, nero o rosso, che importanza aveva. Io sono un sindacalista, uno che si occupa di questioni sociali, immagini lei se posso essere razzista, se posso fare discriminazioni». E mentre parla Filippo Lo Giudice mostra foto, ritagli di giornale, tutto quanto può servire a mettere in luce il suo passato: dieci anni di lavoro a Torino, alla catena di montaggio della Fiat; il ritorno in Sicilia; l'attività politica con il partito comunista (segretario della se¬ zione e consigliere comunale), poi le delusioni politiche, l'incarico di segretario della Cisl «per stare a fianco dei lavoratori. Ed è forse questo quello che vogliono farmi pagare mettendo in giro tante fandonie: l'avere scelto di fare il sindacalista senza appoggiare questo o quel partito». Filippo Lo Giudice, insomma, si ritiene vittima di una congiura. Per il battessimo della bambina (che si chiama Irene) aveva fatto venire i parenti, alcuni dei quali da Messina altri dal Nord Italia. Dice ancora il sindacalista: «Una festa in famiglia come si usa dalle nostre parti. Una festa molto importante, per tutti noi». Adesso il suo nome è sulla bocca di tutti, associato alla parola «razzista». In paese c'è chi non gli perdona di «avere infangato» il nome di Limina. Da queste parte l'onore del paese è un sentimento forte e inviolabile. E gli abitanti di Limina tutto ammettono tranne che essere chiamati razzisti: forse per via di San Filippo, detto il Siriaco. Una santo di pelle nera la cui statua, custodita nella Chiesa Madre proprio nei giorni del battesimo della piccola Irene veniva portata in processione fra due ali di devoti in preghie- Nino Amante

Persone citate: Bianco, Filippo Lo Giudice, Giuseppe Tati, Nino Amante