Arafat: Israele t'accuso di razzismo di Tito SansaIgor Man

La replica del rappresentante di Gerusalemme: l'Onu impieghi meglio il suo tempo La replica del rappresentante di Gerusalemme: l'Onu impieghi meglio il suo tempo Arafat: Israele, f accuso di razzismo •a Ma molti delegati hanno disertato l'arringa r «Piange» il Vecchio sulpodio del mondo •a GINEVRA DAL NOSTRO INVIATO tere in seduta straordinaria é urgente il problema palestinese. I quindici membri del Consiglio di sicurezza — i cinque permanenti, con diritto di veto, di Cina, Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Unione Sovietica e i dieci dei Paesi di turno — sono venuti a Ginevra soltanto per permettere a Yasser Arafat di prendere la parola, dopo che Washington aveva ancora una volta rifiutato al capo dell'Olp il visto di ingresso negli Stati Uniti. Sarebbero stati proprio gli americani, irritati con Israele — secondo voci rimbalzate qui da oltre Atlantico — a suggerire la trasferta a Ginevra affinché Arafat potesse esporre le sue lamentele e le sue proposte. E' la prima volta dal 1945 che il Consiglio di sicurezza si riunisce a Ginevra — si fa notare a sottolineare l'importanza dell'avvenimento. Stranamente tuttavia, così com'è stato disertata da gran parte dei delegati permanenti, la seduta straordinaria ha riscosso un tiepido interesse nella stampa internazionale. Anche il servizio di sicurezza, per il quale di solito le autorità elvetiche mobilitano l'esercito, era sotto tono. Benché Arafat sia una delle persone più a rischio tra i politici di tutto il mondo, ieri a proteggerlo c'era soltanto la polizia cantonale. Arafat è arrivato nella sala con il solito ritardo «per motivi di sicurezza» dove ad attenderlo erano i 15 membri del Consiglio di sicurezza. Prima ancora il viceministro degli Esteri israeliano Benyamin Natanyahn aveva respinto le richieste del presidente dell'Olp che erano note perché anticipate dai giornali. Con tono duro, battendo sovente i pugni sul tavolo, Natanyahn ha accusato Arafat di voler «sfruttare l'azione solitaria di un matto» (l'autore della strage di palestinesi di domenica scor- La parola «sanzioni» si è udita nuovamente ieri, dopo più di mezzo secolo, nel palazzo delle Nazioni Unite a Ginevra. Allora, nel 1936, le sanzioni furono adottate da quella che si chiamava Società delle nazioni, per punire l'aggressione dell'Italia fascista contro l'Abissinia. Ieri la parola sanzioni è stata pronunciata dal presidente dell'Olp Yasser Arafat per chiedere al Consiglio di sicurezza dell'Onu la punizione dei massacri che lo Stato di Israele va compiendo contro i palestinesi dei territori occupati. Arafat aveva in precedenza presentato altre quattro richieste, tra cui spicca quella di inviare i «caschi blu» delle Nazioni Unite per la protezione della popolazione palestinese. Il capo dell'Olp aveva chiesto inoltre a Perez de Cuellar e al Consiglio di sicurezza: l'invio di un incaricato speciale permanente, il blocco della immigrazione di ebrei verso i territori palestinesi occupati e l'avvio immediato di incontri per organizzare una conferenza internazionale di pace. In una Ginevra distratta e semideserta per il ponte dell'Ascensione (che ier l'altro è stata giorno di festa in Svizzera), Arafat ha parlato in una sala mezza vuota. Mancavano molte diecine di delegati permanenti, una buona parte dei quali aveva approfittato della lunga vacanza per partecipare ai «diciannovesimi giochi delle organizzazioni dell'Onu» sulla riviera romagnola. Nessuno del resto si immaginava che il macchinoso apparato del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite riuscisse in sole 48 ore a organizzare una trasferta, collettiva dal Palazzo di vetro a New York fin qui sulle rive del lago Lemano per discu¬ sa) per eccitare l'opinione pubblica internazionale. Natanyahn ha detto che «non c'è motivo» di riunire il Consiglio di sicurezza, accusato di adottare «due pesi e due misure» quando si tratta di morti. Si tollerano i morti a decine in altre parti del mondo, nessuno si muove per massacri nel Libano in Algeria in Giordania nel Pakistan, ha detto, ma appena si tratta di Israele si convoca d'urgenza il Consiglio di sicurezza. Con decisione Natanyahn ha risposto a nome del suo governo l'invio dei caschi blu delle Nazioni Unite, che sarebbe una violazione dei diritti sovrani di Israele, ha ribadito il diritto del suo_Paese di accogliere «i propri figli quanto gli piace» e sprezzante ha sugge¬ Un gruppo di palestinesi supera un posto di blocco israeliano nella città vecchia di Gerusalemme (FOTO EPA] rito all'Onu di «impiegare meglio il suo tempo». Teso in volto, Arafat ha fatto la storia di 30 mesi di Intifada, esponendo un quadro drammatico degli avvenimenti. Ha esagerato forse un po' con le cifre, quando ha parlato di 1200 morti e di 80 mila feriti e di oltre 6000 donne che hanno dovuto abortire. Ma a parte questa sbandata gli è riuscito di attanagliare l'attenzione di chi ascoltava. Soprattutto quando ha tirato fuori un pacco di fotografie che mostrano bimbi uccisi e feriti e case distrutte. Il delegato israeliano tamburellava nervosamente con le dita sul tavolo e quando Arafat ha accusato il suo Paese di essere «razzista e^ terrorista» ha picchiato con violenza il pu¬ gno sul tavolo. Che Arafat ha colto nel segno è dimostrato dal lungo applauso della maggior parte dei presenti. Stamane, dopo che avrà studiato la reazione degli Stati Uniti al suo discorso, Arafat terrà la conferenza stampa. Intanto nel palazzo delle Nazioni Unite parleranno gli ultimi dei venti oratori che si sono iscritti. Nessuna decisione verrà presa. Poi la carovana del Consiglio di sicurezza tornerà nella sua sede abituale a New York. Siccome lunedì negli Stati Uniti sarà festa (per il Memorial Day) si riprenderà martedì 29 maggio. Soltanto allora verrà presa una decisione. Tito Sansa GINEVRA DAL NOSTRO INVIATO «Arafat ha scambiato il Consiglio di sicurezza per il muro delle lamentazioni», così, con ostentato sarcasmo, un giovine funzionario delle Nazioni Unite ha commentato a caldo il discorso di «Sua Eccellenza il presidente del Comitato esecutivo dell'Olp», come lo han chiamato dandogli la parola. Invero per metà buona del suo discorso, Arafat ha «pianto» i suoi morti, i suoi fratelli piagati da quella che ha definito una «sistematica, sanguinosa repressione razzista, nel segno del terrorismo di Stato». Ma non ha parlato da vittima bensì da accusatore. E, una volta tanto, la retorica che di solito permea i suoi discorsi ha avuto il riscontro agghiacciante d'una terribile sequenza di fatti, elencati con precisione da ragioniere e sulla scorta non già di documenti di parte, ma di inchieste effettuate da organismi internazionali e persino americani. Da quel grosso animale politico che è, al khitiar (il vecchio) ovvero al walid (il padre) come lo chiamano alternativamente i suoi devoti, non s'è lasciato sfuggire lo «scoop mediatico», per usare una infelice espressione corrente. E che colpo: il suo discorso, pronunciato nel cuore esecutivo delle Nazioni Unite, quel Consiglio di sicurezza, eccezionalmente trapiantato per lui da New York a Ginevra, è stato raccolto e diffuso dalle telecamere di tutto il mondo. Verosimilmente, come protestano gli israeliani qui presenti, e attivissimi sotto la guida del viceministro degli Esteri, Arafat ha gonfiato le cifre. I detenuti non saranno 85 mila come ha detto, ma quei 159 ragazzi al di sotto dei 16 anni uccisi durante 30 mesi di Intifada (la cifra è di fonte svedese) vi sembran pochi?, ribatte Bassam Sharif, consigliere e pupillo di Arafat. Bassam non fa mistero di aver collaborato alla stesura del discorso che Arafat ha letto con visibile emozione, spesso inceppandosi, sicché si sente autorizzato a dire come quell'elenco di atrocità non sia fine a se stesso: dovrebbe servire a far prendere coscienza «alla società delle nazioni che nella Palestina occupata si sta consumando, nell'indifferenza generale, un genocidio a rate, parados1 salmente compiuto dall'e1 sercito d'un popolo offeso L'ACCU SA dall'onta del razzismo più aberrante, decimato dall'Olocausto». E infine, se Arafat non avesse «pianto» come avrebbe potuto invocare l'intervento dei caschi blu? Epperò non tutto il discorso di Arafat s'è svolto in termini «etici». Abu Animar ha detto con forza che, a dispetto del «sistematico massacro», l'Olp riafferma il suo impegno di pace «strategico, autentico». Impegno suffragato dal pieno riconoscimento di Israele, dalla rinuncia al terrorismo. Ancora politico è il richiamo alla «preoccupazione, alla tensione» che attraversano il mondo arabo nell'imminente vigilia del vertice straordinario di Baghdad. Convocato per denunciare «le minacce di Israele all'Iraq», dovrà affrontare invece, e in un clima niente affatto fraterno, la spinosa questione dell'Intifada. Gli è che i «fratelli» rimproverano ad Arafat di aver scelto il cavallo americano che lo ha subito disarcionato. Ma Arafat sa bene che proprio quei Paesi che gridano tanto contro gli Stati Uniti si affannano a migliorare i rapporti con loro. Sicché continua a puntare sul «pragmatismo di un Wasp qual è Bush». i Stamani quando l'ho incontrato subito dopo il suo arrivo, gli ho chiesto cosa pensasse di Bush. Risposta: «Finora è stato impeccabile; domani si vedrà». In attesa del domani, Arafat ha attaccato gli Stati Uniti. L'arroganza colonialista di Israele, ha scandito, è stata e viene resa possibile dalla permanente, cieca copertura americana. Mentre bisognerebbe applicare sanzioni contro Israele come s'è fatto col Sud Africa. Ma si ha l'impressione che Arafat non si fa faccia soverchie illusioni. Sa che la pace è lontana, che lo Stato di Palestina sfuma in un futuro incerto. Il suo discorso-denuncia tuttavia tradisce la speranza che la leadership israeliana venga una buona volta messa in riga, che la repressione abbia fine. Poiché, come ha scritto Brzezinski, l'impegno statunitense verso Israele è soprattutto morale, qualsiasi cosa offuschi questa «vitale dimensione morale» dovrebbe essere respinta dagli Stati Uniti. A ben guardare più che di ex terroristi truccati da messia, Israele ha bisogno di veri statisti. SATORE Man lan Igor Man lan